I criminali informatici indirizzano sempre più i loro attacchi verso i dispositivi IoT, preferendoli ai web and application services e ai server di posta elettotronica.
Questo è ciò che emerge da una ricerca degli F5 Labs, che evidenzia anche come il ritmo di crescita delle tecnologie IoT sia ormai maggiore rispetto alla quello della popolazione globale. A conferma, secondo le ultime previsioni di Gartner, il numero di tali dispositivi raggiungerà i 20,4 miliardi entro il 2020, con un tasso di crescita del 143%.

David Warburton, Senior EMEA Threat Research Evangelist di F5 Network
David Warburton, Senior EMEA Threat Research Evangelist di F5 Networks

“Il controllo della sicurezza dei dispositivi IoT, sempre più lassista, comporta rischi potenziali anche per le vite umane, basti pensare ad esempio ai casi in cui vengono compromessi i dispositivi IoT che offrono gateway alle infrastrutture critiche”, commenta David Warburton, Senior EMEA Threat Research Evangelist di F5 Networks, delinendo i possibili effetti collaterali di un mancato controllo dei dispositivi evidenziati nel report annuale “The Hunt for IoT”.
“È molto preoccupante: abbiamo a che fare con oltre 8 miliardi di dispositivi IoT in tutto il mondo che, nella maggior parte dei casi, privilegiano la facilità di accesso alla sicurezza – aggiunge Warburton -. Le organizzazioni devono prepararsi all’impatto che questi avranno, perché le opportunità di attacco dell’IoT sono praticamente infinite e il processo per creare le Thingbot è sempre più diffuso. Sfortunatamente, prima che vengano raggiunti significativi progressi dal punto di vista della sicurezza, ci troveremo ad affrontare sostanziali perdite di guadagno per i produttori di dispositivi IoT o costi significativi per le organizzazioni che implementano questi dispositivi”.

La geografia di attacchi e attaccanti

L’analisi evidenzia la Spagna come Paese più vulnerabile, che si aggiudica il primo posto per numero di attacchi subiti negli ultimi 18 mesi, con l’80% di tutto il traffico degli attacchi IoT monitorato nel periodo. Tra i Paesi più colpiti seguono la Russia, l’Ungheria, gli Stati Uniti e Singapore.
Il paese da cui si origina la maggior parte degli attacchi è invece il Brasile (18% dei casi); seguono, la Cina con il 15% degli attacchi, il Giappone (9%), la Polonia (7%), gli Stati Uniti (7%) e l’Iran (6%).

F5 Labs - I 10 paesi maggiormente colpiti
F5 Labs – Report “The Hunt for IoT”  – I dieci paesi maggiormente colpiti

Gli hacker tendono poi a cambiare spesso i metodi di attacco; quello più diffuso e utilizzato è il DDoS (Distributed Denial of Service), che nel 2018 è stato sostituito dalle Thingbot e da altre tattiche come l’installazione di server proxy, l’installazione di nodi Tor e packet sniffer, trojan, credential collection e stuffing, dirottamenti DNS, ecc. “E’ essenziale disporre di controlli di sicurezza in grado di rilevare e scalare in base alla portata dell’attacco delle Thingbot. Come sempre, avere una difesa dalle bot al livello del perimetro dell’applicazione è fondamentale, così come adottare una soluzione DDoS scalabile”, commenta a questo proposito Warburton.

I criminali informatici cercano di sfruttare i servizi di amministrazione remota aperti, sfruttando i protocolli Telnet e Secure Shell (SSH), HNAP (Home Network Administration Protocol), Universal Plug and Play (UPnP), iSOAP (Simple Object Access Protocol) e da molte altre porte TCP (Transmission Control Protocol) utilizzate dai dispositivi IoT.
Le principali vittime dirette di questi attacchi sono i router appartenenti alle piccole e medie imprese, le telecamere a circuito chiuso o quelle dotate di IP e i videoregistratori DVD.

F5 Labs - Affected devices
F5 Labs – I device maggiormene attaccati

F5 Networks denuncia anche il rischio crescente che riguarda i server e i database ai quali si connettono i dispositivi IoT, “vulnerabili allo stesso modo sia agli attacchi di autenticazione tramite credenziali deboli sia ai dispositivi IoT stessi”. I gateway IoT cellulari sono vulnerabili quanto i tradizionali dispositivi IoT basati su Wi-Fi e via cavo. Il 62% dei dispositivi testati è risultato infatti vulnerabile agli attacchi di accesso remoto che sfruttavano le credenziali deboli impostate di default dai fornitori. Questi dispositivi fungono da reti out-of-band, creano backdoor di rete e sono ampiamente diffusi in tutto il mondo.

Il report prende in analisi anche 13 nuove Thingbot, che possono essere sommate alle 6 del 2017 e alle 9 del 2016, per un totale di 28 Thingbot cooptabili dagli Hacker. La Thingbot più potente mai esistita, è stata chiamata Mirai. La sua minaccia non è per niente diminuita in Europa, anzi sono stati creati circa 10 cloni della potente Thingbot capaci di estrarre criptovalute, e installare altre bot.

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