Le aziende sono entrata in un 2025 incerto ma non povero di opportunità. Da una parte caratterizzato da tensioni geopolitiche e sfide macroeconomiche dall’altra da avanzamenti tecnologici importanti con l’AI. In questo contesto l’equilibrio fra riduzione costi e innovazione diventa cruciale. Capgemini Research Instituteoffre una bussola su come agire e svela come supply chain, sostenibilità e investimenti in AI guideranno la crescita. Lo fa con il report Navigating Uncertainty with Confidence che si basa su un’estesa indagine condotta in 17 Paesi e in diversi verticali industriali differenti (fra cui automotive, manufacturing, beni di consumo, banche, telecomunicazioni, media e high-tech, retail, assicurazioni, energia e utilities, healthcare e life sciences). In totale, sono stati intervistati 2.500 dirigenti a livello globale, di cui il 70% provenienti da aziende con un fatturato annuale superiore al miliardo di dollari e il restante 30% scelti tra realtà cosiddette mid-size, con ricavi compresi tra 10 milioni e 1 miliardo di dollari.
Le interviste sono state strutturate in due fasi: la prima metà del campione è stata ascoltata prima delle elezioni negli Stati Uniti (tra il 23 ottobre e il 4 novembre 2024), la seconda metà subito dopo (dal 6 al 20 novembre 2024). I partecipanti ricoprono ruoli di responsabilità (direttori, vicepresidente, C-suite) in diverse funzioni aziendali – dalla strategia alla finanza, fino all’IT/digitale, supply chain, sostenibilità e produzione/operation. A ciascun intervistato è stato richiesto di commentare i piani di investimento previsti per il 2025, tenendo conto dei possibili scenari macroeconomici, geopolitici e tecnologici.
In termini di ambito geografico, la ricerca Capgemini abbraccia Nord America (Stati Uniti e Canada), Europa (fra cui Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Danimarca) e Asia-Pacifico (in particolare Australia, Cina, India, Giappone, Singapore). L’obiettivo è fornire una visione dettagliata delle priorità d’investimento e delle principali sfide che le organizzazioni dovranno affrontare in un contesto globale ancora incerto. In aggiunta, il report include un approfondimento con un dirigente del World Economic Forum, Jeremy Jurgens, per discutere delle implicazioni geopolitiche e tecnologiche sugli investimenti futuri.
Tra ottimismo e prudenza macroeconomica
Tra i rilievi più importanti della ricerca emerge una dicotomia fra l’ottimismo riguardo alle prospettive di crescita delle singole organizzazioni e la cautela nel giudizio sul contesto macroeconomico globale. Da un lato il 62% dei dirigenti di grandi aziende (fatturato oltre 1 miliardo di dollari) manifesta fiducia sul potenziale di crescita interno nel 2025, soltanto il 37% dichiara però di essere ottimista sullo scenario economico globale nello stesso periodo. Ciò suggerisce che i business leader ritengono di avere strategie abbastanza robuste per fronteggiare l’incertezza, pur ritenendo che le condizioni esterne possano rimanere volatili.
Questa visione a due velocità si rispecchia anche nel confronto con i dati del Fondo Monetario Internazionale, che prevede per il 2025 una crescita mondiale di circa il 3,2-3,3%, considerata tutto sommato modesta. Alcuni Paesi, come la Svezia, mostrano tassi di ottimismo più elevati, in parte grazie alle previsioni di ripresa economica che potrebbero superare l’1,5% di aumento del Pil tra il 2024 e il 2025. Tuttavia, in molte aree del mondo restano timori legati alle tensioni geopolitiche, all’evoluzione dei tassi di interesse e alla frammentazione delle supply chain.

Riduzione dei costi e investimenti, equilibrio delicato
La maggioranza delle aziende intervistate (56%) da Capgemini prevede di dare priorità alla riduzione dei costi nel 2025 rispetto alla sola crescita dei ricavi (44%). Questo non significa però un “taglio” indiscriminato. Diverse realtà, infatti, stanno preparando piani di riduzione o differimento delle spese in conto capitale (71% del campione) e una contrazione delle spese operative (70%). Allo stesso tempo, i board riconoscono che migliorare l’efficienza e operare in ottica di ‘cost avoidance’ possa favorire la competitività e la sostenibilità delle proprie organizzazioni.
Nonostante la tendenza a contenere i costi, il 50% dei leader globali dichiara di voler aumentare i propri investimenti complessivi nel 2025. L’idea alla base è che alcune spese possano effettivamente portare benefici di lungo termine in termini di automazione, riduzione degli sprechi, o miglioramento dell’infrastruttura, come ad esempio nel settore manifatturiero o nella modernizzazione dei sistemi IT. Da notare che questa propensione a investire cresce in Paesi come il Regno Unito, Singapore, Brasile e India, mentre è più moderata in altri contesti in cui prevale un approccio più prudente.
