Lo sviluppo dell’artificial intelligence è in accelerazione, produrrà sempre più una trasformazione profonda della società, con impatti su molti aspetti della vita di cittadini e imprese. La sua “consumerizzazione” spinge oggi le organizzazioni di ogni settore a voler sfruttare l’AI per migliorare i propri processi e costruire nuovi servizi. Difatti, il 97% delle aziende sente l’urgenza di investire in AI nel prossimo semestre e per l’84% dei manager gli investimenti avranno un impatto significativo sull’operatività della propria azienda. La pressione arriva da tutto l’ecosistema – aziende digitali, utenti e investitori -, e solo poche realtà sembrano ormai estranee al trend, perché prevale il timore di rimanere indietro, con oltre la metà delle imprese preoccupate degli impatti negativi se non affronteranno il tema entro il prossimo anno. Ma pur in questo scenario di promettenti possibilità, in Italia solo l’8% delle imprese è pienamente preparata a implementare e sfruttare l’AI (contro una percentuale del 14% a livello globale) e il 3% appare del tutto impreparata.
Sono questi alcuni dei trend significativi emersi dalla ricerca di Cisco AI Readiness Index che indagando oltre 8.100 dirigenti e responsabili IT di aziende presenti a livello globale in 30 nazioni, incluso il nostro Paese (200 le realtà italiane coinvolte) valuta i livelli di adozione e le potenzialità del mercato AI.
Ad illustrarli è Enrico Mercadante, South specialists and innovation leader di Cisco Italia, nel corso dell’evento Cisco AI Readiness, un momento di approfondimento sul tema dell’AI e di condivisione delle strategie del vendor. Strategie che Cisco costruisce su quattro pillar: iperconnettività, sicurezza, AI e quantum computing.
Mercato AI-driven, i gap dell’Italia
Guardando ai numeri della ricerca e partendo da una nota positiva, l’Italia sembra più pronta sul fronte delle strategie, con il 31% delle aziende che si dichiarano pienamente attrezzate, contro il 29% a livello globale. Il 73% delle imprese è pronta o in buona parte pronta; il 92% ha già sviluppato o sta sviluppando una strategia AI ben definita.
“Per la maggior parte delle imprese l’implementazione dell’AI è una questione urgente che investe soprattutto gli ambiti dell’infrastruttura IT, della cybersecurity e della customer experience, dove le tecnologie sono già integrate, per esempio con l’applicazione dell’AI generativa per combattere altre AI generative utilizzate dal cybercrime per mettere in campo tecniche di phishing”, spiega Mercadante.
Sul fronte tecnologico, le lacune più significative riguardano le infrastrutture di rete necessarie per supportare l’aumento dei carichi di lavoro che l’IA comporta. I responsabili IT ne sono consapevoli; in Italia, in particolare, solo il 24% ritiene di avere in azienda un’infrastruttura altamente scalabile, mentre il 68% pensa di avere una scalabilità limitata o nessuna scalabilità. Un’altra nota dolente riguarda i dati, area in cui c’è meno preparazione in assoluto, con il 27% delle aziende italiane del tutto impreparate (rispetto a una media globale al 17%).
Anche sul tema delle competenze c’è ancora molto da fare. A fronte di una generale maggiore preparazione e coinvolgimento nell’abbracciare l’AI da parte delle figure apicali (in Italia l’85% di queste ha una ricettività elevata e il 78% moderata sull’argomento), si riscontra tra le figure di management intermedie una totale o limitata ricettività nel 25% dei casi, così come tra i dipendenti, il 33% ha poca o nessuna disponibilità ad adottare l’IA. La necessità di competenze specifiche sull’IA rivela così una nuova era di digital divide. Le aziende cercano di colmarlo: in Italia, il 94% ha investito per riqualificare i dipendenti attivi, ma il 27% ha dubbi sull’effettiva disponibilità di sufficiente personale dotato delle conoscenze necessarie.
E’ comunque certo che l’AI impatterà su quasi tutti i lavoratori, qualsiasi sia l’attività dell’azienda e qualsiasi sia il ruolo da svolgere. Per questo, il 98% delle aziende investirà in upskilling. Anche qui l’Italia è abbastanza indietro, solo l’11% delle aziende è pronta sul fronte dei talenti rispetto al 17% globale.
Sul tema della governance, il 77% delle organizzazioni italiane non ha una policy IA onnicomprensiva su privacy e sovranità dei dati. Solo il 38% a livello globale ha realmente messo in piedi processi per accertarsi che l’AI utilizzata nei prodotti sia rispondente a regole di etica sociale. In generale l’Italia ha una media molto bassa e risulta indietro su questo fronte (9% su 17% globale). Così come sulla cultura, un pillar che ha la quota più bassa di aziende pronte (il 7%). Il 13% non ha dei piani di change management, e per coloro che li hanno, nell’85% dei casi sono ancora in progress. C’è però una forte motivazione ad agire sul tema. In 8 casi su 10 le organizzazioni stanno prendendo in considerazione l’AI con un livello di urgenza moderato o elevato, e solo l’1% è del tutto resistente al cambiamento.
