L’emergenza epidemiologica da Covid-19 che stiamo fronteggiando ha comportato, nel nostro Paese, un susseguirsi di decreti legge che stanno modificando, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, gli assetti dei più disparati settori caratterizzanti un governo democratico come il nostro.

Il più recente decreto legge emanato dal Presidente del Consiglio il 17 marzo scorso, il cosiddetto Decreto Cura Italia, prevede numerose disposizioni da doversi applicare, tra le tante aree interessate, anche alla Giustizia.

Le nuove misure urgenti adottate in tale ambito prevedono, all’art. 83, la sospensione dei termini processuali e sostanziali fino al 15 aprile 2020 e il differimento d’ufficio delle udienze a data successiva al 15 aprile 2020 nonché ulteriori misure che si protrarranno fino al 30 giugno 2020, rendendo evidente che in tale ambito la normalità non arriverà prima di tre mesi.

Data tale prospettiva, ci si chiede quindi se la Giustizia possa essere sospesa per tutto questo tempo. Non è certamente pensabile che tutta l’attività giudiziaria si blocchi per un periodo così importante: significherebbe denegare giustizia, che è invece uno dei cardini di uno Stato democratico.

Nuovo spazio alla tecnologia

Ecco quindi che appare di fondamentale importanza aprire le porte a una nuova concezione di giustizia che consenta alla tecnologia di prendere spazio anche in tale ambito per riuscire ad implementare scenari che fino ad oggi sono probabilmente stati pensati ma che hanno avuto poco riscontro pratico. Negli ultimi tempi si è tanto parlato di smartworking e di come si stiano (ri)scoprendo nuovi metodi di lavoro che non comportino necessariamente la presenza dei lavoratori nel luogo fisico nel quale operano abitualmente. Ed allora si può pensare ad un’evoluzione anche del settore giudiziario in tal senso, iniziando ad assumere la consapevolezza che anche la Giustizia possa essere smart ed operare al di fuori dei Tribunali.

Vale più che mai in questo caso il proverbio secondo il quale “bisogna fare di necessità virtù”. Si può concretamente pensare che la pandemia da cui siamo stati travolti possa divenire un acceleratore di processi innovativi, potenzialmente implementabili da tempo e sopiti finora, che potrebbero – con le dovute accortezze che garantiscano la riservatezza del trattamento dei dati giudiziari e delle informazioni riservate – vedere la luce. Si pensi innanzitutto alla possibilità dello svolgimento delle udienze da remoto, attraverso l’utilizzo delle piattaforme digitali indicate nei giorni scorsi dal medesimo Ministero della Giustizia quali Teams o Skype for Business o gli strumenti di videoconferenza già a disposizione per lo svolgimento delle udienze penali, alla previsione dell’obbligatorietà di tutti i depositi telematici e alla regolamentazione di accesso ai servizi giudiziari tramite strumenti telematici.

Tali espedienti potrebbero garantire una notevole innovazione nella prospettiva futura di rendere operante una giustizia ancor più telematica, consentendo l’accelerazione delle tempistiche, la semplificazione e la maggior efficienza dei servizi nonché la riduzione dei costi che potrebbero migliorare l’accessibilità ai servizi giudiziari. Naturalmente, come ogni processo evolutivo, le implementazioni prospettate comportano un non facile contemperamento di interessi che ricomprende la necessità di evitare una stagnazione dell’attività giudiziaria, e quindi di agire in tempi abbastanza veloci, ma anche la garanzia della tutela della riservatezza delle informazioni e dei dati giudiziari evitando, ad esempio, possibili registrazioni delle udienze da remoto. Sembrerebbe che tali esigenze possano essere garantite poiché i collegamenti effettuati, con i due programmi suddetti, su dispositivi d’ufficio o personali utilizzano infrastrutture o comunque aree di data service riservate in via esclusiva al Ministero della Giustizia, come è stato chiarito dal Ministero stesso. Tali strumenti, se utilizzati nella maniera corretta, potrebbero quindi consentire la prosecuzione dell’attività giudiziaria ed evitare che l’assetto dei poteri dello Stato venga compromesso a causa di una sospensione che potrebbe essere evitata o comunque essere ristretta nelle tempistiche.

Rispetto dei diritti democratici

Un ulteriore aspetto da non dover sottovalutare in tale momento è quello attinente al rispetto dei diritti democratici. L’Italia si sta trovando a dover limitare considerevolmente alcuni dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta Costituzionale, come il diritto di libera circolazione (art.16), il diritto di riunione (art.17) e il diritto di libera iniziativa economica (art.41), per garantire la tutela di quello che in questo momento appare superiore rispetto agli altri: il diritto alla salute (art.32). E’ importante sottolineare come il nostro Paese, quando si trovi ad affrontare una circostanza straordinaria come l’attuale emergenza sanitaria, deve farlo nel pieno rispetto della nostra Costituzione. Essa prevede, ad esempio, che per lo stato di guerra (art.78) le Camere conferiscano al Governo i poteri necessari, e non i pieni poteri, per attuare le misure utili alla risoluzione dello stato d’emergenza. Anche in questo specifico caso, quindi, il Governo utilizza i poteri necessari ad esso conferiti per apportare le inevitabili restrizioni ai diritti fondamentali summenzionati in modo tale però da garantirne la temporaneità, la proporzionalità e l’adeguatezza, la cui portata più o meno ampia si modella in base all’andamento dell’emergenza.

Questa visione costituzionalmente orientata della risoluzione degli stati di necessità differenzia i Paesi democratici come il nostro da altre forme di Stato assolutistiche come quella cinese. Infatti, benché la Cina stia risolvendo la crisi sanitaria attraverso l’adozione di misure totalmente restrittive, lo scopo dello Stato italiano non parrebbe essere quello di emularla attraverso l’adozione di tutte le pratiche sottese al contenimento dell’emergenza sanitaria ma piuttosto di rimodellare tali restrizioni in conformità ai principi democratici e riponendo fiducia nel senso di responsabilità dei singoli cittadini.

Si potrebbe dimostrare, quando arriverà il momento di dichiarare sconfitto questo virus, che il metodo democratico avrà funzionato ugualmente ed avrà contemporaneamente garantito il rispetto dei diritti democratici. Si auspica che tali risultati sperati possano essere raggiunti non attraverso un percorso individualista dell’Italia ma tramite la collaborazione dell’Unione Europea, istituzione che in questo difficile momento storico può e deve essere il punto di riferimento dei suoi Paesi membri, garantendo la salvaguardia della salute di tutti i suoi cittadini e adottando misure idonee per consentirne il risollevamento economico.

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