Supply chain e sostenibilità, le aree che crescono di più
Due temi soprattutto emergono nel report: la trasformazione delle supply chain e la sostenibilità. Per quanto riguarda le catene di approvvigionamento, c’è un incremento di ben 15 punti percentuali, dal 48% al 63%, nella quota di aziende che intende incrementare la spesa in questo ambito. Ciò si traduce in investimenti medi che, per il 2025, si attestano attorno al +9-10%, sebbene in leggero calo rispetto al +13% previsto per il 2024. La ragione di questa “corsa” alla supply chain sta nelle tensioni geopolitiche (in particolare fra Stati Uniti e Cina), nella necessità di ridurre la dipendenza da singole fonti (de-risking) e nella crescente complessità di regolamentazioni legate alla sostenibilità o alla tracciabilità dei prodotti. Un numero sempre maggiore di aziende (quasi tre quarti del campione) dichiara di voler diminuire la propria esposizione verso la Cina, cercando di diversificare la produzione e l’approvvigionamento in altre aree (India, Sud-est asiatico, Messico, ma anche alcuni Paesi africani). Parallelamente, cresce il fenomeno del friendshoring, ossia la delocalizzazione in Paesi considerati “amici” per motivi geopolitici, e che raggiunge il 64% degli intervistati, in aumento rispetto al 45% dello studio precedente.

Sul fronte della sostenibilità, il 62% delle aziende intende aumentare gli investimenti nel 2025 (rispetto al 52% dello studio precedente), pur con una crescita media prevista leggermente più bassa (10,5%) rispetto al 2024 (12,2%). Rimangono centrali le normative ambientali, gli obiettivi di decarbonizzazione e la volontà di integrare soluzioni di economia circolare e climate tech. Negli Stati Uniti, in particolare, questi piani sostenibili risultano incentivati da strumenti governativi come l’Inflation Reduction Act, che promuove investimenti in energie rinnovabili, cattura della CO2, elettrificazione dei sistemi produttivi e trasporti a basso impatto.
Customer experience e R&D
Un altro dato significativo per Capgemini è l’attenzione che le aziende continuano a dare all’esperienza del cliente (customer experience, CX) e all’innovazione. Il 78% degli intervistati (quasi 8 su 10) prevede di incrementare i budget CX nel 2025, con una crescita media annua che potrebbe superare il 12% (in particolare in Apac ed Europa). Il settore automotive, per esempio, è particolarmente attivo nel migliorare il rapporto con il cliente, e l’investimento medio annuo in CX potrebbe toccare i 110 milioni di dollari per alcune grandi case automobilistiche.
Parimenti, l’ingegneria, la ricerca e lo sviluppo con l’innovazione restano un pilastro per il 74% dei dirigenti. In settori come l’industria manifatturiera, la sanità e l’automotive, la quota sale persino al 75-78%. Tuttavia, anche in questo ambito si osserva un lieve rallentamento del tasso di crescita: l’aumento medio degli investimenti stimato per il 2025 si aggira intorno all’11%, un calo rispetto al 12,7% preventivato nel 2024. Diversi fattori – tra cui l’incremento dei costi di materie prime e la necessità di investire in cybersecurity – stanno ridefinendo le priorità di spesa.
Capgemini, una visione ex-post sul 2024
Nell’edizione precedente del report (2024), l’ottimismo dei dirigenti era già crescente, in particolare verso aree come il clean tech, l’energia rinnovabile, la ricerca e sviluppo industriale e la customer experience. Alcune di queste previsioni si sono puntualmente realizzate: l’investimento globale in tecnologie pulite e infrastrutture legate all’energia ha superato i 2.000 miliardi di dollari nel 2024 (quasi il doppio della spesa in fonti fossili), mentre l’ingente spesa statale e privata in R&D ha effettivamente raggiunto livelli importanti. In modo meno marcato, si è invece verificata una certa debolezza negli investimenti in manufacturing/production e talent & skills, soprattutto per via dell’incertezza macroeconomica, dei costi elevati e delle priorità spostate verso altre aree (come la supply chain o l’automazione). Il settore della customer experience, in particolare, avrebbe potuto crescere di più: molte aziende hanno razionalizzato i budget dedicati al miglioramento di processi e touchpoint con i clienti, condizionate dal bisogno di contenere i costi in un periodo di alta inflazione.
Investimenti tecnologici, il gap tra Usa ed Europa
L’aspetto su cui il report Capgemini insiste con più forza è l’incremento dell’investimento in tecnologie chiave. Nel 2025, il 74% delle imprese considera prioritari l’intelligenza artificiale (AI) e le soluzioni di generative AI (GenAI). Circa il 40% mette in cima alle priorità il cloud, e oltre un terzo punta su data analytics e big data. In questa corsa alla tecnologia, gli Stati Uniti sembrano destinati a staccare ulteriormente l’Europa.
Secondo le stime del Capgemini Research Institute, a livello globale le organizzazioni dedicheranno in media il 6% del proprio fatturato ai budget IT/tech, di cui circa 1,35 punti percentuali destinati a nuovi investimenti in tecnologia. Negli Stati Uniti, questa percentuale sale all’1,45% del fatturato, mentre in Europa e Apac si ferma all’1,29-1,32%. Nel complesso, il divario tra la spesa tech statunitense ed europea potrebbe sfiorare i 165 miliardi di dollari.
