La possibilità di effettuare una copia privata di opere tutelate dal diritto d’autore, a patto di essere già in possesso di un originale regolarmente detenuto, per esempio come copia di backup o di scorta (per la fruizione su un dispositivo diverso), è una possibilità regolamentata da diversi anni, in Italia, come in tanti altri Paesi dell’Unione europea, a patto di corrispondere un pagamento forfettario per compensare gli autori e tutta la filiera dell’industria culturale della riduzione dei proventi, dovuta appunto alla riproduzione privata concessa che può contribuire al calo della vendita di altri “originali”.

Si tratta di un compenso prelevato all’origine, e cioè sui supporti vergine che permettono la memorizzazione digitale dell’opera protetta. Quindi su cd-rom, supporti (dischi fissi e Ssd) e schede di memoria di qualsiasi tipo (comprese le chiavette Usb), ma anche Pc, tutti i dispositivi audio e video che dispongono di uno spazio di memorizzazione per lo scopo, quindi anche alcuni modelli di televisori e i decoder e ora persino i wearable (smart watch e fit tracker), in pratica tutti i device elettronici a patto che siano dotati di capacità di riprodurre (in qualsiasi modo) audio o video. Un compenso prelevato all’origine e di fatto versato interamente alla Siae (e dalla Siae gestito) che è chiamata alla ripartizione dei proventi a tutti gli aventi diritto, secondo quanto previsto dalla legge.

Dario Franceschini

La polemica di questi giorni è relativa alla scelta del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBact) di promulgare il decreto che rimodula i compensi per la copia privata, sostanzialmente al rialzo. In un recente articolo, abbiamo dato ampia evidenza degli anacronismi di quello che a gran voce è di fatto considerato un balzello iniquo.

Dati Istat e Nielsen infatti evidenziano come da una parte “solo il 15% dei consumatori di contenuti musicali e il 10% dei consumatori di contenuti video ricorreva, già nel 2017, ancora all’abitudine di produrre la cosiddetta “copia privata( fonte: Istat su ricerca commissionata dal MiBact) e “solo per quanto riguarda gli smartphone, il numero di consumatori che ascoltano la musica tramite servizi di streaming on-demand è pari all’84% del totale” (Fonte: Nielsen, febbraio 2020). Questo in un contesto in cui di fatto la copia privata è sempre più difficile da realizzare (grazie ai sistemi antipirateria presenti sui supporti e sui file originali), mentre è sempre più conveniente e ritenuto più comodo e vantaggioso acquisire il diritto di riproduzione in streaming e fruire così delle opere protette.

Di fatto il ministro Franceschini, firmando l’allegato tecnico con cui sostanzialmente aumenta il prelievo sulle tecnologie digitali che consentono la copia, sembra non volere tenere conto dell’evoluzione nelle modalità di fruizione reale dei contenuti e però allo stesso tempo tassare una serie di prodotti ampiamente utilizzati anche per proseguire l’attività nel momento del lockdown, con gran parte della popolazione non certo preoccupata a fare copie di backup dei contenuti protetti.

Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale
Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale

Sul tema interviene in questo senso in modo chiaro, ancora una volta, il presidente di Confindustria Digitale, Cesare Avenia: “Alla fine il Ministro Franceschini, contraddicendo l’impegno da lui stesso assunto lo scorso 22 aprile in audizione alla Camera dei Deputati, ha firmato l’allegato tecnico con cui aumenta il prelievo sulle tecnologie digitali più utilizzate dalle persone, e che negli scorsi mesi di lockdown hanno consentito il lavoro a distanza, la prosecuzione delle attività didattiche e il mantenimento di relazioni sociali a milioni di cittadini. E’ questa una visione miope, in netto contrasto con le esigenze di trasformazione digitale, oggi al centro delle strategie di rilancio del Paese”.

Che gli strumenti che permettono di trasformare sfruttando il digitale aziende, PA e organizzazioni non siano e non saranno opportunamente tassati è un’illusione cui di sicuro sappiamo di non potere cedere, ma che per assecondare l’interesse di pochi (di fatto è così) si persegua il disegno di tassare in modo inutile i supporti digitali con una motivazione che di fatto non sussiste, non ha senso, se non quello di fare cassa.

La tutela del diritto d’autore passa oggi da ben altri provvedimenti che non dovrebbero ricadere, ancora, sull’utente finale. Di fatto il Ministro sembra non avere tenuto conto degli studi delle associazioni (Anitec-Assinform tra queste), ma ha approntato un “listino”, nel complesso “pesante” a seconda delle categorie di prodotto.

Per smartphone e tablet si arriva fino a 6,90 euro (per memorie da 128 Gbyte in su) che però per metà della memoria (64 Gbyte) è ridotto di appena 60 centesimi e per 32 Gybte pesa ancora per 4,80 euro, mentre il contributo cala rispetto a prima di fatto per specifiche di prodotto fuori mercato.

Così da non lasciare davvero comprendere quale sia la ratio che guida la “tassazione”. Si tratta, rispetto a prima, di un gettito sugli smartphone incrementato del 17% e di quasi il 30% per i tablet. Percentuali che non è possibile porre in relazione coerente con nessun aumento e nessuna reale abitudine.

Il compenso per le TV dotate di funzione Pvr è pari a 4,00 euro, e riguarda anche i decoder con la stessa funzione, per quanto in questi casi non si tratta di “memorizzare” qualcosa, quanto semplicemente di “registrare” ed in alcuni casi solo perché è l’unica possibilità concreta lasciata dal produttore per fruire di spettacoli su cui già effettivamente si paga un contributo.

Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform
Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform

Insomma, la tassa per la copia privata aumenta, anche se nessuno più fa copie private di alcunché. Tanto varrebbe cambiare il nome alla tassa, ma allora studiarne anche una diversa destinazione d’uso, con buona pace per tutti. Siae compresa.

Avrebbe per esempio più senso studiare un sistema diretto efficace per compensare gli autori in relazione alla reale fruizioni sui canali effettivamente utilizzati (streaming), ma richiederebbe di ripensare anche ad una riorganizzazione importante del comparto ed alle sue reali funzioni.

Invece così, di fatto, si tassano i prodotti, indipendentemente dalla destinazione d’uso, sulla presunzione che chiunque li acquista prima o poi si concede una legittima copia privata. Conferma Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform: “Mantenere l’impianto della proposta di  decreto di febbraio vuol dire applicare un’imposizione aggiuntiva che non risponde più al suo scopo originario; quindi, di fatto, mantenere e rafforzare un’accisa sui prodotti digitali in tempi in cui è invece vitale spingere sulla digitalizzazione del Paese, a partire dalle famiglie”.

Il MiBact a nostro avviso ha perso quindi una buona occasione per fare bene e distinguersi su un tema comunque che trova sensibilità di ascolto ed allo stesso tempo è quasi oramai un eufemismo definire “annoso”. Il dibattito reale è stato di fatto evitato (i memorandum delle categorie interessate sono stati raccolti ma non “dibattuti”) ed il provvedimento rischia di rappresentare semplicemente l’ennesimo contributo ad un ulteriore aumento dei prezzi, senza di fatto risolvere nulla.

Cesare Avenia così conclude, rimarcando che si è mancata “l’opportunità per sviluppare in maniera innovativa le potenzialità di allargamento del mercato dell’industria della cultura, costruire nuovi modelli di business e di remunerazione. E’ una logica estremamente miope e penalizzante che non solo non favorisce l’evoluzione del  settore, ma va in controtendenza con le esigenze generali di trasformazione digitale, chiaramente emerse durante l’emergenza sanitaria e oggi al primo posto nell’agenda per il rilancio del Paese”.

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