Ritrovarli a poco più di un anno effettivo dalla fusione di Dell e EMC, nei rispetti ruoli a capo di Dell EMC Italia, testimonia una trasformazione gestita con professionalità e armi pari. Nonostante sia stato un anno di cambiamenti molto forti per il nuovo colosso dell’IT, Marco Fanizzi, VP & General Manager Enterprise Sales di Dell EMC Italia e Filippo Ligresti, VP & General Manager Commercial Sales di Dell EMC Italia, aprono con un duetto il palco del Dell EMC Forum di Milano davanti a 1200 partecipanti, tra cui 770 clienti e partner di canale.
“Sono i numeri che giustificano la presenza di due general manager in Italia – spiegano entrambi in un momento a porte chiuse -. Le country più importanti, con un go-to-market su due mercati, hanno mantenuto due profili di manager. Noi abbiamo fatto leva sulle rispettive conoscenze e competenze. In azienda crediamo che il lavoro di squadra sia indispensabile anche a livello manageriale e il modello organizzativo messo in atto è quello che ci consente, in un breve tempo possibile, di arrivare a una unica società. Non ci sono stati scontri di personalità, le due aziende erano estremamente complementari non solo sulla carta. Abbiamo attuato inoltre una politica di espansione dal punto di vista commerciale, con nuove assunzioni, per catturare nuove opportunità”.
A poco più di un anno dal merge (il 7 settembre 2016, Dell aveva concluso l’acquisizione di EMC per 67 milioni di dollari, dando vita a un colosso da 74 miliardi, ndr) la situazione è positiva sia a livello mondiale, sia a livello italiano, in termini di obiettivi di fatturato e di clienti. “Siamo un’azienda che vuole costruire infrastruttura tecnologica per i prossimi trent’anni, per questo vogliamo essere partner valido per la trasformazione digitale delle aziende. Facile a dirsi, difficile a farsi. Ma non solo i clienti hanno creduto alla genuinità della nostra scelta, ma ci hanno permesso di apportare crescita anno su anno, grazie alle sinergie propositive” esordisce Fanizzi.
I risultati ad oggi: alla fine del secondo trimestre, Dell EMC ha raccolto a livello mondiale 2 miliardi in più rispetto al piano dichiarato di Michael Dell e restituito, nei primi 12 mesi, 9,5 miliardi del debito contratto per chiudere l’operazione di fusione, tagliando parte del debito sottoscritto. “Chi avrebbe mai pensato a un anno dopo la fusione e con un debito cosi enorme, che fossimo già pronti a lanciare una nuova divisione IoT (sotto la guida del Cto di Vmware, ndr) e continuassimo a destinare 4,5 miliardi dollari in innovazione, un investimento molto forte anche rispetto ai nostri competitor?” sottolinea Fanizzi.
Italia e Michael Dell
A livello italiano si percepisce la soddisfazione dei manager: “Nel primo semestre abbiamo registrato una crescita importante del fatturato, a double digit, incrementato del 10% la nostra forza lavoro con 47 nuove assunzioni e raccolto feedback positivi dai clienti”. I feedback sono stati richiesti anche i dipendenti, in modo anonimo, che hanno manifestato l’esigenza di sistemare tutti i processi interni per andare più velocemente sul mercato. “C’è molto senso di appartenenza – incalza Ligresti –. Sono 8 mesi che lavoriamo sul go-to- market portando sui clienti lo stesso portafoglio e questo ci rende orgogliosi” .
L’Italia è nella mente di Michael Dell un punto di snodo importante, perché è un paese dove stanno riprendendo gli investimenti di alcune società anche straniere, con nuove acquisizioni, ma dove ancora si fatica a prendere in considerazione tutti gli elementi incoraggianti proposti dal Piano Calenda, così come le agevolazioni o i piani di ammortamento: “C’è ancora un po’ di confusione nel capire cosa fare con i finanziamenti predisposti dal governo. Dal canto nostro stiamo cercando di aiutare soprattutto le pmi a comprendere cosa stia succedendo – precisa Ligresti -. Il mercato non sta ancora crescendo in Italia, ma le grandi aziende italiane si stanno muovendo e devono capire che non posso competere solo sul mercato locale, protetto, ma devono essere agili e valutare nuovi investimenti. O si campa in un certo modo o si muore”.
