A progettazione, sviluppo, collaudo di oltre un software su quattro provvederà entro due anni l’AI generativa. Non è un’ipotesi futuristica, ma uno dei rilievi più importanti che emergono dalla recente ricerca del Capgemini Research Institute – Turbocharging Software with Generative AI è il suo nome – che racconta come le organizzazioni possono sfruttare il potenziale dell’AI generativa per il software engineering e come questa tecnologia sia destinata a trasformare il modo di lavorare dei professionisti del software, con effetti significativi sulla produttività, l’innovazione e la collaborazione interna ai team aziendali. Capgemini Research Institute ha sentito, nella primavera appena trascorsa, 1.098 dirigenti senior (a partire dal ruolo di director) e 1.092 professionisti in ambito software (inclusi architetti, sviluppatori, tester e project manager), con una serie di interviste approfondite con aziende leader di settore, partner e startup, nonché con diversi professionisti in ambito software.

Software engineering e AI

L’AI generativa sarà adottata dall’85% dei professionisti software, ed una percentuale di poco inferiore (80%) di essi ritiene che, automatizzando le operazioni più ripetitive, gli strumenti e le soluzioni di GenAI saranno in grado di trasformare significativamente il proprio lavoro, con l’obiettivo di concentrarsi su attività a maggiore valore aggiunto. Non solo, oltre il 75% dei professionisti è convinto che la GenAI abbia il potenziale per rafforzare la collaborazione con i team aziendali non tecnici. Spieghiamo: la Gen AI agevola la collaborazione tra gli ingegneri del software e gli altri team aziendali e ne migliora l’efficacia. Su questo specifico punto, addirittura il 78% dei professionisti si dichiara ottimista e confida nel potenziale della GenAI nel migliorare la collaboration.

Accoglienza della GenAI da parte della forza lavoro del software engineering
Accoglienza della GenAI nel software engineering da parte della forza lavoro (fonte: Capgemini, 2024)

La prospettiva delle aziende

Le organizzazioni, a loro volta, intendono sfruttare il tempo aggiuntivo recuperato grazie all’AI generativa per attività innovative come lo sviluppo di nuove funzionalità software (in un caso su due) e l’upskilling (per una percentuale di poco inferiore, 47%), mentre la riduzione del personale risulta l’opzione meno considerata. E’ un’ipotesi questa valutata solo dal 4% delle aziende intervistate; ma non deve stupire in positivo, considerata la grave carenza di personale qualificato nel comparto e la carenza di competenze. Non solo, proprio grazie all’AI emerge il bisogno di nuove figure come quella dello sviluppatore di AI generativa, del prompt writer e dei GenAI architect.

Sono percepiti già oggi, invece, i benefici, anche a livello aziendale. Anche se si parla ancora delle fasi iniziali dei progetti – nove realtà su dieci devono ancora portare i progetti AI su scala – la ricerca rivela che le organizzazioni con iniziative attive ottengono diversi vantaggi: innovazione in primis (61% delle organizzazioni intervistate), qualità del software migliorata a seguire (49%).

GenAI e use case nel software engineering
GenAI e use case nel software engineering (fonte: Capgemini, 2024)

La produttività nelle attività di ingegneria del software migliora, infine per una percentuale di intervistati compresa entro una forbice tra il 7% e il 18% mentre, per alcune attività di tipo specialistico, il risparmio di tempo è addirittura del 35%. Riccardo Dolfi, Managing Director di Capgemini Engineering in Italia: “L’AI generativa si è affermata come tecnologia autorevole in grado di supportare gli ingegneri del software e sta rapidamente guadagnando consensi. Il suo impatto sull’efficienza e sulla qualità del coding è misurabile e dimostrabile, ma offre buone prospettive anche per altre attività legate al software”. Ma a che punto siamo, realmente?

Riccardo Dolfi, managing director di Capgemini Engineering
Riccardo Dolfi, managing director di Capgemini Engineering Italia

Secondo Capgemini, gli strumenti della GenAI sono utilizzati oggi dal 46% degli ingegneri software come supporto alle loro attività. Poco meno del 75% concorda sul fatto che il potenziale di questo abilitatore digitale vada ben oltre la scrittura del codice.

Certo, il coding è ancora il principale caso d’uso, ma nel ciclo di vita delle applicazioni, e dello sviluppo, la GenAI è presente, per esempio, anche per quanto riguarda la modernizzazione del codice o il miglioramento/progettazione dell’esperienza utente. E incontra la soddisfazione sia dei professionisti junior, sia dei senior (rispettivamente nel 69% e del 55% dei casi). “In ogni caso, bisogna ricordare che il valore reale emergerà da un approccio olistico all’ingegneria del software, che vada oltre l’implementazione di un singolo ‘nuovo’ strumento – richiama Dolfi-. Bisognerà infatti rispondere alle esigenze aziendali con una progettazione efficace e adeguata, creare spazi di lavoro e assistenti ad hoc per gli sviluppatori, implementare standard di qualità e sicurezza e garantire l’efficienza dei team software. L’attenzione deve essere rivolta a ciò che genera realmente valore ]…[”.

Anche perché i rischi non mancano. Ce n’è perché, come è capitato già in passato, a introdurre ‘innovazione’ e sperimentazione sono spesso i singoli, che su questo tema decidono di utilizzare strumenti di AI non autorizzati come supporto alle proprie attività. Senza governance e supervisione un’adozione rapida e non guidata espone invece le organizzazioni a rischi funzionali, di sicurezza e legali: si pensi alle allucinazioni, possibili anche nel coding, alla mancata protezione del patrimonio intellettuale aziendale, alla perdita stessa del codice.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi l'articolo: