Nonostante gli importanti impegni finanziari già previsti per supportare gli sforzi dei Paesi membri riguardo la pandemia in corso, e le difficili prospettive economiche, la vicepresidente della Commissione Europea, Margrethe Vestager, punta a confermare investimenti per 20 miliardi all’anno, nei prossimi dieci anni, per l’intelligenza artificiale e i relativi progetti degli hub innovativi.
Attualmente i finanziamenti dell’UE destinati alla ricerca e all’innovazione con l’AI sono già 1,5 miliardi di euro (con un incremento del 70% rispetto al periodo precedente). Lo sforzo annunciato da Vestager sarà presto affiancato dal piano che tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo la Commissione UE dovrebbe presentare per regolare l‘utilizzo dell’AI in Europa.
L’annuncio si lega al precedente accordo tra i leader UE per cui almeno il 20% del Recovery Fund sarebbe stato messo a disposizione dei progetti per la digital transformation, e rappresenta un’accelerazione in questo senso considerato il bisogno di incrementare l’impegno per sostenere la competizione con gli Usa e la Cina.
Si riconosce allo stesso tempo che allo sviluppo delle iniziative legate all’AI corrispondono grandi vantaggi, ma anche una serie di rischi, legati all’utilizzo etico dell’AI e all’ambiente.
Da una parte l’UE lavora per promuovere l’eccellenza dell’AI europea. Punta a costruire un partenariato pubblico-privato per l’AI e la robotica (l’Europa oggi produce circa il 25% di tutti i robot utilizzati in ambito industriale e per i servizi personali), a creare collegamenti tra i centri di eccellenza per la ricerca sull’IA, provvedere al loro potenziamento, auspicando la formazione di almeno un polo dell’innovazione digitale specializzato nell’IA per Stato membro.
E’ pronta inoltre ad erogare finanziamenti per lo sviluppo e l’utilizzo dell’IA con l’ausilio del Fondo europeo per gli investimenti, migliorare l’efficienza delle procedure di appalto pubblico grazie all’AI e sostenere l’acquisizione di sistemi di AI da parte della PA.
Dall’altra per raggiungere gli obiettivi c’è però bisogno di una nuova specifica legislazione adeguata a fronteggiare i rischi, a partire dagli spunti del Libro bianco per l’AI (febbraio 2020) sulla base del requisito base per cui i sistemi di AI devono essere tracciabili e subordinati al controllo umano, con la possibilità per le autorità di effettuare controlli sui sistemi di intelligenza artificiale così come accade per gli altri sistemi. E la sfida si giocherà proprio sull’effettiva capacità dell’Unione di approdare a regolamenti condivisi in questo ambito ed in un mercato in cui il valore dei dati continua a crescere.
Ad oggi si valuta che circa l’80% dei dati sia archiviato e accessibile in data center e in cloud non europei, ma l’evoluzione digitale in corso porta gli analisti a stimare che da qui al 2025 lo scenario evolverà e vedrà i dati non più archiviati semplicemente su piattaforme quanto piuttosto direttamente disponibili su oggetti intelligenti connessi. E’ necessario quindi farsi trovare pronti a gestire un mercato europeo comune dei dati, come già è stato fatto per le merci.
Da qui la convinzione di Margrethe Vestager per cui “non dovremmo assolutamente rinunciare gli obiettivi di investimento, se vogliamo che l’Europa sia un leader nel consentire un’AI affidabile”. Il contesto attuale evidenzia ulteriormente anche le possibilità di accelerazione per la ricerca legate all’utilizzo dell’AI in modo regolamentato. Si tratta di decidere, di fatto, “quale società immaginare e a quali obiettivi puntare da qui al 2030, quando il digitale sarà alla base di tutte le attività”.
Con un ultimo spunto di riflessione. L‘utilizzo dell’AI non regolamentato può portare a costi decisamente elevati per le persone – si pensi anche solo alle recenti riflessioni sui rischi di una deriva etica – ma anche per l’ambiente, a fronte di uno sviluppo digitale in accelerazione, l’impatto sull’ambiente dei data center – così come anche nell’utilizzo delle tecnologie digitali, dalle più semplici alle più complesse – si aggiunge a quello attuale determinato dai sistemi di produzione “materiale”. Ma di questo si ragiona ancora limitatamente. Sottolinea Vestager, “l’impatto del carbonio rischia di essere 5 volte superiore rispetto a quello delle emissioni delle auto, se si sbaglia a ricercare le nuove tecnologie”.
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