Parte dal suo ultimo libro “L’organizzazione aperta, un nuovo modo di lavorare” l’incontro con Jim Whitehurst, Ceo di Red Hat, in Italia per incontrare i grandi clienti e alcuni giornalisti nella sua giornata romana. Cita Sogei, Ministero della Finanza, Magneti Marelli, Vodafone, Fastweb, Bper e Inail… clienti che in ambito enterprise si collocano sia nella sfera pubblica che privata e che hanno avviato negli anni progetti open source. Era da 5 anni che Whitehurst non veniva in Italia ma ora la strategia dell’azienda, entrata tra le Top 10 software house al mondo, lo richiede. “Il fatto che lavoriamo in Consip, accanto a Microsoft, Oracle e Ibm, dimostra una penetrazione del software open source notevole anche nella PA, così come nelle grandi aziende dove siamo presenti con soluzioni nel 90% delle Fortune 500 a livello mondiale”.

Incontri mirati e innovazione dal basso

“Se dirigete, o aspirate a dirigere un’organizzazione di qualunque tipo, non potete continuare a fare le cose nello stesso modo in cui le avete sempre fatte” esordisce Whitehurst così, nel libro e nella vita. Una visione adottata anche da Red Hat stessa, filosofia open e collaborativa, perché non si può insegnare ai clienti quello che si predica, senza essere i primi a metterlo in atto. “Molte aziende prestigiose da General Electric a Starbucks hanno trasformato il volere della folla (crowdsourcing) in nuove idee di business e di prodotto e hanno convertito i feedback dei clienti in innovazione – spiega -. Ma il modello open source non è monodirezionale, coinvolge, è collaborativo in un processo che in cui chiunque può contribuire a differenza di quanto avviene nello sviluppo del software tradizionale. Mettendo a disposizione tempo ed energie”. E incontri mirati.

Tre fenomeni stanno caratterizzando il nostro mondo sostiene Whitehurst a supporto della sua strategia. Il primo: big data, Intelligenza artificiale, loT rappresentano tutti ambiti in cui gli sviluppatori fanno innovazione basandosi per il 90% su codice open source. Il secondo: la tecnologia è guidata dagli utenti non più dai vendor e questo comporta un cambiamento radiale nella relazione tra fornitori e clienti e nei trend di innovazione. Terzo, la tecnologia open source è ormai utilizzabile dalle aziende enterprise, di tutte le fasce. “Negli ultimi dieci anni la tecnologia ha avuto una accelerata molto forte ma soprattutto negli ultimi 5 anni è cambiata la logica in cui si pensa all’innovazione: dal vendor all’utente, perché ormai l’innovazione è guidata dagli utenti, parte dal basso. Basta guardare all’impatto delle innovazioni portate da aziende con Google, Facebook, Amazon, Alibaba”.

Jim Whitehurst, Ceo di Red Hat
Jim Whitehurst, Ceo di Red Hat, nell’incontro a Roma

Nella sua visione “si innova senza bisogno di essere in Silicon Valley, dal momento che la comunità open source è fatta di milioni di sviluppatori disseminati in tutto il mondo e fa leva da una parte su developer e start up, dall’altra sugli utenti stessi che sfruttano la tecnologia” e che sono portatori di nuove istanze. Le acquisizioni, che Red Hat continua a fare negli anni, rispondono alla logica di integrare tecnologie innovative che ampliano l’offerta sempre con focus sull’Open Source Enterprise.

Una strategia che ha fatto sì che l’azienda, nei sui 25 anni di storia di servizi e soluzioni pacchettizzate attorno al software open source, sfiori un fatturato di 3 miliardi di dollari: “Negli ultimi anni abbiamo reso disponibile nuove infrastrutture per le aziende enterprise per realizzare nuove app e, grazie a una tecnologia sempre più automatizzata che sfrutta container e tecnologia Kubernetes, riusciamo ad interessare anche aziende di fascia media, praticamente allargando il nostro raggio di azione”.

“Dal punto di vista dell’approccio ai prodotti, la strategia di Red Hat segue tre pilastri: la completezza dell’offerta con un portafoglio articolato, l’apertura dei prodotti che seguono l’approccio ‘any app, any time, anywhere’ e la flessibilità offerta agli utenti che possono usare il software che preferiscono”. Dal punto di vista della segmentazione del mercato, invece, il focus è spazia dalle grandi enterprise alle small medium enterprise, che ricercano soluzioni e servizi. “Il concetto della scelta che il cliente fa è per noi fondamentale, e abbiamo lavorato in tutti questi anni perché la scelta delle soluzioni possa essere indipendente dall’hardware”.

Le banche le prime a cambiare

“Le aziende tradizionali enterprise stanno cambiando molto, basti pensare alle grandi banche. Ma se devo pensare a un industry che ad oggi coglie meglio di altri il valore dell’open source direi quella dei financial services, perché considerano il digitale come leva per innescare processi di trasformazione. La tecnologia deve essere resiliente, attrattiva e creare opportunità” continua il Ceo.

Ma qual è la parte difficile nel fare capire alle aziende enterprise il valore di una scelta open source? È convincere la leadership. Per guidare in modo efficiente le aziende nella scelta delle soluzioni open source bisogna eliminare le resistenze e spingere per la trasformazione digitale. “I problemi da gestire: cambiamento della mentalità dei leader, perché non è una questione di tecnologia ma serve creare il contesto per ripesare ai propri modelli, in ottica open mind. Il secondo punto è la collaboration: nessuna grande idea viene solo da una persona, e questo implica che ci si confronti, si abbia rispetto reciproco, ci si scambi idee. La chiave è disaggregare quanto abbiamo e pensarlo coinvolgendo le persone. E’ un nuovo modello di business, che porta a trasformare l’azienda in una comunità, in modo da trattenere i migliori dipendenti e attrarre i talenti dall’esterno, eliminando le barriere e gli ostacoli alla collaborazione e alla partecipazione”.

Ma l’organizzazione aperta richiede tempo, “perché parla al cuore dei dipendenti e non al loro portafogli. L’80% delle nostre idee viene dalla condivisione. Se due persone si scambiano una mela alla fine hanno una mela, se due persone si scambiano una idea alla fine hanno due idee. L’organizzazione aperta sfrutta il valore della partecipazione sia all’interno che all’esterno per generare risultati finanziari costantemente positivi come l’open source che si basa sui concetti di apertura, trasparenza, partecipazione, collaborazione e questo modello è applicato anche nella gestione di Red Hat stessa”.

La tecnologia del futuro

“Non so prevedere il futuro, ma credo che l’impatto dell’AI coinvolgerà ogni prodotto e persona, sarà la tecnologia più disruptive, e ad oggi i progetti di AI sono su tutti su tecnologie open source”.
Non si sbilancia sulle previsioni di fatturato di Red Hat per il prossimo 2019, “essendo in quiet period”, anche se la crescita degli ultimi quarter indica la rotta, e lascia intendere che, come negli anni passati caratterizzati da almeno un paio di acquisizioni (33 in 25 anni), si continuerà a cercare startup e aziende innovative con tecnologie interessanti da inglobare nella propria offerta. “Shopping around” conclude, senza nulla di più.
Un’ultima battuta sulla normativa del Copyright, se contrasta con la strategia di open mind: “Il vero problema non è la normativa europea sul copyright ma i brevetti non dati in mano alle community per sviluppare nuovo software”.

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