L’inizio della Fase 2 ha comportato un allentamento delle misure restrittive per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 ed una conseguente e graduale riapertura delle attività produttive. In tale prospettiva, il Governo italiano ha previsto l’obbligatorietà per tutte le imprese e le attività commerciali di adottare protocolli di sicurezza anti-contagio atti ad evitare o almeno diminuire al minimo il rischio di contagio negli ambienti di lavoro.

Un contagio di tal tipo potrebbe essere equiparato ad un infortunio sul luogo di lavoro ed essere fonte di responsabilità per il datore di lavoro o per il suo delegato alla sicurezza. E’ per tale motivo che la più recente normativa nazionale d’emergenza, in particolare il Protocollo nazionale firmato in data 26 aprile 2020, ha previsto l’obbligatorietà per le imprese di adottare un Protocollo anti-contagio conforme a quello nazionale che possa essere plasmato a seconda delle esigenze e del tipo di attività svolta dall’impresa.

I punti saldi del Protocollo aziendale e da cui non si può in alcun modo prescindere sono la gestione della distanza di sicurezza, la garanzia dell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale adeguati, la fornitura degli strumenti adeguati per garantire un’adeguata igiene personale, la sanificazione periodica e la pulizia giornaliera degli ambienti di lavoro e l’acquisto di termo scanner o strumenti alternativi per la rilevazione della temperatura corporea a distanza, che non solo devono essere organizzati e predisposti ma devono essere appositamente monitorati.

Quest’ultimo aspetto non deve essere sottovalutato, soprattutto perché è proprio attraverso il monitoraggio che si tengono sotto controllo le procedure, si verificano se sono efficaci e se vengono rispettate da tutti. L’errata predisposizione delle misure o l’inadeguato monitoraggio potrebbero sfociare nella responsabilità penale del datore di lavoro, che potrebbe essere accusato di procurate lesioni personali o addirittura di morte colposa in caso di contagio di uno o più dipendenti e di eventuale morte, a causa dell’avvenuto contagio, di uno di essi.

E’ opportuno sottolineare come la questione sia abbastanza controversa, soprattutto perché, in una fase di totale riapertura delle attività, di proliferazione dei contatti sociali tra congiunti e amici e di un graduale allentamento delle restrizioni alla libertà di circolazione, la rete di contatti sociali e spostamenti ormai non si limita esclusivamente al luogo di lavoro e ai propri colleghi. Qualora, quindi, un dipendente risultasse positivo al Covid-19, come si potrebbe stabilire con assoluta certezza che il contagio sia avvenuto nell’ambiente di lavoro e non invece in un qualsiasi altro luogo? Chi si assumerebbe la totale responsabilità di considerare un datore di lavoro penalmente responsabile per il contagio di uno o più dipendenti?

In tanti si stanno ponendo queste domande ed effettivamente i dubbi e le perplessità che sorgono sono parecchi. Negli ultimi giorni sono intervenute diverse autorità che hanno rassicurato sul fatto che non vi debba essere alcun timore per i datori di lavoro che adottano regolarmente i protocolli di sicurezza e che, dunque, anche in caso di contagio di un dipendente, non vi sia una automatica responsabilità del datore di lavoro.

Rimane pur sempre l’obbligo per imprenditori e datori di lavoro dell’adozione e predisposizione di idonee misure di sicurezza che siano corrispondenti raccomandazioni inserite all’interno del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento  della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14 marzo 2020, poi integrato il 24 aprile 2020, firmato dai sindacati e dalle imprese per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori dal possibile contagio del coronavirus e per garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro.

Le principali raccomandazioni inserite nel Protocollo riguardano:

