“Oggi l’uso della rete 5G rappresenta il potenziale per accelerare il processo di digitalizzazione delle imprese e gestire un’infinità di nuove connessioni grazie ad una banda molto più ampia rispetto al 4G. Ma perché tutto ciò si esprima, la tecnologia radio non è sufficiente; serve una rete fissa che la supporti, rete che ad oggi non è ancora adeguata a coprire in maniera capillare tutto il territorio del nostro Paese”. Parte da questa considerazione l’intervista a Enrico Mondo, Head of Business Operations and Development di Retelit, che racconta come si presenta oggi l’ecosistema 5G italiano, quali sono le criticità e quale ruolo può giocare in questo ambito un digital enabler come Retelit.
“Fino ad oggi, gli investimenti sul 5G degli operatori di settore si sono concentrati nelle aree più redditizie del Paese – esordisce Enrico Mondo inquadrando lo scenario in cui ci muoviamo. – Per questo, l’iniziativa del Governo divide giustamente il bando Italia 5G in due porzioni: la prima, finalizzata a coprire l’infrastruttura di rete fissa a supporto della rete radio, la cosiddetta backhauling; la seconda, dedicata alla copertura delle aree a fallimento di mercato. Si apre così in ambito wireless il tema delle torri da dislocare anche in territori non redditizi, dove va ugualmente offerto un servizio 5G a garanzia di uniformità. Si tratta peraltro degli obiettivi che ci pongono anche le direttive europee, volte proprio ad evitare che ci siano coperture a macchia di leopardo e vengano trascurate regioni meno raggiungibili. È lì che lo Stato deve intervenire con i fondi messi a disposizione dal Pnrr ponendosi come obiettivo complessivo quello di determinare una copertura più omogenea del territorio”.
Gli operatori mobili nella ricerca di equilibrio tra strategie di investimento infrastrutturali e strategie commerciali. In questo contesto, la prima criticità riguarda l’entità degli investimenti, sottolinea Mondo: “Le licenze 5G hanno gravato pesantemente sui conti degli operatori italiani. Nel 2018, con continui rilanci sulla competizione, nel nostro Paese la spesa in infrastrutture è risultata molto più alta che in altre nazioni europee (1,5 volte rispetto alla Germania, 3 volte rispetto all’Inghilterra e quasi 4 volte rispetto alla Spagna), tanto che gli operatori italiani hanno chiesto una dilazione nel pagamento dell’ultima maxi-rata del valore di 4,8 miliardi di euro, una cifra enorme seppure distribuita tra i vari player. Ne consegue che gli operatori sono oggi ancora concentrati sul potenziamento del 4G grazie ai suoi ritorni immediati mentre sul 5G si stanno muovendo, ma non ponendo ancora questa tecnologia in cima alle loro priorità”.
Per sopperire a queste criticità, da un lato si sviluppa il concetto di condivisione delle risorse e dall’altro il ruolo dell’operatore wholesale, puntando a creare un ecosistema nella copertura del territorio. “A fronte degli investimenti che gli operatori si sono dovuti sobbarcare è indispensabile per la loro sopravvivenza condividere al massimo le infrastrutture di netwoking e la rete – incalza Mondo –, ma senza perdere la loro identità commerciale. Da qui il ruolo di un operatore wholesale imparziale, che non agisce in competizione con gli operatori mobili ma si prende in carico la realizzazione delle infrastrutture mancanti per poi metterle a disposizione degli operatori richiedenti a condizioni che garantiscano parità di trattamento e stimolino la rispettiva copertura con i servizi dei territori oggetto di intervento”.
Un modello non sempre facile da attuare, sottolinea Mondo, perché ogni operatore ha adottato un approccio diverso e condividere qualcosa nata come soluzione stand-alone è molto complicato. E’ però indubbio che questa condivisione debba avvenire: gli studi dimostrano infatti che grazie alla condivisione delle reti attive e passive, gli operatori di telefonia mobile possono ridurre i costi fino al 30%.
Il bando dedicato alle aree fallimentari è andato inizialmente deserto, nonostante le sovvenzioni concesse da Infratel arrivassero fino al 90%, e poi ridimensionato avrebbe avuto almeno un’offerta. “Probabilmente la difficoltà di trovare la quadra economica unita al rischio di esporsi come aggiudicatario di bando alle richieste dei propri concorrenti, ha disincentivato la partecipazione, soprattutto se si parla di operatori non neutrali chiamati in qualche modo a rivestire il ruolo di operatore wholesale e offrire poi l’accesso a se stessi e agli altri a parità di trattamento. L’assegnazione a TIM di tutti i lotti del bando relativo al backhauling pone poi un tema di concentrazione in capo ad un unico soggetto di un piano estremamente complesso, un po’ come avvenuto con Open Fiber sulle aree bianche. Può però essere affrontato attraverso la ricerca di sinergie e collaborazioni con gli altri player wholesale che, facendo leva su competenze, esperienza e capacità operativa, possano compartecipare alla realizzazione del piano”.
