Con il termine “imprese coesive” si indicano quelle organizzazioni “la cui attività principale non è di natura sociale, ma che, a fronte della necessità di incrementare la propria capacità imprenditoriale e di innovazione, mettono in campo strategie e strumenti volti a potenziare le relazioni con i propri lavoratori nonché con i soggetti che fanno parte del loro ecosistema. Si tratta quindi di realtà legate alle comunità di appartenenza e al territorio in cui operano, che investono nel benessere economico e sociale, nelle competenze e nella cura dei lavoratori, nella sostenibilità ]…[ radicate nella filiera territoriale”. Così solo un paio di anni fa Aiccon definiva l’impresa coesiva nel suo short paper dal titolo omonimo. Oggi lo scenario economico è del tutto mutato, sembra certo che i criteri che hanno guidato per decenni le decisioni sono ora inadeguati a gestire le crisi del XXI secolo, e proprio per questo l’impresa coesiva possa avere nel proprio Dna la chiave di lettura per fare bene. Green economy, sharing economy, circular economy, bio economy sono molto più che semplici buzzword ed insieme all’utilizzo di competenze diffuse, all’accesso all’informazione esteso, e a nuove possibilità di finanziamenti rappresentano anche sfide che chiamano ad un’azione comune imprese, comunità, istituzioni, cittadini.
Sono i temi anche del rapporto Coesione è Competizione. Nuove Geografie della Produzione del Valore in Italia, titolo dello studio realizzato da Fondazione Symbola, Intesa Sanpaolo e Unioncamere in collaborazione proprio con Aiccon, Ipsos e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne.
Imprese coesive, i numeri
Nel 2020 le imprese coesive sono cresciute, ed oggi incidono per il 37% sul totale rispetto al 32% del 2018, ma soprattutto i numeri dello studio evidenziano come le imprese coesive oggi riescono ad esportare di più (58% vs 39% delle non coesive), investono di più per migliorare prodotti e servizi (il 58% contro il 46% delle non coesive), sono più propense agli eco-investimenti (il 39% contro il 19% delle non coesive) e si dimostrano anche più reattive nell’assimilare i vantaggi per esempio legati al Piano Transizione 4.0 (il 28% contro l’11% delle non coesive), con una maggiore capacità di rapportarsi con il mondo della cultura (26% vs 11%).
Numeri che si riflettono anche sul benessere delle persone che vi lavorano. Le imprese coesive infatti si dimostrano in grado di far crescere il senso di appartenenza e soddisfazione di vita dei propri dipendenti (nel 2020 sono cresciute del 19,5% le erogazioni di welfare sulla base di contrattazione sindacale), migliora in esse il bilanciamento di genere (nel 2020 si sono compiuti passi importanti con un incremento delle donne nei Cda delle società quotate passato da 170 nel 2008, il 5,9%, alle 811 di oggi, il 36,3%). Sul versante degli investimenti, crescono quelli verso aziende che dimostrano attenzione alla dimensione sociale e ambientale e crescono anche lato consumi, laddove appunto, votando con il portafoglio o con i clic, i consumatori scelgono con consapevolezza i prodotti rispettosi dell’uomo e dell’ambiente e talvolta, con il crowdfunding, supportano le aziende più sostenibili.
Addirittura Ipsos rileva che due italiani su tre sono disposti a riconoscere alle imprese coesive un premium price su prodotti e servizi offerti.
La distribuzione delle imprese coesive sul territorio italiano, però, è tutt’altro che omogenea. Quasi il 70% delle imprese si trova nel Nord del Paese, con oltre il 50% concentrato in Lombardia (26,3%), Veneto (13,6%) ed Emilia-Romagna (13,4%). Ed in queste regioni è anche maggiore l’incidenza delle imprese coesive sul tessuto produttivo locale, con una relazione positiva tra benessere economico e presenza di imprese coesive (Pil pro capite più elevato), ma anche un maggiore benessere sociale e ambientale rispetto ad altri territori.
Tra i dati evidenziati dai numeri di Ipsos quello che indica come oltre la metà degli intervistati metta al primo posto tra i soggetti con cui le imprese dovrebbero entrare in relazione l’ambiente (come se fosse un vero e proprio stakeholder), seguito dai clienti (51%) e dai dipendenti (48%) con al quarto posto le comunità e i territori in cui le imprese operano (41%).
Allo stesso tempo però gli stessi numeri indicano anche come gli obiettivi perseguiti dalle imprese nella percezione della popolazione italiana per il 75% restino prettamente economici e solo per il 25% siano legati anche al benessere dei lavoratori, dei clienti e dei fornitori, della comunità, pur con una chiara percezione dell’importanza del ruolo delle imprese nel modello di sviluppo (89%).
“Gli evidenti vantaggi leggibili nello sviluppo delle imprese coesive – spiega Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola – hanno spinto l’Unione Europea ad indirizzare le risorse del NextGeneration EU e larga parte del bilancio comunitario 2021-27 per rilanciare l’economia su coesione – inclusione, transizione verde e digitale. Con l’obiettivo di azzerare le emissioni nette di Co2 entro il 2050. Una sfida di enorme portata che chiede unità al Paese e vede protagoniste le imprese raccontate in questo rapporto”.
Alcuni esempi di realtà coesive, citati nel rapporto sono infine quelli di Cantina Arnaldo Caprai che ha stabilizzato il flusso della manodopera accogliendo nelle sue vigne i richiedenti asilo che si rivolgono alla Caritas in cerca di lavoro; Coop Lombardia che ha reso i suoi store più inclusivi, realizzando il primo supermercato in Europa autism friendly nel settore Gdo, grazie al dialogo con un’associazione del terzo settore; Noberasco che insieme a Coldiretti Bonifiche Ferraresi ha avviato un percorso di rinascita delle filiere abbandonate del made in Italy.
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