  • Doveri di informazione: il datore di lavoro deve adeguatamente informare, attraverso le modalità ritenute più idonee, il proprio personale e tutti coloro che accedono ai luoghi di lavoro circa le disposizioni anti-contagio dell’Autorità consegnando o affiggendo in luoghi ben visibili appositi opuscoli. Tra le informazioni più importanti ricadono la possibilità di rilevare la temperatura corporea, l’impossibilità di accedere ai luoghi di lavoro se si rileva una temperatura corporea superiore ai 37.5° C, le indicazioni relative al distanziamento sociale e all’igiene personale, l’obbligo di informare tempestivamente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale.
  • Modalità di accesso ai luoghi di lavoro: il datore di lavoro deve prevedere l’ingresso scaglionato dei dipendenti in modo tale che non si creino assembramenti. E’ previsto il divieto d’ingresso per coloro che abbiano una temperatura corporea superiore ai 37.5° C ed anche l’accesso di clienti e fornitori deve essere regolato attraverso l’individuazione di procedure di ingresso, transito e uscita che riducano al minimo il contatto con il personale.
  • Pulizia e sanificazione: il datore di lavoro deve assicurare una periodica sanificazione ed una giornaliera pulizia degli ambienti di lavoro e delle superfici più utilizzate, deve fornire gli strumenti idonei a garantire una corretta pulizia e sanificazione delle mani e imporre l’utilizzo della mascherina laddove non sia possibile garantire la distanza interpersonale di almeno un metro.

    Sanificazione uffici
    Il datore di lavoro deve assicurare una periodica sanificazione ed una giornaliera pulizia degli ambienti di lavoro e delle superfici più utilizzate
  • Spazi comuni: l’acceso agli spazi comuni è contingentato in modo tale da evitare assembramenti, la sosta in tali aree deve essere ridotta al minimo indispensabile e deve essere garantita una idonea ventilazione dei locali oltre che una loro sanificazione e pulizia.
  • Spostamenti: gli spostamenti all’interno dell’azienda devono essere ridotti al minimo e non sono consentite riunioni in presenza. Laddove queste fossero assolutamente necessarie, deve essere garantito il rispetto della distanza interpersonale di almeno 1 metro e la ventilazione dei locali.
  • Gestione di un caso sintomatico: laddove un dipendente o un altro soggetto presente in azienda avesse dei sintomi sospetti, il datore di lavoro deve provvedere ad isolare il soggetto e a farlo rientrare presso il suo domicilio in sicurezza. L’accesso al luogo di lavoro ad un dipendente risultato positivo al Covid-19 sarà consentito solo in presenza di un certificato medico che ne accerti l’avvenuta negativizzazione.
  • Medico competente e RLS: il medico competente deve collaborare con il datore di lavoro e con il RLS (Rappresentante dei lavoratori alla sicurezza), segnalare particolari situazioni di fragilità o di patologie pregresse o attuali dei dipendenti in modo tale da garantirne una maggiore tutela e collaborare per il reinserimento di soggetti con pregressa infezione da Covid-19.

Il Protocollo appare chiaro, preciso e puntuale in merito alle misure generali che ogni impresa o attività commerciale deve adottare per poter ripartire in sicurezza e proteggere i propri dipendenti. Gli imprenditori e i datori di lavoro che lo adotteranno in maniera precisa potranno considerarsi al sicuro e non essere soggetti ad alcun tipo di responsabilità, salvo l’accertamento di violazioni del Protocollo aziendale o della mancata o errata adozione dello stesso.

Rischio di impresa

Un altro tema non di secondaria importanza in tale periodo critico è quello relativo al fatto che le imprese si trovano ad affrontare una profonda crisi, economica e non, dovuta all’interruzione forzata delle attività per il verificarsi di un evento straordinario, la pandemia appunto, che ha bloccato tutti i settori produttivi. A tal proposito si suole parlare di Rischio di impresa, da intendersi come la possibilità che, durante la conduzione dell’attività produttiva, possano verificarsi degli eventi che ne compromettano la prosecuzione. La pandemia da Covid-19 è un evento certamente straordinario che ha messo e metterà ancora per molto tempo a dura prova tutti i settori produttivi.

Le aziende che però potranno, in qualche modo, trovarsi più avvantaggiate rispetto ad altre e risollevarsi più agevolmente saranno certamente quelle che hanno effettuato un’analisi dei rischi, ossia una previsione anticipata delle situazioni e degli eventi che avrebbero potuto mettere a rischio l’attività produttiva. E’ una strategia per le imprese che consente di “giocare d’anticipo” e per poter mettere in atto strumenti di gestione d’impresa alternativi pianificati secondo il business continuity plan elaborato al momento della valutazione dei rischi. Tale piano prevede una serie di soluzioni alternative da adottare a seconda del tipo di evento che si verifica e del calcolo delle probabilità sulla concreta possibilità che esso possa verificarsi.

Il calcolo e la gestione del rischio di impresa risultano quindi fondamentali per ammortizzare le conseguenze di un evento improvviso e garantire il più possibile la stabilità dell’attività stessa ed anche del datore di lavoro e dei suoi dipendenti.

