La customer experience vive un momento di cambiamenti significativi. In questo ambito, infatti, le piattaforme omnicanale, sfruttando AI e big data analytics, offrono già risposte concrete e trovano applicazione in diversi casi d’uso. Tutto semplice? Non proprio.
Da una parte i vendor propongono le proprie soluzioni ma dall’altra parte della barricata ci sono Cmo, Cio e Ceo chiamati a capire su quali tecnologie è opportuno investire ora, quali siano i problemi da affrontare. E questo non è chiaro. Idc propone al riguardo una lettura dei principali trend con Alan Webber, VP Customer Experience, che sottolinea come per certi aspetti “siamo in una fase abbastanza simile al selvaggio west. Le tecnologie ci sono, i vendor sgomitano, nel tentare di differenzarsi, ma ai ruoli apicali non è chiaro su cosa sia importante iniziare a lavorare subito”.
E da questo punto parte la sua analisi. Da qui al 2023, il 45% delle aziende Global 2000 (sia b2b, sia b2c) vorrà sfruttare le tecnologie di AI, big data e IT conversazionale per l’engagement dei clienti contestuale al momento di relazione con l’azienda (1) ed entro il 2025 il 60% dei brand consumer vorranno farlo sfruttando l’analisi delle emozioni per influenzare l’acquisto (2).
La pervasività dell’intelligenza artificiale in questo ambito è evidente al punto che già entro i prossimi tre anni Idc valuta in oltre 100 miliardi di dollari gli investimenti riguardo AI e analytics, una sorta di corsa alle armi basata sui dati per acquisire gli strumenti chiave con cui si “condurrà la battaglia”(3).
Il problema non è però quello di disporre di informazioni, quanto piuttosto di riuscire a mettere insieme nel modo corretto i diversi tasselli. Serve quindi una strategia di “automazione intelligente dei processi”, come dice Webber, serve “utilizzare i software di AI per scoprire insights operazionali ed esperienziali che possano poi guidare l’azione”. Un tema caro al 70% delle aziende di carattere enterprise (4).
Il campo di battaglia sembra pronto, perché contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, già nel 2023 per i clienti finali sarà normale utilizzare voce, immagini, esperienze di realtà aumentata per interagire con i brand attraverso lo smartphone ed estendere così l’esperienza fisica con quella digitale in un continuum senza soluzione di continuità (5).
La pervasività del 5G per quell’anno aiuterà ma bisognerà arrivare con i servizi pronti, anzi allo stato dell’arte. Ad un anno di distanza (2024) un brand che opera a livello internazionale su quattro (25%) acquisirà soluzioni di AI e risorse umane per fornire ai clienti un’esperienza di localizzazione e personalizzazione multicanale contestualmente rilevante (6).
E si lavorerà tanto lato HR, perché le strategie di marketing che puntano su programmi di engagement riescono, a patto di fornire strumenti ed esperienze d’utilizzo all’altezza anche ai dipendenti che entrano in contatto con il cliente (7). Mentre le aziende dovranno imparare a categorizzare i clienti in relazione alla loro reazione agli avvenimenti (anche sociali e politici) tenendo conto che le stesse posizioni aziendali sui temi più rilevanti acquisiranno un peso sempre maggiore sull’effettiva capacità di ingaggio e di fidelizzazione dei clienti (8).
Il 40% dei consumatori finali, secondo Idc, entro il 2024 sarà allora pronto per un’esperienza di “continuous commerce” e disponibile ad automatizzare una serie di transazioni con il vendor impostate sullo sfondo di uno scenario IoT efficace e correttamente indirizzato dalle analisi predittive (9).
Si pensi per esempio al classico caso dei ri-ordini in automatico quando si esauriscono le scorte di cibo e altri generi, così come già avviene per alcuni servizi di consumo online (informazione, streaming). L’ultima previsione di Idc riguarda le grandi organizzazioni che operano a livello globale. Secondo Webber, entro il 2022 “queste realtà avranno attivato e ottimizzato i dieci percorsi critici end-to-end nell’ambito dei progetti di customer experience journey” (10).
Tra i fattori chiave per la riuscita dei programmi l’analista ne sottolinea uno in particolare, a nostro avviso rilevante, quando fa riferimento “all’economia delle intelligenze“ siano esse artificiali, come umane e aziendali e spiega come “la capacità di apprendere dall’esperienza costituirà carburante in grado di fornire un vantaggio asimettrico a parità di strumenti disponibili”.
Cercando di modellizzare in un macro trend le evidenze esposte da Idc viene naturale pensare che nei prossimi anni l’accelerazione nei processi di innovazione, anche nell’ambito della customer care sarà alimentata in modo sempre più evidente da modelli operativi iperconnessi, in cui le aziende dovranno distinguersi per la capacità di ricavare/redistribuire valore informativo sfruttando le diverse piattaforme disponibili.
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