Le linee tracciate da Michael Dell rimarcano i quattro pilastri fondamentali su cui puntare anche per la filiale italiana: risultati finanziari, market share, soddisfazione clienti, soddisfazione dipendenti. Un Michael Dell che ha trascorso tre giorni, in settembre, incontrando clienti, partner e dipendenti nel nostro paese, come atto di stima e di fiducia.
L’Italia, raccontano i due manager, è stata il paese più veloce a unire uffici per costruire velocemente i team di lavoro, con una idea molto forte di “famiglia” che comprende tutte le società del gruppo, “che hanno una parte molto precisa nella commedia, per mettere insieme un importante spettacolo” scherza Fanizzi con una metafora teatrale, promuovendo un forte investimento sullo sviluppo delle capacità delle persone interne, con percorsi formativi, di crescita: “sul personale poniamo la maggiore attenzione del nostro operato” e il fatto che il 10% della forza lavoro in Italia sia composta da nuovi assunti, senza alcun legame con il passato, permette di accelerare in modo semplice l’integrazione. “Il terzo trimestre iniziato il 4 agosto e conclusosi 3 novembre e il quattro trimestre, che si chiuderà 2 febbraio, sono per noi molto importanti dal punto di vista del fatturato raccolto”.
“Dovevamo avviare una trasformazione, un lento cambiamento con un lavoro di squadra. Siamo stati fortunati e il merge è stato fatto nel momento giusto”
Fanizzi, Dell EMC
Cambiano i pesi delle offerte
Se si guarda lo spaccato dei fatturati ad oggi, si vede che EMC portava in dote una presenza forte nel mondo pubblico, mentre in ambito privato prevaleva Dell. “Ad oggi sulla parte privata, la ex EMC è cresciuta più del 34% in fatturato, mentre sulla parte PA è stata la ex Dell a crescere più del 18%. Questi sono dati concreti che ci dimostrano che la relazione funziona” precisa Ligresti.
Dal punto di vista operativo non si è ancora arrivati a un’integrazione di prodotto tra i due mondi che scateni una crescita significativa ma si è nella fase in cui un unico portafoglio completo, pur senza ancora un’integrazione spinta, fa da volano a nuovi business. “Portiamo tutto il portafoglio sui mercati commercial ed enterprise e le nostre persone sono incentivate su un portafoglio globale. Il fatto che alla guida dell’azienda ci sia Michael Dell, un imprenditore grande appassionato di tecnologie, fa sì che esistano chiari responsabili nello sviluppo delle linee di prodotto, già oggi pensati sotto una unica guida”.
Anche i partner hanno trovato nel merge una grandissima opportunità, e l’unificazione del programma di canale fin da subito, sotto la guida di Adolfo dell’Erba, Channel Director South Europe dii Dell EMC, ha permesso di selezionare i partner e di aprire anche nuovi business a profili diversi. “Alla base della decisione di unificare i due canali c’era l’assunto che dovevamo mettere il cliente al centro per non perdere il grip con l’utente finale. Come in tutti i momenti di cambiamento c’era incertezza, ma in questo modo oggi diventiamo interessanti anche per altri partner, lasciando loro anche spazi di intervento in ambito servizi”.
“La realtà è che non abbiamo bisogno di giovani, ma di giovani preparati. E’ il talento che fa la differenza, responsabilità a livello di società a formare i cio e i ceo del futuro”
Ligresti, dell emc
Cosa succede in Italia
Il mercato italiano vede oggi un’attività molto orientata alla razionalizzazione dei data center che implica una valutazione da parte delle aziende di quante e di quali applicazioni spostare, con una scelta che impatta su tutti i workload e che spesso necessita di un aiuto consulenziale di partner qualificati. “Noi assistiamo alla crescita della richiesta di servizi consulenziali – precisa Fanizzi -. Vediamo inoltre un grande fermento sulle applicazioni, che non possono più essere mastodontiche ma devono essere sviluppate in modalità agile, open. Anche la razionalizzazione dei data center è uno dei temi clou per le aziende, perché le native cloud application devono essere messe su infrastrutture disegnate in maniera diversa, con una resilienza diversa”. Di fondo i clienti vogliono interfacciarsi con meno vendor che sappiano gestire la complessità delle loro richieste e cercano partner in grado di essere interfaccia unica per le loro esigenze.
