Nel dibattito sull’intelligenza artificiale, tra Cio e C-level, spesso la discussione si arena su un punto, domanda chiave di ogni progetto: siamo pronti per l’AI? Da dove partire?
E’ ovvio che la domanda, tutt’altro che banale, ha bisogno di strumenti per essere indirizzata e per dare risposte concrete a chi pensa di approcciare l’AI, la vuole adottare, ne è spaventato e incuriosito, sa come muoversi ma nello stesso tempo non sa come far muovere il proprio team, o l’azienda nel suo complesso.
Vengono in aiuto di questi dubbi le evidenze della prima edizione della survey sull’intelligenza artificiale AIMM: l’adozione dell’AI nelle aziende italiane. I risultati della survey e dell’AI Maturity Model, condotta da NetConsulting cube (in collaborazione con Engineering, Fastweb, ServiceNow e Tim Enterprise) che misura il livello di adozione dell’AI nelle aziende italiane, studiandone la maturità ma definendo anche uno strumento che le aziende stesse possono utilizzare per capire a che punto sono nel viaggio di adozione dell’AI. Un AI Maturity Model (AIMM) appunto, “a tutti gli effetti una metodologia per capire il livello di coerenza tra tecnologie e strategia, che ricalca il modello che NetConsulting cube ha definito già una decina di anni fa per misurare prima la postura di cybersecurity poi il livello di maturità della supply chain, messa in discussione in modo pesante dagli anni del Covid, e ora dell’AI”, spiega Annamaria Di Ruscio, presidente e AD di NetConsulting cube, in apertura del convegno di presentazione dei dati della ricerca, in Luiss a Milano.

Perché “il momento di isteria sull’AI – come definito dal professore Cosimo Accoto, tech philosopher, ricercatore affiliato del Mit e professore all’Università Unimore – fa assonanza con strategia”, ed impone che si analizzino i cambiamenti aziendali e culturali che l’AI richiede. “Rispetto al passato le macchine oggi sono in grado di svolgere compiti anche se non spieghiamo loro cosa fare. E’ una differenza molto forte rispetto al secolo scorso quando le macchine simulavano aspetti descritti dall’uomo”, accennando alla definizione di AI presa dalla EU: sistemi disegnati per operare a livelli di autonomia crescente, con capacità adattive, dopo che li abbiamo implementati con obiettivi precisi per produrre conoscenza, fare predizione, raccomandazioni, scrivere contenuti, prendere decisioni.
Una AI che ha diverse anime: è uno strumento cognitivo (“conosco meglio di quanto potevo conoscere senza AI”), è uno strumento predittivo (“mi aiuta a costruire modelli previsionali passando da una logica di feedback a una logica di feedforward”), è uno strumento generativo (“esplora gli ambiti di possibilità, crea mille contributi in breve tempo laddove prima servivano settimane, passando dalla scarsità della produzione all’abbondanza”), è agentica “sarà in grado non solo di scriver testi ma di agire nel mondo reale, sia nella forma di agenti sia di robot”.
Ma si deve ragionare sulle criticità. “Siamo all’inizio dell’AI ma stiamo già lavorando sui limiti” sulla verificabilità degli output prodotti, sul grado di interoperabilità che l’AI agentica può garantire con sistemi e architetture esterne, sul grado di adattabilità ad eventi aziendali e non.
Cosi come il tema vero rimane legato ai business case, all’utilizzo dell’AI e al change più strutturale che comporta. Non solo sui processi dell’impresa ma anche sulla forma del mercato. “Come cambiano i processi nei mercati introducendo quei robot che diventano una piattaforma? Come impatta tutto questo sull’ecosistema allargato? Non cambiano soltanto i processi dell’impresa ma anche la forma del mercato. Fare questo shift è la sfida più grossa che le imprese hanno” precisa il professore. Oggi abbiamo una serie di strumenti di AI ma lo sforzo che deve essere fatto è costruire una strategia, una roadmap chiara di adozione dell’AI.
“Perché una piattaforma di AI ruba il lavoro sia a chi la sa usare sia a chi non la vuole usare – sintetizza il professore -. Questo implica la necessità di passare da un approccio tecnologico a un approccio di change, anche organizzativo. Sappiamo già i fallimenti a cui andremo incontro se non saremo in grado di modificare il nostro modo di organizzare i dati, un esempio su tutti i dati sanitari raccolti in silos, nei diversi ospedali, con sistemi di diagnostica per immagini non interoperabili. Per questo serve una strategia condivisa, un senso di necessità”. Il senso di urgenza e accelerazione che riguarda Paesi, governi, aziende, normative, economia del futuro.
La maturità in un modello
La logica dell’AI Maturity Model (AIMM) – sottoposto a 82 aziende private di grande dimensioni con un fatturato superiore ai 500 milioni di euro e almeno 500 dipendenti – indaga cinque tematiche: strategia e organizzazione, tecnologie dati e architettura, use case e business model, skill e cultura, compliance e governance, su un panel composto in prevalenza da imprese del comparto industriale (34%) – in particolare a quello manifatturiero – dei settori Bancario (7%), Assicurativo (9%), Energy&Utilities (14%), Telco&Media (10%).
“Emerge che la maggior parte delle aziende non ha ancora definito una strategia legata all’AI. Solo un quarto ha già un piano strategico e ha già introdotto AI, con banche e telco tra i settori principali insieme a energy e utilities. Mentre la maggior parte delle aziende è ancora in una fase di valutazione – precisa Rossella Macinante, BU Leader di NetConsulting cube anticipando gli insight della ricerca -. Cosa manca per consentire alle imprese italiane di cogliere l’opportunità nella nuova AI Economy? Serve che si dotino di un sistema di governance dell’AI, centralizzata, per fare formazione non tecnica. Serve creare un team dedicato, perché l’AI non è un tema tecnologico ma è un tema organizzativo” .

Evidenze
La prima evidenza che emerge da AIMM è l’assenza di aziende con Business AI Driven: aziende che hanno adottato una strategia nella quale l’AI è parte del modello di business e dello sviluppo di prodotti e servizi, con un livello di maturità molto elevato e tutte le business unit orientate a sfruttare l’AI come leva competitiva e integrata nei processi chiave dell’azienda. Perché oggi è la fase esplorativa quella che predomina e che caratterizza l’attitudine delle aziende nei confronti dell’AI: più di un’azienda su due (56%) è ancora in questa fase delle possibili applicazioni dell’AI e non ha ancora un piano strategico.
Poco meno della metà delle organizzazioni dei comparti Telco&Media (44%) ed Energy&Utilities (46%) ha già predisposto una roadmap strategica e solo un esiguo 41% dichiara di avere previsto un budget per le soluzioni AI.
Ma positive sono le stime di crescita annua dell’investimento in AI da parte dell’intero panel: il 27% dichiara un aumento anno su anno del budget per l’AI compreso fra il 15% ed il 30%.

L’indice sintetico AI Maturity Index – che combina le due macro-dimensioni tecnologie e competenze e strategia e vision per tracciare un ranking dei settori rispetto al livello di maturità complessivo – vede nel settore Bancario (57,1 su 100) la maggiore concentrazione di newbees (71,4%), ovvero di aziende che hanno appena definito la strategia e che implementeranno i primi progetti nel corso del 2025.
A seguire, i comparti Energy&Utilities (52,2 su 100), Assicurazioni (47,4 su 100), Tlc&Media (40,9 su 100). Molto distaccati dagli altri settori sono Industria (27,1 su 100), Servizi&Trasporti (21,2) e Gdo&Retail (19,2), settori con l’indice medio più basso.

Invece l’approccio esplorativo all’AI accomuna trasversalmente diverse aree di mercato, risultando prevalente nei comparti Servizi&Trasporti (81,8%), Gdo&Retail (78,6%), Industria (71,9%), Tlc&Media (44,4%) e Assicurazioni (37,5%).
In questi settori l’approccio è più tattico (tactical adopter) o più pioneristico (AI pioneers) con la produzione di alcuni use case. “La definizione di una strategia per l’adozione dell’AI rappresenta il primo passo per fare un cambio di paradigma reale, tuttavia, solo un risicato 25,8% del panel ha già integrato l’AI nel proprio piano industriale, considerandola una priorità, sebbene non si tratti di una situazione omogenea”, precisa Macinante.
Tra le capofila dell’AI Strategy ci sono le imprese dei settori Telco&Media (44%) ed Energy&Utilities (46%), che si distinguono per una presenza significativa di aziende, che hanno già predisposto un piano strategico con un budget dedicato. A seguire il settore Bancario (43%), quello delle Assicurazioni (25%) e dei Trasporti&Servizi (27%). Nei settori Industria e Gdo&Retail prevale invece una fase esplorativa, ancora orientata alla valutazione delle applicazioni dell’AI. E ancora: fra le principali azioni intraprese a supporto dell’implementazione dell’AI Strategy, la definizione da parte del 49% delle aziende di una roadmap con tempi e ambiti definiti per l’adozione di use case.
Governance
Nella maggior parte delle aziende, non è stato ancora definito in modo preciso il modello organizzativo per la gestione dell’AI (47%). Tuttavia, la tendenza prevalente è verso la creazione di team dedicati allo sviluppo dell’AI (49%), con il Cio/Cto in posizione di leadership (73%) e responsabile dell’unità organizzativa.
Un modello organizzativo ancora poco diffuso, ma a elevato potenziale di crescita, è il cosiddetto Hub&Spoke (24%), che prevede la centralizzazione di competenze nell’hub sotto la direzione IT o la direzione che fa capo al chief data officer, e di numerosi spoke, che rappresentano centri di competenza distribuiti per funzioni aziendali. In altri casi, infine, è emerso un approccio meno strutturato, di “anarchia” funzionale (14%), ancora incentrato sulla sperimentazione.
Conclude Macinante: “Questa survey delinea trend e ambiti di adozione dell’AI nel mondo d’impresa e una mappa dei principali casi d’uso, valutando anche il livello di maturità delle aziende nel percorso di adozione dell’intelligenza artificiale e nella sua effettiva integrazione nei processi. Il maturity model si pone l’obiettivo di offrire alle aziende un benchmark di riferimento per poter comprendere come sfruttare al meglio l’intelligenza artificiale. Oggi il tema delle competenze rimane critico, gli skill vanno governati in una strategia di lungo periodo mentre la tecnologia galoppa. E proprio la velocità con cui tutto cambia che rappresenta la vera rivoluzione nel mondo della tecnologia. Per passare dall’hype all’implementazione dell’AI le aziende devono definire obiettivi e strategie, architetture informatiche, compliance, sicurezza e governance, investendo sulle competenze e sulla cultura”. Un processo lungo, ma il momento è ora.

Leggi tutti gli approfondimenti della room AIMM – Artificial Intelligence Maturity Model
© RIPRODUZIONE RISERVATA