“Dai dati della ricerca emerge che la corsa all’AI è già partita e vede le aziende molto coinvolte nell’attrezzarsi. Servono però strategie di lungo termine, interventi sulle infrastrutture, dati ben strutturati, un grande lavoro sulle persone – dichiara Mercadante, sintetizzando i passi da intraprendere –. Questa è la ricetta per i prossimi 15 mesi per le aziende che vogliono approcciarsi all’AI, insieme al tema della responsabilità che richiede governance e meccanismi di trasparenza, perché l’AI è un campo nuovo e va esplorato in maniera responsabile”.
L’AI nella strategia Cisco
“L’intelligenza artificiale assumerà un ruolo importantissimo in ogni contesto, ma deve tenere presenti due elementi fondamentali – interviene Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco –: deve essere conforme a principi etici e di trasparenza e deve essere in grado di potenziare le capacità e le competenze delle persone, ovvero essere collaborativa”. Sul primo elemento, Cisco risponde rendendo i propri principi pubblici e trasparenti, anche nelle interazioni con i clienti; sul fronte delle competenze contribuisce attraverso la Cisco Academy, con cui vengono formati 60.000 studenti all’anno. “Serve però uno sforzo di sistema – incalza Manghi –, anche dal punto di vista istituzionale, per colmare il gap delle competenze, inserendo la formazione digitale di base nelle scuole primarie e secondarie e maggiori crediti universitari sullo studio del digitale”.
“L’AI entra in ogni ambito del nostro business, che include oggi le applicazioni, il lavoro ibrido, le infrastrutture, la sicurezza e la sostenibilità”, afferma Manghi; aree chiave sulle quali Cisco concentra oggi gli investimenti in innovazione, che passano anche attraverso acquisizioni; sono oltre 200 quelle messe a segno ad oggi, 2 in Italia, con l’ultima acquisizione di Splunk che è la più importante della storia della società; e investimenti in ricerca e sviluppo (7,5 miliardi di dollari gli ultimi investimenti, in crescita dell’11% anno su anno).
AI nei processi, il caso Maserati
Tutti gli ambiti di business in cui opera Cisco – networking, security, collaboration, observability e CX – hanno dunque anche una componente di AI, applicata anche nello sviluppo di progetti al servizio delle imprese. Come il progetto di co-innovation tra Politecnico di Milano, Cisco Italia e Maserati focalizzato sulla guida autonoma.
Grazie alle attività congiunte, l’auto Maserati MC20 è stata in grado di partecipare alla 1000 Miglia 2023 percorrendo in modalità a guida autonoma 200 dei 1.600 chilometri totali del percorso. Il progetto è in divenire e si concluderà con la 1000 Miglia 2024, durante la quale la stessa auto gareggerà con guida autonoma lungo tutto il tragitto della competizione (Brescia-Roma Brescia).
Lo racconta Sergio Matteo Savaresi, professore del Politecnico di Milano. “La partecipazione alla 1000 Miglia 2023 è stata una grande opportunità per mostrare i progressi compiuti nel breve periodo che avevamo a disposizione. Successivamente alla gara, il team si è dedicato a perfezionare ulteriormente il sistema di guida autonoma, puntando a migliorare sia l’aspetto della pianificazione che della percezione, per estendere le abilità di guida autonoma che il veicolo possiede”.
Nell’ambito del progetto si studia ancora per ricevere il maggior numero di informazioni provenienti da tutta la sensoristica di Cisco e permettere al veicolo di percepire l’ambiente circostante per individuare meglio gli ostacoli e rilevare la segnaletica stradale orizzontale, per ottenere velocità più elevate, per migliorare la conoscenza della propria posizione e per viaggiare anche in contesti urbani aperti al traffico. “Come abbiamo fatto nelle tratte cittadine di Ferrara, Modena e Parma dove si è ottenuta la validazione degli algoritmi utilizzati durante la 1000 Miglia 2023”, spiega Savaresi.
Lo studio si inserisce nell’obiettivo più ampio di raggiungere una guida completamente autonoma al servizio della sostenibilità globale. Perché – spiega il professore – in un mondo ad altissima densità di auto (in particolare, in Italia si contano 755 auto ogni 1.000 abitanti) ma con un ridotto utilizzo delle stesse, dove il perfetto matrimonio tra auto elettrica e car sharing non si può attualmente realizzare perché il car sharing non funziona (manca ad oggi un elevato livello di servizio e il business non è redditizio per i gestori) l’auto a guida autonoma rappresenta l’unica soluzione futura.
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