Quattro in particolare: la digital transformation che richiede smart device, smart application, nuove tecnologie (“Oggi il 75% delle nostre risorse sono dedicate a mantenere le applicazioni funzionanti e alla gestione quotidiana, dobbiamo modernizzare IT e rinvestire I soldi risparmiati. La modernizzazione consiste nell’ adottare nuove tecnologie senza compromessi ma con tecnologie best of breed” precisa Ligresti), la strategia multi cloud e di cloud ibrido per applicazioni missioni critical, cloud native e general purpose (“Abbiamo diversi partner esterni, università, che aiutano a livello culturale a spingere la trasformazione digitale, ma abbaiamo anche un team interno che è dedicato a questo, il Dell Emc Consulting Services” precisa Fanizzi), la trasformazione del mondo del lavoro, workforce transformation, che impatta su tutte le generazioni, non solo sui millennial (“Il 44% del millennial pensa che l’ambiente di lavoro non sia abbastanza smart. Per le aziende c’è la necessità di bilanciare costi e produttività”), la sicurezza, che richiede di essere pervasiva, unificata, multilivello, che copra identità, app, data, device, network, tenendo presente che 95% delle brecce di sicurezza vengono dall’edge.
A questo scenario risponde Dell Emc con l’intera Federazione di aziende: Dell Emc in ambito infrastrutturale con soluzioni di software defined networking e servizi, Vmware e Virtustream in ambito cloud, Pivotal nel mondo delle applicazioni e Rsa Security in area sicurezza. “Le tecnologie come IA, machine learning, robotica, virtual reality , cloud, IoT stanno cambiando la società e il modo in cui le aziende adottano le tecnologie che hanno denominatore comuni – argomenta Fanizzi -: sono veloci, scalano, hanno un non so che di incognito, ma parlano tutte di progresso tecnologico, di quando le aziende utilizzino la tecnologia per aprire nuove mercati dove competere. Oggi, nelle top priority delle aziende c’è la crescita (58% secondo Gartner) con un 31% dei profili che crede l’IT strumentale alla crescita stessa, mentre il 14% crede che strumentali siano gli skill, le competenze”.
Scende in campo la formazione
Significativa su questo tema la testimonianza di Gianmarco Verona, rettore dell’Università Bocconi, che sottolinea come il settore della formazione sarà costretto a cambiare perché si deve confrontare con sfide e opportunità che il digitale pone. La sfida si gioca sul bilanciamento tra ricerca e scienza, sul modo in cui le discipline scientifiche vengono impattate dal digitale, sui nuovi canali distributivi del servizio delle università, e sulla nuova concezione di classe. “Il mondo della ricerca dice che le imprese nel corso degli anni si sono dimostrate sempre più interessate allo sviluppo (D) e meno alla ricerca (R) – precisa – L’innovazione è invece sempre più un gioco di squadra, open, e in futuro l’università avrà ruolo di partnership molto più strategico rispetto al rilascio di brevetti”.
Il tema vero è capire come cambiano le discipline e approntare nuovi ambiti di studio introdotti dalle opportunità create dal digitale, come ad esempio gli studi sul social media marketing che sta rivoluzionando la visione tradizionale del consumatore, o gli studi sulla finanza moderna che fa riferimento a deep learning, machine learning, con comportamenti in evoluzione. “In questo mondo le discipline hanno un potenziale molto diverso rispetto al passato e sta cambiando la natura delle discipline stesse offerte dalla università, oltre al fatto che cambiano i processi di apprendimento, con un approccio try and learning, e con piattaforme che aiutano a imparare in modo diverso rispetto al passato”. Anche l’aula non è più un luogo per scambiare informazioni, ma un laboratorio di “skill development”, dove trasferire in digitale la conoscenza, in modo anche più interattivo, con interrelazioni più creative rispetto al passato. “Non cambia solo la ricerca, ma anche l’impatto sulle discipline, la possibilità di interagire su più canali e l’interazione in aula” precisa il rettore.
A sostegno dell’urgenza che il digitale impone, gli studenti del primo anno saranno “costretti” a fare un corso obbligatorio di coding (sì, avete letto bene, coding in Bocconi), perché parlare di digitale implica anche conoscerne la natura.
© RIPRODUZIONE RISERVATA