Un nanometro (nm) corrisponde ad un miliardesimo di metro e la tecnologia per i chip presentata in questi giorni da Ibm offrirà la possibilità di inserire 50 miliardi di transistor in un chip delle dimensioni di un’unghia. Per esagerare con i paradossi potremmo aggiungere che il numero dei transistor da 2 nm ospitabili su un wafer da 300 mm supera quello degli alberi presenti oggi sulla terra. A differenza della linfa degli alberi l’annuncio di Ibm relativo alla nascita del primo chip con tecnologia a 2 nm, sarà “linfa vitale” per una serie di dispositivi oggi già di uso comune – smartphone, elettrodomestici intelligenti, automobili – ancora prima che per i server dei datacenter e le attrezzature necessarie per le esplorazioni spaziali.
Nello sviluppo dei sistemi di calcolo è sempre più importante coniugare la potenza e la velocità di elaborazione con l’efficienza energetica ed il risparmio di risorse e la nascita del primo chip con tecnologia a 2 nanometri permette di migliorare le prestazioni del 45% a parità di energia consumata, ed ottenere un risparmio energetico del 75% rispetto a quanto è possibile fare con gli attuali chip a 7 nanometri, mantenendo lo stesso livello di prestazioni.
La svolta annunciata da Ibm è frutto del lavoro di sviluppo del laboratorio di ricerca Ibm di Albany, tra le strutture che lavorano sui semiconduttori più avanzate al mondo. Qui l’azienda ha lavorato a un ecosistema di innovazione pubblico-privato che include partner come Samsung Electronics, lo stato di New York e Intel e che, negli anni, ha portato alla luce scoperte scientifiche e tecnologiche come il primo chip di prova a 7 nanometri nel 2015 e quello a 5 nanometri, con tecnologia nanosheet, due anni più tardi (2017). Sono eredità almeno in parte riconducibili all’esperienza Ibm ad Albany, infatti, anche la prima implementazione di tecnologie di processo a 7 nm e 5 nm, le memorie Dram a cella singola, la tecnologia Silicon on Insulator (Soi), la legge del ridimensionamento di Dennard (prevede che la costruzione di transistor più piccoli e più vicini tra loro avrebbe ridotto il loro consumo energetico e avrebbe consentito frequenze di clock più elevate), ed è prevista entro la fine dell’anno la prima offerta commerciale basata sulle più recenti evoluzioni della tecnologia a 7 nm, sulle Cpu Ibm Power10.
Il modello collaborativo tra pubblico e privato in un ambito così prettamente tecnologico documenta le possibilità di “scaling” e i vantaggi di una pipeline per l’innovazione in grado di innescare la crescita e la maturazione tecnologica anche in uno scenario sfidante come è oggi come quello dello sviluppo dei chip.
La conferma arriva da Darío Gil, Svp e direttore della ricerca Ibm: “L’innovazione riflessa in questo nuovo chip 2nm è essenziale per l’intero settore dei semiconduttori e dell’IT. È il prodotto dell’approccio di Ibm nell’affrontare le sfide tecnologiche più difficili e una dimostrazione di come le scoperte possono derivare da investimenti sostenuti e da un approccio collaborativo all’ecosistema di ricerca e sviluppo”.
I vantaggi dei chip a 2 nanometri su tecnologia nanosheet serviranno ad indirizzare la domanda crescente di potenza di calcolo per le architetture hybrid cloud, nei task che fanno utilizzo intensivo dell’AI e nei progetti IoT e IIoT. Più concretamente, tra i vantaggi immediatamente percepibili nella vita di tutti i giorni, Ibm segnala la possibilità di estendere di quattro volte la durata della batteria di uno smartphone (e quindi anche di ricaricarli appena un paio di volte alla settimana), ma anche l’accelerazione drastica nelle prestazioni dei laptop e dei calcolatori impiegati per esempio nei task più complessi come l’assistenza nella traduzione simultanea tra lingue diverse.
I vantaggi della tecnologia a 2nm nell’economia dei DC
Tra i progetti di carattere industriale e nei sistemi di calcolo dei datacenter – oggi responsabili di circa l’1% del consumo dell’energia prodotta globalmente invece – l’annuncio dei 2 nm porta a considerare la riduzione significativa del carbon footprint. Secondo Ibm, se ogni datacenter cambiasse i propri server con processori basati su 2 nm, si potrebbe risparmiare abbastanza energia da alimentare 43 milioni di abitazioni. Inoltre si guadagnerebbe in efficienza e velocità nelle procedure di registrazione dati e nel rilevamento del comportamento degli “oggetti” attivi nei sistemi IoT con tempi di reazione più rapidi, requisito importante per l’efficienza per esempio nei progetti relativi alla guida autonoma.
Più transistor su un chip significa anche che i progettisti avranno più possibilità di scelta nell’innestare innovazione a livello di core e migliorare così le capacità per carichi di lavoro all’avanguardia come l’AI e il cloud computing. Si aprono inoltre nuove possibilità per la sicurezza e la crittografia applicate all’hardware, con Ibm, come accennato, già in fase di implementazione di una serie di miglioramenti a livello di core nelle ultime generazioni di Ibm Power 10 e sui sistemi Ibm z15.
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