Si fanno strada nuovi modelli di business. “Guardando ad aree geografiche dove il 5G è più sviluppato si comprende come ci sia ancora spazio per altri player all’interno dell’ecosistema, in particolare per quanto riguarda i servizi verticali“, prosegue Mondo. Il 5G permette infatti di ritagliare fette di rete per esigenze specifiche di alcune industries, come i trasporti, la sicurezza, il manufacturing, e di svilupparne anche altre in futuro dove la regolamentazione è ancora tutta da costruire. “In risposta ad una consultazione pubblica di Agcom – dichiara Mondo –, abbiamo messo in evidenza come per esempio il modello tedesco sia particolarmente interessante in questo contesto, perché consente anche a operatori non licenziatari delle frequenze 5G di inserirsi e accedere a porzioni di rete per costruire delle soluzioni settoriali. Si tratta di una grande opportunità anche per operatori come Retelit che pur non avendo licenze hanno nel target clienti business a cui oggi offrono servizi di rete fissa e che un domani potranno complementare anche con servizi 5G”.
Come la rete e i servizi di connettività e backhauling di Retelit possono contribuire all’evoluzione del Paese. La condivisione “attiva” che riguarda la rete backhauling di accesso radio (fatta di antenne, trasmettitori, stazioni radio-base, switch, reti fisse) comporta un maggiore sforzo progettuale ma può anche dare risultati economici superiori. In questo contesto, una realtà come Retelit può intervenire in modo efficace, e lo sta già facendo. “Oggi colleghiamo oltre 1.600 torri con la nostra fibra e lo facciamo non per erogare i nostri servizi ai clienti retail ma per allargare i servizi ai clienti wholesale, ai grandi operatori, a cui diamo fibra spinta per collegare le torri, ma anche agli operatori medio-piccoli a cui forniamo servizi attivi, capacità ridondate e banda garantita per veicolare il traffico che queste realtà raccolgono nelle base-station e che devono portare ai propri data center. Questa componente è già oggetto del nostro business e verrà sicuramente sviluppata in futuro. Il bando del backhauling 5G in un certo senso è proprio la replica, nelle aree meno profittevoli, di questo modello che già privatamente abbiamo portato avanti in questi anni e che stiamo rafforzando con ulteriori investimenti per raggiungere rapidamente le numerose torri che si trovano in prossimità della nostra rete e offrire i relativi collegamenti agli operatori wireless”.
“Parallelamente, stiamo sviluppando altre tipologie di offerta, alcune più legate al 5G che aprono ulteriori prospettive. Ultimamente diversi operatori wireless (Linkem per esempio) stanno dividendo la parte di servizi da quella di rete, aprendo la rete ad altri operatori”. La stessa cosa potrebbe essere fatta in sinergia operatori più legati alla rete fissa, come Retelit, per quanto riguarda tutto il mondo dell’edge computing che unisce alla rete la gestione sicura a livello periferico dei dati dislocati sul territorio. “L’unione del backhauling e dell’edge computing è la soluzione più naturale per gli operatori di rete fissa come noi, che peraltro operano già oggi con i propri data center e con le proprie piattaforme cloud”, dichiara il manager.
Il peso degli accordi di Retelit con gli altri operatori di rete per garantire alle aziende in aree remote una banda larga ed elevate prestazioni. “Oggi lavoriamo con diversi fornitori sia in ambito cloud che in ambito rete, le cui tecnologie possono essere integrate con quelle già esistenti sulle nostre strutture. Come operatore wholesale abbiamo vissuto di partnership con altri operatori per andare ad integrare le nostre reti laddove non era nostro interesse andare a costruirle perché già esistenti e perché più si è in periferia più è facile condividere la capillarità delle reti. Dove non arriviamo noi ci appoggiamo a reti di terzi, sia grandi operatori ma anche operatori regionali. La nostra strategia di capillarità sul territorio è sottolineata anche dalle diverse acquisizioni messe a segno negli ultimi anni – Inasset di PA Group e Brennercom – ed è sicuramente destinata a proseguire, tramite accordi commerciali e accordi di partnership sia tecnologica che di copertura di rete. A questo proposito, l’intervento pubblico deve concentrarsi sulla realizzazione dell’infrastruttura dove non c’è, dove per “infrastruttura” deve intendersi il semplice cavidotto, non la fibra ottica, e, in ogni caso, non estendersi ai servizi attivi, alle reti e ai servizi di connettività, altrimenti determinerebbe la fine della concorrenza nel mercato wholesale, con prevedibili effetti negativi sui prezzi, sull’efficienza di impiego nelle risorse, anche pubbliche, e sulle prestazioni per gli utilizzatori finali. Si pone, naturalmente, anche un tema regolatorio presso le autorità italiane e europee – AGom, AGCM, Commissione UE, in quanto è presente un rischio del ritorno al monopolio della rete rispetto all’opportunità di dotare il paese di un’infrastruttura capillare (cavidotti) a servizio degli operatori wholesale che, in regime di concorrenza, possano offrire servizi di rete agli operatori retail.”, conclude Mondo.
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