Le cause di questo differenziale sono molteplici: dimensioni di mercato diverse, maggiore frammentazione normativa in Europa, minori investimenti in R&D rispetto al Pil e un minor numero di scale-up tecnologiche di successo sul territorio europeo. Inoltre, la penuria di competenze digitali in Europa (e non solo) rischia di frenare la competitività. Il 61% degli intervistati a livello globale lamenta la mancanza di talenti specializzati, e negli Stati Uniti questa percentuale raggiunge il 75%. Tale dato conferma che la capacità di attrarre e formare professionisti nell’ambito di AI, cloud, cybersecurity e IoT resta un fattore determinante per il successo.

La convergenza tra le tecnologie
Un altro concetto chiave del report è la convergenza fra diverse tecnologie: non solo AI, ma anche robotica, quantum computing, materiali innovativi, biotech. Il 64% dei dirigenti ritiene che gran parte dei benefici nei prossimi anni deriverà dall’integrazione di più soluzioni in un’unica piattaforma o in un ecosistema digitale coeso. L’idea è che, combinando analisi predittive, connettività IoT, robotica avanzata e automazione, le aziende possano trasformare radicalmente i processi, ridurre i costi e creare prodotti/servizi altamente personalizzati.
Tuttavia, poco più della metà dei partecipanti afferma di riuscire realmente a considerare le tecnologie in modo integrato in fase di investimento. Molti progetti, infatti, continuano a essere lanciati in maniera verticale – per esempio, un proof of concept in IA “isolato” – senza un’adeguata strategia di convergenza. Ciò crea inefficienze e ritarda la scalabilità delle soluzioni.

Il rischio di una guerra commerciale globale
Tra i principali timori espressi dalle interviste, il report evidenzia come la crescita dei dazi e il rischio di escalation nelle dispute commerciali siano crescenti. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, un aumento delle barriere al commercio globale potrebbe penalizzare la crescita futura di diverse migliaia di miliardi di dollari entro il 2025. Sette dirigenti su dieci condividono questa preoccupazione, temendo che nuovi dazi e restrizioni possano compromettere le supply chain internazionali, soprattutto in settori ad alta intensità di scambio (come l’automotive, l’elettronica di consumo o i prodotti chimici).
Il 70% del campione si dichiara altresì preoccupato per l’eventualità di una vera e propria guerra commerciale, scenario che potrebbe acuirsi con politiche di “decoupling” fra Stati Uniti e Cina. Anche in Europa e in altre regioni potrebbe aumentare la pressione a proteggere i mercati interni, con conseguenze negative sul commercio multilaterale.
Capgemini, piano d’azione per Ceo e top management
l report si chiude con una serie di suggerimenti operativi per i vertici aziendali che si trovano a definire le strategie di investimento per il 2025 in un contesto di incertezza. Ne riprendiamo le principali.
- Sostenibilità come driver di valore: Le iniziative ambientali, sociali e di governance non sono più soltanto un tema di compliance, ma un vero fattore di competitività. Integrare la sostenibilità nelle operazioni (dalla produzione ai servizi) può generare efficienze, stimolare l’innovazione e rispondere alle aspettative dei clienti e dei regulator.
2. Prevedere scenari regolamentari e geopolitici: Dato che la sostenibilità è un argomento politicamente sensibile, le aziende devono essere pronte a variazioni di politiche pubbliche o a futuri cambi di governo. È utile istituire un sistema di “regulatory intelligence”, ovvero monitorare costantemente i movimenti legislativi a livello globale, per adeguare i piani in modo tempestivo.
3. Rafforzare le supply chain (next-gen): La resilienza passa da catene di fornitura diversificate, sostenibili, integrate con tecnologie IoT e AI in grado di gestire in tempo reale domanda, offerta e rischi geopolitici. In molti casi, la reindustrializzazione (reshoring o nearshoring) è un’opzione concreta, seppur impegnativa, che mira a ridurre costi di trasporto, tempi di consegna e rischi di interruzione dovuti a tensioni internazionali.
4. Coltivare partnership per nearshoring/friendshoring: Spostare parte della produzione in Paesi “amici” non è operazione semplice: richiede investimenti in nuovi stabilimenti, rapporti con fornitori locali e coordinamento con istituzioni governative. Ecco perché il report consiglia di costruire ecosistemi di collaborazione (con università, partner industriali e governi locali) che facilitino l’accesso alle materie prime e la creazione di filiere più corte e circolari.
5. Accelerare la trasformazione digitale e gli investimenti tech: Soprattutto per le organizzazioni europee di medie dimensioni, è cruciale aumentare la spesa in IA, cloud, analytics e cybersecurity per colmare il ritardo rispetto agli Stati Uniti. In parallelo, occorre investire nelle persone (upskilling e reskilling), perché la competizione globale sui talenti è destinata a intensificarsi. Un’attenzione speciale andrà data anche alle climate tech per ridurre le emissioni e adottare modelli produttivi più puliti.
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