Istat pubblica la settima edizione del suo Rapporto Bes (Benessere Equo e Sostenibile). Il report fotografa in un quadro integrato i principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il Paese e lo fa attraverso un set di indicatori variegato, suddiviso in dodici domini.
Di particolare interesse il capitolo relativo ai dati sulla spesa per ricerca e sviluppo (R&S) in rapporto al Pil, così come quello sugli investimenti in proprietà intellettuale. E non si parla di notizie molto positive.
Questi indicatori restano sostanzialmente stabili rispetto agli anni precedenti, per quanto registrino valori superiori rispetto a quelli del 2010. In questo caso il primo problema è che nel decennio si sono comunque accumulati ritardi e non si registra, oggettivamente, un significativo cambio di passo.
Il Rapporto recita: “Nell’ultimo anno si colgono segnali positivi per l’occupazione in imprese culturali e creative, per la mobilità dei laureati e per la propensione alla brevettazione” – ma prosegue – “tuttavia il confronto con il 2010 rimane decisamente sfavorevole”.
Intensità di Ricerca, si cresce poco
Istat considera positiva un variazione nel rapporto di spesa R&S rispetto al Pil superiore all’1%. L’indicatore Intensità di Ricerca (la voce indica appunto la percentuale di spesa in R&S in rapporto al Pil) è positivo per appena 1,4 punti percentuali, e rispetto all’ultimo anno di riferimento è rimasta ferma.
Molto critica è anche l’analisi dell’eterogeneità regionale, con differenze marcate soprattutto per quanto riguarda la “dimensione” dell’innovazione, quindi proprio la quantità di domande di brevetti in rapporto alla popolazione residente e all’Intensità di ricerca.
Con poche eccezioni, i dati positivi arrivano da contesti territoriali ridotti (Val D’Aosta, e provincia autonoma di Bolzano) e praticamente sempre e solo dalle regioni settentrionali del Paesi, le uniche a superare la media. Con Piemonte ed Emilia Romagna a registrare i segnali migliori. Nel primo caso con un numero di brevetti superiore del 50% rispetto alla media nazionale, nel secondo caso addirittura di una volta e mezzo.
E’ interessante mettere in relazione l’informazione con la capacità di accogliere e valorizzare i giovani laureati. L’Emilia Romagna è in grado di attrarre talenti dal Centro Italia e dal Sud (+16,2 per mille), fa da contraltare però il primato sfavorevole della Calabria che invece detiene il primato per la fuoriuscita di giovani laureati tra i 25 e i 39 anni con -31,1 per mille.
E così nello spaccato nazionale con la spesa in Ricerca e Sviluppo che si mantiene sul medesimo livello degli anni precedenti, sono proprio Piemonte ed Emilia Romagna le regioni a più alta intensità di ricerca (+2%), anche se il Piemonte fa registrare un minimo peggioramento. E il Mezzogiorno si conferma avere indicatore non favorevole.
Due note riguardo l’occupazione. Rispetto alla dinamica dei lavoratori impiegati in settori scientifici e tecnologici si rivela un andamento in crescita sia nell’ultimo anno che nel decennio, con il 17,4% di occupati in questi settori nel 2018 (era 16,9% nel 2017).
E non manca una notizia positiva relativa all’occupazione femminile. Recita il report: “In termini relativi, la quota dei lavoratori italiani occupati in professioni scientifico-tecnologiche con formazione universitaria si mantiene più elevata tra le donne (22,2% rispetto al 14% tra gli uomini), con quote sensibilmente superiori per quelle residenti al Centro (24,1%) e nel Mezzogiorno (22,8%) rispetto a quanto rilevato nel Nord del Paese (21,1%)”.
Istat, il confronto con l’Europa
La differenza territoriale tra il Nord e il resto del Paese per quanto riguarda la spesa R&S si riflette anche nel confronto con l’Europa. Per cui i numeri delle regioni settentrionali sono vicini a quelli di Germania e Olanda, mentre il Sud Italia mostra percentuali paragonabili a quelli di Spagna, Portogallo e dell’Est europeo.
Inoltre, gli investimenti in prodotti di proprietà intellettuale (voce che nel report comprende anche il software oltre a R&S) in Europa sono continuati a crescere, in un trend che nell’ultimo decennio aveva già segnato un +37,9% (in UE) a fronte di un passo indietro nei Paesi dell’area Euro (-3,9%); l’Italia è cresciuta molto meno nel periodo, rispetto all’UE, ma riguadagna 2,2 punti percentuali in area Euro.
Per quanto riguarda invece la registrazione di nuovi brevetti (il report misura la propensione alla richiesta), il ritardo dell’Italia è consistente. Con valori di un terzo inferiori a quelli medi europei (in Europa la propensione è di 106,8 brevetti per milione di abitanti, in Italia appena 68,5).
Sono invece Svezia, Danimarca, Finlandia, Austria, Germania e Olanda (tra 200 e 300 richieste per milione di abitanti) a guidare la classifica, che vede però come fanalini di coda Grecia, Lituania, Romania, Croazia, Bulgaria e Islanda (10 brevetti per milione di abitanti), con il nostro Paese tra Irlanda e Slovenia.
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