Le attività delle piattaforme online che offrono servizi cloud, social e contenuti multimediali in streaming sono monitorate da Agcom per quanto riguarda le performance e gli economics del 2018 e a fine 2019 l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni pubblica il primo Osservatorio su questo spaccato, consapevole del ruolo assunto dalle piattaforme non esclusivamente nell’ambito delle comunicazioni, ma tout court per quanto riguarda economia e società.
Alphabet (Google), Amazon, Apple, Facebook, Microsoft e Netflix fotografate dall’Osservatorio conseguono nel 2018 692 miliardi di euro di ricavi a livello globale, e Agcom evidenzia come questa cifra sia circa quattro volte superiore a quello delle principali imprese di telecomunicazioni e media tradizionali.
Quasi la metà del fatturato è frutto delle attività fuori dal continente della casa madre. Per le Tlc e le media company tradizionali, questa percentuale è invece appena del 15% e anche la produttività per dipendente delle piattaforme online è sensibilmente più elevata rispetto a quelle di Tlc e media tradizionali (0,7 milioni di euro per dipendente rispetto a 0,4 milioni di euro).
Il problema fiscale
I dati si riferiscono al 2018. Oltre ai numeri Agcom le nostre riflessioni personali ci portano a ricordare, in quell’anno, le contestazioni della Guardia di Finanza a Facebook proprio a giugno (e poi l’accordo di fine anno), così come nel 2017 quelle a Google (che pure si accordò con le Entrate). Tra il 2014 e il 2018, secondo fonti autorevoli, i giganti del Web avrebbero risparmiato circa 50 miliardi di euro di tasse (a livello globale) domiciliando quasi la metà degli utili ante imposte in Paesi a fiscalità agevolata (Fonte: Ansa e R&S Mediobanca).
I numeri di R&S Mediobanca dicono inoltre che solo nel 2018 i colossi di Internet hanno risparmiato circa 5 miliardi di tasse a livello globale, sfruttando a fondo tutte le opportunità di fiscalità agevolata. Solitamente le aziende riescono a farlo spostando il fatturato delle controllate (in Italia in questo caso) in Paesi con aliquote fiscali minori.
Si muovono su un crinale, e indubbiamente sono abili a sfruttare tutte le pieghe concesse dalla normativa. Con Apple riconosciuta tra le aziende che riescono a fare meglio per quanto riguarda l’ottimizzazione fiscale.
Profitti e impegno in R&D
In ogni caso, l’analisi di Agcom si concentra su altro. Le piattaforme presentano in media una profittabilità lorda del 49%, margine operativo pari al 21% dei ricavi (circa 24 miliardi di euro), queste aziende – rispetto a Tlc e media tradizionali spendono anche molto di più per innovare (13 miliardi in media nel 2018), mantenendo però alta la redditività del capitale proprio e del capitale investito (rispettivamente 32% e 15% di Roi di media).
Si tratta sempre di piattaforme che occupano le prime posizioni del mercato e quando occupano il primo posto, nel proprio ambito, lo fanno sempre con più del 30% di market share. Tuttavia Agcom registra anche che i settori in cui le piattaforme riescono a imporsi sussistono ostacoli per la crescita di nuovi attori.
In numeri: si stima che la soglia di profitto nel mercato mondiale dell’e-commerce è di oltre 50 miliardi di euro di ricavi, con un punto di break-even stimato sopra i 20 miliardi nel caso in cui si volesse “aprire” un nuovo motore di ricerca, e di 10 miliardi per riuscire a rendere profittevole un nuovo social network non specializzato.
Agcom stima che il valore dei dati acquisiti da queste piattaforme per ogni singolo utente oscilli tra i 10 e i 40 euro all’anno per utente, con una forbice decisamente aperta a seconda delle aree geografiche per cui gli account di utenti che spendono online di più, già solo per la pubblicità valgono negli Usa tre volte rispetto a quelli di un utente europeo e 15/18 volte quelli di un utente dei Paesi in via di sviluppo.
Le piattaforme online e la sostenibilità
Il mondo delle piattaforme online, a fronte di evidenti benefici, evidenzia a nostro avviso una serie di gravi squilibri. A partire dalla redistribuzione dei profitti (dirigenti/dipendenti), fino ad arrivare appunto al tema della contribuzione fiscale, oggetto di una serie infinita di dibattiti (si pensi anche solo alla Web Tax). Verrebbe da sottolineare infine anche il tema della sostenibilità, ambientale, ma non solo.
Secondo Greenpeace il consumo energetico di tutta la sfera IT è del 7% a livello globale. Ma anche se nessuno è oggi in grado di calcolare complessivamente l’impatto ambientale complessivo dell’utilizzo della Rete, studi di settore stimano che all’Ict nel complesso è possibile attribuire la stessa percentuale di emissioni del traffico aereo (circa il 2% sul totale dei gas serra, fonte: Nature).
In questa fase del dibattito il nemico giurato di giovani (ma anche meno giovani) sono plastica e diesel. A quelli si può e “si deve” rinunciare (ci riferiamo ad alcune evidenti forzature commerciali in atto). Sembra molto più difficile fare a meno di cloud, social, servizi streaming e di ricevere il pacco a casa il giorno dopo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA