La distribuzione disuguale delle competenze nell’ambito dell’intelligenza artificiale limita il potenziale e le possibilità di creare poli di innovazione nel settore, in Italia ma anche in Europa. E’ quanto emerge dalla ricerca di Linkedin AI Talent in the Labour Market attraverso l’analisi dei dati relativi all’Economic Graph. E’ la rappresentazione digitale dell’economica globale basata sui profili di oltre 600 milioni di membri, di 30 milioni di aziende per 50mila tipologie di competenze, ovvero il patrimonio dati del social network.

Il rapporto in oggetto prende in esame la distribuzione e la concentrazione relativa ai talenti e alle competenze legate alle IA negli stati membri dell’UE, in diversi territori e contesti demografici. Con il termine “talenti” si indicano gli individui che hanno sia competenze sia nell’ambito del calcolo statistico che nell’analisi dei big data, competenze imprescindibili per generare algoritmi che alimentano le tecnologie di IA.

AI, Europa in ritardo rispetto agli Usa

Tra le criticità più evidenti quella della distribuzione disomogenea, anche solo in Europa. Appartengono ad appena tre Paesi (UK 24%, Germania 14% e Francia 12%) il 50% delle competenze, non solo. Il ritardo europeo rispetto agli Stati Uniti è evidente, e negli Usa si assume il doppio delle persone qualificate per l’AI rispetto ai Paesi membri UE. Disomogeneità anche di settore, ma questo è più logico, almeno in questo momento.

La ricerca svela che due terzi delle persone con competenze in materia lavorano nel settore tecnologico (Ict), o in ambito accademico, e questo accade soprattutto nei Paesi più poveri di competenze. Prendiamo il caso specifico di Italia e Spagna che riflettono in modo particolare questa evidenza.

Distribuzione geografica delle competenze AI
Distribuzione geografica delle competenze AI

In questi Paesi, le competenze legate all’AI non sono sostanzialmente ancora diffuse nell’ambito privato, anche perché le sedi centrali delle multinazionali più avanti nell’utilizzo dell’AI sono localizzate in UK o comunque nel Nord Europa. Fuori dall’ambito Ict, le conoscenze e le tecnologie legate all’AI non sono diffuse in modo importante in altri segmenti dell’economia europea.

Le differenze di genere, una sorpresa italiana

Anche nell’AI, come in tutte le discipline Stem, persistono differenze di genere importanti. Solo il 16% di tutti i lavoratori attivi nel campo delle IA in Europa sono donne. E’ interessante notare però che alcuni Paesi con inferiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro vedono una presenza femminile in percentuale più forte nell’AI.

In Italia, Romania e Croazia, la percentuale di donne che lavorano nell’AI è il 25% del totale dei lavoratori in questo ambito, nonostante il tasso di occupazione femminile sia rispettivamente del 52,5%, 60,2% e 58,3% nel 2017 (la fonte in questo caso è Ilostat, l’organizzazione internazionale del lavoro). In particolare stupisce il dato italiano proprio perché il Paese ha il più basso tasso di presenze femminili nella forza lavoro, rispetto agli altri Paesi della Comunità.

Le differenze di genere tra i lavoratori nell'ambito AI in EU
Le differenze di genere tra i lavoratori nell’ambito AI in EU

Le notizie positive finiscono qui perché anche per quanto riguarda la concentrazione geografica dei talenti (di entrambi i generi) nell’ambito AI rispetto alla popolazione attiva europea. L’Italia si posiziona ad un livello medio basso (0,71 il coefficiente rispetto alla media (punteggio pari a 1 ha un pool di talenti per l’IA corrispondente al suo peso demografico nella forza lavoro attiva in Europa).

I dati relativi all’analisi della concentrazione geografica rivela che sono sei i Paesi europei ad attrarre e sviluppare i talenti AI, ovvero Irlanda (3,5), Finlandia (2,18), Cipro (1,91), Lussemburgo (1,88), Svezia (1,84) e Olanda (1,81).

Il report evidenzia che monitorando le modalità di acquisizione delle competenze in materia di intelligenza artificiale in tutta l’UE sarebbe possibile lavorare all’eliminazione di una serie di disparità. L’intelligenza artificiale, digital enabler e potente strumento di trasformazione digitale diversamente potrebbe invece diventare un nuovo fattore di disuguaglianza e compromettere i principi chiave del progetto europeo.

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