La transizione digitale non riguarda solo aziende ed organizzazioni, perché l’emergenza sanitaria ha spinto milioni di cittadini, prima ai margini del digitale (anche volontariamente), a ridefinire abitudini, tempi e spazi del quotidiano in questa direzione, per poter sfruttare, di fatto, gli unici servizi disponibili in lockdown (anche quelli delle pubbliche amministrazioni).
La maggior parte degli italiani riconosce l’impatto positivo del digitale, ma tante aspettative risultano ancora disattese, per la mancanza di connessioni all’altezza, ma anche di competenze. Censis, in collaborazione con Lenovo Italia, nel rapporto La Digital Life degli Italiani fotografa proprio cosa significhi in concreto la digitalizzazione per le persone: percezioni, desideri sociali, criticità.
Ad oltre sette italiani su dieci la digitalizzazione ha migliorato la qualità della vita, semplificato le attività ed il cambiamento sperimentato è diventato abitudine. Così, per il 74,4% del campione, l’uso di diversi device è oramai cosa normale (smartphone, pc, laptop, tablet, smart tv, console di gioco). E nemmeno conta ora, più di tanto, il luogo dal quale ci si connette. Vale per la quasi totalità dei giovani (93%), ma ne apprezza la possibilità anche il 71,7% degli utenti, complessivamente. Oltre al luogo, anche il tempo ora è solo relativamente una variabile significativa, con un utente su quattro che naviga spesso di notte (percentuale che sale al 40% riferita ai giovani).
La normalità sta portando tuttavia anche ad un senso di disinvoltura e sicurezza, non necessariamente da valutare positivamente. Il 69,4% degli utenti si sente sicuro quando effettua pagamenti o altre operazioni finanziarie online, ed il dato sale al 74,5% tra i laureati. E prende piede la fiducia anche per i servizi cloud per quanto riguarda la conservazione di documenti e informazioni (sfruttati da più della metà del campione con punte del 77,5% tra i dirigenti e del 63,9% tra i laureati).
Il richiamo alla prudenza proposto si giustifica anche con il fatto che due terzi dei lavoratori (il 66%) utilizzano device personali per motivi di lavoro; naturale che questo accada addirittura con punte fino all’85% per i lavoratori autonomi e al 72,2% per gli occupati laureati. Un dipendente su quattro impiega invece i dispositivi aziendali per utilizzo personale (spesso questo accade con l’autorizzazione aziendale, ed i dirigenti lo fanno nel 40% dei casi): tutte le forme di Byod non gestite di fatto comportano una serie di rischi per la sicurezza e per la privacy.
E’ un punto importante anche in relazione al problema delle competenze, spesso alla base dei breach di sicurezza. Secondo Censis, sono complessivamente 24 milioni gli italiani che non si sentono a proprio agio nell’ecosistema digitale. Più di un terzo di essi trova difficoltà con le piattaforme di messaggistica istantanea (Whatsapp, Telegram, ecc.), un terzo con la posta elettronica, ed un terzo con i social network (Facebook, Instagram, ecc.); 7 milioni addirittura ancora anche con la navigazione sui siti Web, tanti quanti esprimono disagio nell’utilizzo delle piattaforme che consentono di vedere in streaming eventi sportivi, film e serie tv. Con l‘e-commerce si trovano in difficoltà 6 milioni di italiani, 5 milioni non sanno fare i pagamenti online, 4 milioni non hanno dimestichezza con l’uso delle app e delle piattaforme per le videochiamate e i meeting virtuali. E’ evidente che “l’abbuffata” di digitale legata al lockdown abbia rappresentato in tanti casi anche “il primo incontro”, con tutte le difficoltà del caso.
E’ anche questa una forma di digital divide che il Paese paga anche in relazione agli anni in cui sul digitale di fatto si “è potuto fare a meno”. E così, se da una parte i device sono comunque evoluti – e nove utenti su dieci (il 90,3%) dichiarano di possedere device in linea con le proprie esigenze e di abitazioni sufficientemente attrezzate – di fatto si contano ancora 4,3 milioni di utenti di dispositivi senza connessione o con connessioni domestiche lente o malfunzionanti (13,2 milioni). E 12,4 milioni di italiani devono condividere i propri dispositivi con i familiari, mentre 4,4 milioni li ritengono inadeguati a soddisfare i propri bisogni.
In ultimo è importante considerare i dati relativi alle aspettative dei cittadini nei confronti della PA “digitale”. Percentuali sempre intorno all’85% quelle relative ai cittadini che sperano di poter dialogare via email con gli uffici pubblici, che si possano richiedere documenti e certificati online, che vorrebbero poter pagare online in modo semplice e veloce tasse, bollettini e multe (in gran parte già possibile). Mentre 8 su 10 tra gli intervistati si aspettano di ricevere informazioni personalizzate via e-mail, sms o messaggi WhatsApp. Torna attuale anche un tema specifico, su cui invece la PA è solo agli inizi: il 76,4% vorrebbe poter conoscere i dati personali di cui la PA dispone, così da evitare inutili duplicazioni.
Un’informazione che significherebbe la capacità delle banche dati di comunicare tra di loro, ad evitare l’onere per il cittadino di produrre documentazioni di cui la PA è già in possesso. In ultimo, il 75% del campione vorrebbe comunicare via Pec nella massima riservatezza ed il 74% vorrebbe poter accedere a tutti i servizi online con una sola password. Sono obiettivi, soprattutto il secondo, nemmeno così lontani da raggiungere. “Siamo all’alba di una nuova transizione digitale – commenta Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis-. Ora serve un progetto di società digitale pienamente inclusiva, che possa dare risposta alla domanda ancora insoddisfatta di dispositivi, connessioni, competenze, e superare le diversità di accesso“.
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