L’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (Icnirp) è un organismo indipendente che fornisce orientamenti e indicazioni scientifici sugli effetti per la salute e l’ambiente riguardo le radiazioni non ionizzanti (Nir). Di recente è tornato sul tema degli effetti del 5G sulla salute con alcune note rassicuranti. Con le prime implementazioni dei progetti infatti si è acceso tempo fa un dibattito importante, alimentato anche dall’incertezza legata all’assenza di dati che permettessero di escludere del tutto o confermare eventuali conseguenze.

Mentre infatti oggi si dispone di una serie di informazioni relatiave alle emissioni legate a 2G e 3G, non ci possono essere ancora ricerche su ampia scala relative al 5G, semplicemente perché non è diffuso. Il 5G lavora a frequenze più elevate rispetto agli standard precedenti, ma allo stesso tempo la rete di antenne utilizza segnali di potenza più bassa e tecnologie più recenti.

Non solo, le onde elettromagnetiche del 5G di fatto non hanno capacità di penetrare nei tessuti umani e – proprio in relazione all’evoluzione della rete – alcuni esperti pensano addirittura che il livello di esposizione potrebbe essere inferiore rispetto a prima. In passato, tuttavia, le onde elettromagnetiche a radiofrequenza sono state classificate dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) come “possibilmente cancerogene”. Significa di fatto che le evidenze non sono sufficienti né ad escludere né a confermare la possibilità di insorgenza dei tumori. E non sono poche le comunità nei diversi Paesi che hanno preferito sospendere l’implementazione delle reti 5G.

Il parere di Icnirp sembra ora sgomberare il cielo del 5G da un po’ di nubi ma non basta a eliminare ogni dubbio. Spieghiamo perché.
Prima di tutto le linee guida proposte da Icnirp non riguardano solo il 5G. Sono il frutto di studi di lungo periodo (7 anni) di aggiornamento sui precedenti che risalivano al 1998. Dopo aver effettuato un’attenta revisione della letteratura scientifica del passato, lo scopo finale dello studio è dichiarato nell’oggetto proprio dello stesso, e cioè nella prevenzione dall’eposizione ai cambi elettromagnetici tra i 100 KHz e i 300 GHz.

Eric Van Rongen, Chairman Icnirp
Eric Van Rongen, Chairman Icnirp

E’ effettivamente l’intervallo entro cui deve operare qualsiasi dispositivo anche secondo la normativa italiana e comprende la forbice entro cui ricadono le frequenze che verranno utilizzate per il 5G. Ora, il 5G che opera anche con frequenze che superano i 6 GHz, richiede secondo Icnirp la restrizione anche per esposizioni brevi ad un tempo inferiore ai sei minuti per le frequenze oltre i 400 MHz, la riduzione dell’area media per le frequenze oltre i 6 GHz e l’aggiunta di ulteriori restrizioni di distanza dal corpo per frequenze superiori ai 6 GHz.

Ecco, a queste tre condizioni Icnirp si pronuncia dando il via libera al 5G. E’ sufficiente? No, e i motivi sono molteplici. In primis, il livello di guardia segnalato da Icnirp come da tenere come riferimento è comunque leggermente più restrittivo rispetto agli standard Gsma. Non si tratta di limitazioni inerenti le reti 5G, quanto piuttosto sui dispositivi. Oggi i produttori documentano già che i nuovi dispositivi 5G rientrano ampiamente nei criteri guida. Va bene, ma anche questo è sufficiente?

Non lo è. Di fatto mancano ancora studi importanti quantitativi e qualitativi sui reali rischi all’esposizione da onde elettromagnetiche nelle frequenze utilizzate dal 5G.
Per esempio, mentre sappiamo bene cosa ci potrebbe accadere rimanendo appoggiati ad una serie di elettrodomestici per ore, già le evidenze rassicuranti riguardo ad una simile esposizione con uno smartphone 2/3G non sono del tutto positive, e nessuno può dire come potrebbe cambiare lo scenario con il 5G. Nel nostro pensiero preferiamo fare ancora una volta  riferimento alle riflessioni conservative dei ricercatori dell’Istituto Ramazzini che richiamano l’assenza di dati raccolti sul campo.

Le evidenze di Icnirp insomma non devono bastare a sgombrare i dubbi. Con prudenza si stanno muovendo 175 Comuni italiani ufficialmente contrari al nuovo standard, mentre 54 di essi hanno già emanato ordinanze relative al blocco della sperimentazione 5G sul territorio. Il problema resta non tanto dare il via libera o meno a questa tecnologia, quanto piuttosto disporre di dati certi che permettano nel tempo di fare piena luce sul tema, senza crociate, ma anche con la massima trasparenza. Gli interessi in gioco, decisamente alti, non aiutano.   

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