Oggi la maggior parte delle aziende IT vanta processi di produzione green, punta sulle energie rinnovabili e ad essere sostenibile. Tra queste anche i più importanti produttori di smartphone. Tra i problemi più importanti, limitando l’analisi proprio al comparto dei dispositivi per la mobility (tablet e smartphone soprattutto), quello della sostituzione delle batterie resta un tema di sicura rilevanza, perché la riduzione dell’autonomia è tra le principali cause dell’obsolescenza dei dispositivi e, di fronte ai costi di sostituzione, si preferisce acquistare uno smartphone nuovo.
I primi modelli consentivano in modo molto facile di cambiare la batteria, senza dover ricorrere all’assistenza. Si trattava di un’operazione alla portata di tutti. Oggi non è più così, per una serie di ragioni: è cambiato il design, e gli smartphone sono diventati molto più sottili, e la gestione dello spazio disponibile per l’installazione dei componenti è calcolata al decimo di millimetro. Con la batteria non rimuovibile i dispositivi però hanno guadagnato in impermeabilità e possono ora ospitare batterie più grandi. Allo stesso tempo poi si è accorciato l’intervallo di sostituzione degli smartphone e i consumatori desiderano cambiare il proprio dispositivo con una frequenza maggiore rispetto al passato.
Per questo, è vero che pensare anche solo dopo tre o quattro anni di dare nuova vita al cellulare, semplicemente sostituendo la batteria, potrebbe sembrare anche un po’ anacronistico. Quando si sa, tra l’altro, che non si potrà disporre degli aggiornamenti più recenti alle versioni del sistema operativo, oppure semplicemente che con l’arrivo di nuovi standard (ora il 5G, domani il 6G) e dei nuovi modem radio sarà quasi “per forza” necessario comprare un dispositivo nuovo.
Il tema dell’obsolescenza più o meno programmata dei dispositivi elettronici ha davvero moltissime sfaccettature.
A questo proposito, Frans Timmermans, executive vice presidente della Commissione Europea per l’European Green Deal, di recente si è riproposto di risolverne più di uno, a partire proprio da quello delle batterie, con un progetto che potrebbe essere presentato in aula già a metà del mese di marzo.
Nell’ambito del Green Deal, l’Europa si propone di diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 e per raggiungere l’obiettivo, la Commissione Europea ha allo studio un pacchetto di misure per portare cittadini e imprese a beneficiare di “una transizione verde e sostenibile”. Le misure prevedono riduzioni notevoli delle emissioni, investimenti nella ricerca e nell’innovazione di avanguardia e tutela dell’ambiente naturale dell’Europa. L’idea è quella di proporre una strategia di crescita nuova e diversa.
E in questo contesto si inserisce anche l’idea di Timmermans che effettivamente ha un respiro più ampio, rispetto al solo problema delle batterie e a nostro avviso va nella giusta direzione: vuole per esempio vietare in UE la distruzione dei dispositivi elettronici invenduti, in modo da incoraggiare il riutilizzo delle materie prime e ridurre l’esportazione dei rifiuti negli altri Paesi.
Sarebbe in discussione poi anche la possibilità di prolungare il periodo della garanzia, portare i vendor a sfruttare ancora meglio il riciclaggio attuale dei componenti e rendere i dispositivi più facilmente riparabili, con i pezzi di ricambio disponibili anche al pubblico. Una sfida che affianco ad indubbi vantaggi, non è facile raccolga il consenso di tutti. Se l’obiettivo infatti è crescere, l’idea di allungare il ciclo di vita dei device non facilita certo il business dei vendor. Allo stesso tempo crescere non significa solo contare i pezzi venduti.
C’è poi un altro problema e cioè che la proposta UE per sortire qualche effetto dovrebbe essere accolta anche fuori dai confini europei. Non è oggettivamente credibile pensare a progetti di sviluppo prodotto per il nostro mercato, diversi da quelli del resto del mondo. Questo non vuol dire di sicuro rinunciare o che non si tratti di lavorare su questi temi. In fondo anche la regolamentazione sul Gdpr, considerata inizialmente in modo negativo, oggi sta facendo scuola a partire proprio dagli Usa.
L’UE già da tempo ha poi votato per costringere i produttori ad adottare un unico standard comune (Usb Type-C). E non si può dire che sia stata una cattiva idea. Oggi l’eccezione più evidente sono ancora iPhone e iPad di Apple, che adottano il connettore Lightning. Il Ceo Tim Cook sostiene che un provvedimento come questo di fatto mette comunque in difficoltà milioni di utilizzatori di iPhone e impedisce di innovare con l’adozione di soluzioni alternative. Vero, ma è sempre possibile cambiare. E Apple stessa nella sua storia non ha rinunciato a farlo, a volte anche mettendo in difficoltà i suoi stessi clienti.
Essere green davvero significa prima di tutto cooperare altrimenti serve a poco.
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