La consumerizzazione dei dati ha determinato una vera e propria rivoluzione nello scenario software. E oggi si assiste alla penetrazione di strumenti di analisi delle informazioni direttamente nelle applicazioni aziendali.
Quasi la totalità di chi sviluppa applicazioni offre una qualche funzionalità di reportistica o una dashboard di analisi ma è importante cercare di capire come questo cambiamento, correttamente indirizzato, possa portare a risultati benèfici per il business.
Proponiamo a questo proposito un’analisi basata su quattro punti cardine: i vantaggi di una BI accessibile e coerente per una buona user experience; le aziende stanno facendo profitti con gli analytics, sono i clienti ad esprimere bisogni di BI precisi e gli analytics integrati nelle applicazioni rappresentano il paradigma per valorizzare le informazioni.
La BI incontra l’esperienza utente
L’esperienza insegna come il successo di un’applicazione sia spesso frutto della semplicità dell’ambiente proposto all’utente che la deve utilizzare. Non riuscire a padroneggiare le soluzioni, o semplicemente doverne utilizzare troppe per arrivare al risultato porta poi in parole a fare meno bene il proprio lavoro, sprecando tempo. Questo vale tanto più quando si parla di analisi.
Addirittura, dati del Worldwide Cloud Report riportano come le medie aziende utilizzino complessivamente oltre 750 applicazioni in cloud; in alcuni casi gli utenti arrivano ad accedere a fino a 20 applicazioni cloud in un’unica giornata, senza contare ovviamente quelle installate sullo smartphone. Dietro a questi accessi c’è un volume di attività importante con flussi di lavoro anche molto impegnativi.
Il semplice aiuto nell’analisi dei dati offerto da grafici accattivanti non è sufficiente se non porta ad interpretare i dati in modo nuovo e intuitivo. Non è che le “letture” interessanti possano essere figlie semplicemente dell’intuizione. Per questo, nello sviluppo, è importante considerare la user experience, comprendere in quale contesti vengano consumati i dati.
A questo proposito ecco un esempio semplice di user experience chiara di BI integrata a partire dalla funzione Chi ha visualizzato il tuo profilo di Linkedin, che pone in relazione subito le azioni dell’utente con la possibilità di vedere, ma anche di nascondere, dati che magari in un certo momento non servono e infine suggerisce la possibilità di ulteriori azioni
Una buona user experience porta risultati a volte in breve tempo. Per esempio è capitato ad un ente di beneficenza americano di incrementare le donazioni a proprio favore del 50% concentrandosi proprio su questo aspetto. Sempre da una ricerca americana è emerso come in ambito sanitario problemi di usabilità applicativa possano portare alla somministrazione di medicinali errati (fonte: Albert W. e Tullis T. Measuring The User Experience, Newnes, 2013).
Le aziende fanno profitti con gli analytics
Integrare l’analisi nelle applicazioni non è più una scelta. Già nel 2016 il 96 percento dei più importanti fornitori di soluzioni Saas integrava opzioni di reportistica e analisi. Di questi vendor l’84% oggi offre varie edizioni per riuscire a proporre il proprio software a diverse tipologie di clienti, facendo leva proprio su analytics e reporting.
Il 60% dei vendor propone soluzioni pronte all’uso out-of-the-box senza costi aggiuntivi, mentre altri a seconda delle tipologie di report richieste si propongono con edizioni differenti, e altri ancora preferiscono integrare strumenti di reporting di altre realtà. Soprattutto alcuni vendor permettono la possibilità di generare report su misura solo nelle versioni più costose.
In un’estrema sintesi, frutto del confronto tra i listini, si parla di strumenti software dal costo per utente di circa 50 dollari senza reportistica, che sale a circa 114 dollari quando essa è presente (ma in qualche forma limitata) fino agli oltre 600 dollari nel caso in cui è permesso all’utente di generare report ad hoc.
E’ la prova di quanto le aziende siano consapevoli del valore del proprio software quando include strumenti di analytics, ma anche di quanto il valore effettivo del business possa lievitare quando si riesce a comprendere il valore delle informazioni. I due punti successivi sono però quelli nodali. Assistiamo infatti al bisogno di un “consumo” di BI sempre più personalizzato, ancora in parte mal indirizzato. Spieghiamo.
I clienti sanno di quale BI hanno bisogno
Qualcosa è cambiato. A decidere quale sia la BI di cui si ha bisogno non è più il vendor che la integra nel prodotto, ma è direttamente l’utente che deve spremere valore dai dati. E l’erogazione dei software come servizio ha contribuito ad accelerare questo processo, perché ad ogni rinnovo della sottoscrizione sarà il cliente a decidere se un determinato applicativo ha soddisfatto le attese, secondo quanto gli era stato promesso. Il fenomeno è persino più articolato.
Più le applicazioni sono accessibili, e più vengono utilizzate grazie ad una user experience migliorata, più si alza l’asticella delle aspettative. Quindi il cliente non è più un’entità senza voce, e ogni utente si rivela diverso da un altro. Significa che anche i workflow richiesti in ognuna delle applicazioni di ogni azienda saranno diversi: c’è chi nei report preferisce la semplicità, chi vuole adattare i contenuti, e chi chiede di esplorare a fondo i dati. Secondo uno schema riconducibile a quello nella foto sopra.
Una ricerca Wayne Eckerson scende più in profondità ed evidenzia quante e quali siano le variabili che fanno parte delle richieste più comuni oggi in questo ambito.
Come si vede, emerge come strumenti di reportistica siano presenti nella maggior parte delle proposte, mentre analisi e analisi predittiva sono incluse in un numero inferiore, ma comunque ampio di prodotti, uno specchio delle diverse esigenze.
Come cambia il consumo di analytics
La nuova regola, desiderata tra l’altro dagli utenti, è un’esperienza fluida, quindi la possibilità di consumare il dato senza interruzioni nello stesso luogo applicativo in cui già si opera. Cambia il modello, non si vuole più sfruttare la BI in applicazioni separate, quanto piuttosto integrata in quelle già utilizzate.
Questo però non significa semplicemente includere una scheda “Report” nei menu, o offrire un’area separata che comunque sposta l’attenzione degli utenti dal contesto, significa invece lasciare visualizzare le informazioni all’interno della pagina su cui già lavorano, offrendo quindi analisi “in-application”.
Questo approccio, tra l’altro, permetterà ad un numero sempre maggiore di utenti di accostarsi agli strumenti di BI, con minori complicazioni, valorizzando le applicazioni che già si hanno. Tra i clienti Tibco Jaspersoft, in ambito educational, Triumph Learning riferisce l’esperienza positiva dei propri insegnanti che possono continuare ad utilizzare l’applicazione di sempre con integrati strumenti da data scientist.
Non perdere tutti gli approfondimenti sul tema e vai alla room Jaspersoft, una BI diversa
© RIPRODUZIONE RISERVATA