Più in particolare, si parla di risk management, la gestione del rischio, ossia di un insieme di attività, metodologie e risorse coordinate per guidare e tenere sotto controllo un’organizzazione con riferimento ai rischi che potrebbero più o meno concretamente verificarsi. La pandemia da Coronavirus è un imprevisto che ha messo a dura prova e in crisi intere filiere produttive. La gestione del rischio dovrebbe, anche in un caso di portata eccezionale come questo, consentire o almeno provare a consentire l’adozione di strategie e mezzi di intervento volti a minimizzare per quanto possibile la perdita di liquidità e la generale crisi d’impresa conseguenti allo stop forzato delle attività attraverso la creazione di una scala di priorità delle criticità e la gestione delle stesse in base alla maggiore o minore importanza che assumono.

Il risk management è solitamente affidato ad un soggetto, il cosiddetto Risk Manager, che sia in grado di pianificare la business continuity e il disaster recovery dell’azienda. In tal modo il risk manager può sviluppare una mappatura dei rischi e un’analisi dei rischi, stilare una scala di importanza dei rischi, sviluppare e attuare strategie di informazione e assicurazione dei rischi per proteggere l’azienda dalle criticità che man mano possono presentarsi.

I vantaggi di un buon risk management sono certamente quelli di aiutare le aziende a prevenire o a risolvere consapevolmente diversi tipi di rischi tra cui quelli finanziari che vanno ad incidere sulla liquidità aziendale. Se si prova a fare una breve analisi delle problematiche più comuni delle nostre imprese conseguenti alla pandemia, sicuramente spicca un forte calo del fatturato con il conseguente aumento degli inadempimenti delle obbligazioni in essere.
I ritardi o i mancati pagamenti hanno conseguenze dirette su altre imprese e questo altro non fa che creare una reazione a catena che colpisce l’intero settore economico e un alto rischio di fallimento per un sempre più elevato numero di imprese. Il risk management permetterebbe di ridurre o almeno di mitigare il rischio di impresa e di fronteggiarne la crisi con le modalità più idonee per il tipo di impresa e per il tipo di attività da essa svolta.

Strettamente connesse alla tematica del risk management sono altri strumenti di previsione del rischio aziendale che possono essere utili per mitigare la crisi d’impresa, come ad esempio le polizze assicurative che, per l’appunto, assicurano le imprese dalle conseguenze da incendio, danni della natura, coperture del credito, epidemie pur con la limitazione che in certi casi potrebbero essere presenti delle clausole contrattuali che limitano la copertura assicurativa al verificarsi di determinati eventi.

Oltre alle singole strategie di impresa, risulta fondamentale la capacità di problem solving e l’apporto concreto delle autorità nazionali per contrastare la crisi. Il Governo italiano ha adottato diverse soluzioni in tal senso con il Decreto Cura Italia del 17 marzo scorso e con il più recente Decreto Liquidità, che prevedono delle misure lenitive delle difficoltà economiche imprenditoriali che possano aiutare a gestire le procedure di regolazione dell’insolvenza non solo per quelle imprese che già all’inizio della pandemia si trovavano in difficoltà ma anche per quelle imprese sane che, loro malgrado, si sono ritrovate ad essere esse stesse insolventi o a subire numerosi danni perché creditrici di crediti insoluti.

E’ stato, inoltre, elaborato il Codice della Crisi d’impresa, che probabilmente entrerà in vigore nel 2021, che dispone la necessità che l’imprenditore sia in grado di offrire pronta risposta alle problematiche conseguenti al Covid-19 e che dovrebbe prevedere strumenti finalizzati a rivalutare il debitore, anche se fallito.

Nonostante le diverse soluzioni adottate a livello nazionale e la possibilità per le imprese di adottare misure di risk management, è difficile in questo momento poter prevedere quanto saranno concretamente efficaci le misure previste, anche perché i dati preoccupanti a nostra conoscenza fanno concludere abbastanza facilmente che non fossimo assolutamente preparati ad un accadimento di simili dimensioni.

Si auspica almeno che questo triste episodio rappresenti un motivo in più per incentivare lo sviluppo di una “cultura del rischio”. Il rischio è per definizione l’eventualità di subire un danno o una perdita: oggi la causa dei danni e delle perdite è il Coronavirus, domani ce ne sarà un’altra. Occorre essere preparati.

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