In medio stat virtus: questo in estrema sintesi quello che sta accadendo nel retail, indipendentemente dal segmento di riferimento. Tra il puro “store online” e i tradizionali “brick and mortar” si stanno ritagliando sempre più un ruolo chiave “i punti vendita digitali”.
Ma come mai questa trasformazione?
Il digitale sempre più pervasivo e qualche competitor (uno su tutti Amazon) ha reso necessario per i brand operanti nel retail dotarsi di un proprio canale online; così dai cari vecchi negozi fatti di “mattoni e malta” si è passati ad un modello di business “click and mortar” con l’intento di integrare le strategie tradizionali e digitali dell’azienda.
Ma ora, anche se l’e-commerce continua ad incidere maggiormente sulle modalità di acquisto dei consumatori, i punti vendita stanno reclamando il proprio ruolo nella lunga battaglia per il profitto e, così, anche le stesse realtà che hanno posto le radici del proprio successo nel digitale si stanno muovendo verso l’offline.
L’esempio più eclatante di questa nuova rotta, è forse l’iniziativa di Amazon che sta testando Amazon Go, punto vendita senza casse e caratterizzato da un carrello virtuale.
La nuova vita dei punti vendita, però, li vede trasformati, evoluti.
Il ricorso ad app, chatbot, big data e machine learning hanno creato nuovi format con l’obiettivo di migliorare e personalizzare la “customer experience”.
Nel definire le nuove modalità con cui accompagnare il cliente nel suo “viaggio”, dalla awareness alla retention, ci si è focalizzati sul migliorare l’assistenza clienti e sul velocizzare il servizio con interventi sia a monte che a valle della supply chain.
Ma se oltreoceano, per efficientare al massimo il punto vendita (minor magazzino, minor costi di gestione) sono nati i guideshop, negozi con il solo scopo di consentire ai clienti di indossare modelli e campioni e di valutarne taglie e colori per poi effettuare l’acquisto on-line, i dipendenti, in questa evoluzione, sembrano ricoprire un ruolo cruciale.
A confermarlo anche la ricerca di Avanade, presentata durante la Microsoft Digital Week.
La survey del fornitore di managed services e soluzioni tecnologiche, basata su un campione di 123 responsabili retail situati tra gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e la Germania, ha messo in luce l’importanza della tecnologia e della formazione del personale.
Se la difficoltà nel quantificare il ritorno sull’investimento, la mancanza di budget o più “semplicemente” la resistenza al cambiamento hanno frenato la maggior parte dei retailer, i pochi “leader” (5%) che hanno investito sul training e sugli strumenti tecnologici messi a disposizione della forza lavoro hanno visto un netto miglioramento sia delle loro performance economiche (immagine) sia in termini di produttività, collaborazione e riduzione del turnover del personale.
I motivi principali che hanno incoraggiato i “leader” a credere nel connubio personale-tecnologia sono stati la volontà di migliorare la customer experience e di aumentare la propria competitività.
Preoccupante, invece, la conseguenza a cui vanno incontro i retailer che ritardano la digitalizzazione dei loro dipendenti: Avanade stima che annualmente, un’azienda con ricavi di 1 miliardi di dollari, perda circa 110 milioni di dollari.
Ma cosa distingue principalmente le differenti “prestazioni”?
I leader sembrano trarre un vantaggio considerevole rispetto ai follower e ai laggard nell’utilizzo delle tecnologie mobile, che consentono ai dipendenti di gestire più facilmente e velocemente i propri task, e nel sapere tradurre gli insight, provenienti da report e dashboard, in azioni concrete.
Il sentiero dell’evoluzione digitale è tracciato e si delinea sempre più: non tutte le realtà, soprattutto nel retail, saranno in grado di percorrerlo ma di certo, grazie anche a queste ricerche, le aziende potranno conoscere meglio se stesse, attuare eventuali correzioni alle proprie strategie ed entrare, così, nel tempio dei “vincitori”.
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