A settembre, a un anno dal debutto del Piano Nazionale per l’Industria 4.0, già Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico, aveva sottolineato una della carenze che il piano aveva dimostrato: il ritardo nella realizzazione dei Competence Center nazionali – disattendendo le attese annunciate il 26 settembre del 2016 – che avrebbero permesso di fare incontrare offerta e domanda, pubblico e privato, utilizzando quei 20 milioni stanziati nel 2017 e mai utilizzati, ai quali se ne erano aggiunti ulteriori 10 con una manovrina lo scorso marzo e altri 10 ora: per un totale di 40 milioni di euro. Dei Centri di Competenza, poli di innovazione, che avrebbero spinto il partenariato pubblico-privato per promuovere progetti di ricerca applicata su tecnologie avanzate connesse al piano nazionale Industria 4.0.  
Una storia a rilento, con qualche polemica e annunci frettolosi da parte di alcune università, che invece oggi vede la sua attuazione.

Il ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda

Requisiti severi per aziende e università

E’ infatti in Gazzetta Ufficiale, con entrata in vigore a partire dal 24 gennaio 2018, il decreto attuativo dei Competence Center “costituiti, secondo il modello di partenariato pubblico-privato, da almeno un organismo di ricerca e da una o più imprese. Il numero dei partner pubblici non può superare la misura del 50% dei partner complessivi” recita il decreto congiunto firmato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministro dell’Economia (Mise-Mef), che avvia l’iter attuativo che stabilisce in modo chiaro i requisiti dei soggetti partner.
Le aziende devono avere un’organizzazione stabile in Italia, con una gestione separata della contabilità per le attività legate al finanziamento (senza “godere di alcun accesso preferenziale ai risultati generati”), essere iscritte al registro delle imprese, non trovarsi in difficoltà economica, con già in essere un buon livello di collaborazione con le università e con la scuola. Mentre le università e i centri di ricerca dovranno avere personale da dedicare alle attività dei Competence Center, e dovranno dimostrare che nel triennio precedente hanno seguito, con progetti e pubblicazioni, i temi dell’Industria 4.0 con dottorandi e dottorati dedicati alle tecnologie chiave.

Anche se il decreto attuativo non fa nessun riferimento specifico ad alcun polo universitario in particolare, il Mise aveva indicato in precedenza, come atenei papabili i Politecnici di Bari, Milano, Torino, la Scuola Sant’Anna di Pisa, le università di Bologna, Napoli e del Veneto.

Ora bisognerà procedere con la scelta dei partner, tenendo presente che i Competence Center dovranno gestire un programma fitto di servizi e di attività indicati tra gli obiettivi strategici, nell’atto costitutivo, e dovranno dimostrare capacità di attuazione di progetti di innovazione, ricerca e sviluppo in ambito Industria 4.0. I competence center saranno valutati in relazione alla composizione dei partner e potranno riceve un finanziamento in misura massina di 7,5 milioni di euro per singolo polo e 200mila euro per ciascun progetto. 

Recita il decreto le tre funzioni che i Competence Center dovranno espletare:  orientamento alle imprese, in particolare Pmi, attraverso la predisposizione di una serie di strumenti volti a supportare il  loro  livello  di  maturità  digitale  e tecnologica; formazione alle imprese, al fine di promuovere e diffondere le competenze in ambito Industria 4.0 mediante attività in aula e in siti produttivi, allo scopo di far comprendere i benefici concreti sia in temirni di aumento della competitività, sia in termini di riduzione dei costi grazie alla tecnologia; attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, attraverso azioni di stimolo alla domanda di innovazione da parte delle imprese e delle Pmi.

Sono tre le aree nelle quali opereranno i centri di competenza: orientamento, alta formazione e ricerca applicata

Il decreto attuativo in Gazzetta Ufficiale

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