Dal 1 giugno l’app Immuni è disponibile per il download da Play Store (Google) e App Store (Apple), rispettivamente per i sistemi Android ed iOS. Dopo le prime 24 ore, come dichiarato dal ministro per l’Innovazione Paola Pisano, l’app risulta scaricata già oltre 500mila volte. Sviluppata nel rispetto della normativa italiana ed europea per quanto riguarda la tutela della privacy, l’app vuole essere un supporto tecnologico, affianco delle altre iniziative messe in campo dal Governo, per limitare l’ulteriore diffusione del virus Covid-19. Sul sito immuni.italia.it si possono trovare tutte le istruzioni relative al suo utilizzo, che sintetizziamo in questo contributo. 

A chi si è trovato a stretto contatto con un utente risultato positivo al virus, l’app invia una notifica che avverte del potenziale rischio di essere stato contagiato. Per farlo sfrutta la tecnologia Bluetooth Low Energy, l’app non raccoglie dati sull’identità o la posizione dell’utente. Gli utenti, avvertiti dall’app di un possibile contagio, possono isolarsi per evitare di contagiare altri e, se questa è la loro scelta, possono aiutare a contenere l’epidemia. Ovviamente possono anche avvertire il medico curante per ridurre così il rischio di complicanze successive. Non ci sono comunque obblighi. 

App immuni
App immuni

L’app non raccoglie nome e cognome, né il numero di telefono, né indirizzo email, né tanto meno l’identità delle persone incontrate e nemmeno la posizione o i percorsi. In modo molto semplificato, l’app fa in modo che il dispositivo del proprietario che l’ha installata continui ad emettere un segnale Bluetooth con un codice casuale; quando una persona si avvicina ad un’altra, che a sua volta ha scelto di installare ed utilizzare Immuni,  gli smartphone registrano nella memoria il codice casuale dell’altra persona tenendo traccia del contatto, di quanto è durato e a che distanza si trovavano i due smartphone.

La generazione dei codici è casuale e non contiene informazioni sul dispositivo, né sull’utente e i codici sono modificati diverse volte nel giro di un’ora.

Quando una delle persone risulta positiva al virus, con l’aiuto di un operatore sanitario può caricare su un server le chiavi crittografiche dalle quali è possibile derivare i suoi codici casuali. Per ognuno degli utenti l’app scarica periodicamente dal server le nuove chiavi crittografiche inviate dagli utenti che sono risultati positivi al virus. Ci si può aspettare che questa operazione consumi fino a qualche megabyte di traffico dati al giorno, più o meno come caricare una pagina di un sito con qualche foto, in ogni caso l’app di suo per funzionare non ha bisogno di connessione dati, salvo che per eseguire l’operazione citata.

L’app quindi usa queste chiavi “scaricate” per derivare i loro codici casuali e controlla se qualcuno di quei codici corrisponde a quelli registrati nella memoria dello smartphone nei giorni precedenti. L’app della persona che ha incontrato una persona rivelatasi poi infetta verificherà se la durata e la distanza del contatto siano state tali da aver potuto causare un contagio e, se sì, avvertirà la prima. I servizi sanitari regionali possono gradualmente attivare gli avvisi dell’app a partire dall’8 di giugno. Partono per prime le regioni: Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia.

Il progetto è nato dalla collaborazione tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro della Salute, Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, Regioni, Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 e le società pubbliche Sogei e PagoPa. Base di lavoro per la realizzazione dell’app è il codice messo gratuitamente a disposizione dello Stato da parte della società Bending Spoons. Il codice è ovviamente open source e disponibile su GitHub, con licenza Gnu e per utilizzare l’app bisogna avere almeno 14 anni, diversamente servirà il permesso dei genitori.

Ministero della Salute e Mid parlano di “approfondita interlocuzione con il Garante per la protezione dei dati personali e riservando massima attenzione alla privacy“. Le informazioni sono controllate dal Ministero della Salute che assicura che in nessun caso “i dati verranno venduti o usati per qualsivoglia scopo commerciale, inclusa la profilazione a fini pubblicitari. Il progetto non ha alcun fine di lucro, ma nasce unicamente per aiutare a far fronte all’epidemia. Non è esclusa la condivisione di dati al fine di favorire la ricerca scientifica, ma solo previa completa anonimizzazione e aggregazione degli stessi”.

Non manca anche qualche criticità, per esempio, fonti autorevoli riportano che l’app non funziona sugli smartphone Huawei e Honor ma, in questo caso, il divieto per Huawei (produttore cinese) di utilizzare i servizi di Google non c’entra. La ragione sarebbe piuttosto da ricercare nei sistemi di gestione del risparmio energetico particolarmente severi su questi smartphone che impedirebbero all’applicazione il corretto funzionamento prolungato in background, per cui di fatto l’applicazione viene chiusa, e l’utente potrebbe anche non rendersi del tutto conto dell’operazione.

Non si tratta quindi né di un problema dell’app, né di un problema del suo funzionamento su Android, quanto piuttosto dello specifico “tuning” del sistema operativo Android come è stato pensato dal produttore dello smartphone, a vantaggio certo del risparmio energetico, ma in questo caso a svantaggio dell’efficienza dell’app e della sua utilizzabilità tout court.

Aggiornamento: L’app Immuni dall’8 giugno 2020 è di nuovo disponibile e funzionante su tutti gli smartphone Huawei.

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