La capacità di scalare in modo agile e veloce l’utilizzo delle risorse digitali differenzia le aziende che riescono a crescere e a cavalcare la trasformazione digitale da quelle che non lo fanno. Un aspetto importante da considerare tanto più in tempi di turbolenza economica come sono quelli attuali. Lo rivela anche una ricerca commissionata da Google a Boston Consulting Group (BCG), The Keys Scaling Digital Value, che rivela come le realtà “leader digitali” hanno guadagnato, nel corso degli ultimi due anni di pandemia, almeno 5 punti percentuali di market share rispetto ai competitor, ed oltre il 5% in termini di capitalizzazione. Sono le aziende più mature nel digitale a rivelarsi più resilienti e più dinamiche nell’affrontare i cambiamenti.
La ricerca BCG, condotta su un campione di oltre duemila aziende che operano a livello globale, evidenzia come proprio la scalabilità, anche di una sola soluzione digitale, sia in grado, di incrementare potenzialmente i ricavi tra il 9% ed il 25% e di generare risparmi sui costi tra l’8% ed il 28%, mentre preferire diverse soluzioni digitali scalabili consente addirittura un incremento delle entrate di quasi il 17% con una riduzione dei costi equivalente.
Il percorso di digitalizzazione, virtuoso, richiede attenzione. Le aziende a volte cercano di scalare troppe soluzioni digitali insieme – il cui potenziale impatto effettivo è però limitato – in particolare perché le soluzioni si concentrano su ambiti specifici. Altre realtà non percepiscono i vantaggi della digitalizzazione semplicemente perché i dati restano “imbrigliati” in silos verticali e questo inibisce la possibilità di valorizzarli.
La ricerca BCG evidenzia quindi come solo il 30% delle aziende oggi si dimostra effettivamente costituito da “leader digitali”. Sono quelle che secondo i criteri di valutazione sono in grado di superare la fase pilota dei progetti ed essere operative incorporando le soluzioni digitali in tutti i comparti. Significa cambiare anche l’approccio culturale, sviluppare nuove capacità, lavorare secondo modalità innovative, fino ad identificare e mettere a terra nuovi servizi b2c e b2b (per esempio con i partner). Il restante 70% delle aziende campione non riesce, invece, ad andare oltre i progetti pilota e resta bloccato in un approccio a silos che non consente di sbloccare il potenziale dei dati.
Tre sono gli elementi chiave che definiscono le possibilità di successo o di fallimento. In primis serve il coinvolgimento e la coesione nel perseguire gli obiettivi dei progetti da parte del top management team e dei board che devono essere coesi, collaborativi, e condividere la strategia per stimolare l’azione (1). Indicativo, a questo proposito, come il 72% delle aziende digital leader mostri proprio questo come tratto significativo, mentre ben il 55% delle aziende “ritardatarie” dichiara che le relative C-Suite operano ancora per comparti a silos.
È fondamentale poi “costruire” un progetto coerente applicabile alle diverse aree critiche del business, in particolare puntando sulla qualità dei dati, sulle competenze e sull’adozione del cloud computing (2). Infine, serve tenere ben presente che abbracciare il digitale è un percorso, bisogna tenere sempre vive le capacità di execution per adattarsi velocemente ai cambiamenti del mercato, in un continuo processo di valutazione e verifica sull’attivazione di nuovi progetti, così da scegliere quali meritano effettivamente di scalare e di essere declinati su tutta l’azienda (3). Il lancio delle Cloud Region italiane di Google Cloud il 15 giugno 2022 rappresenta, in questo contesto, un’importante tappa per consentire alle aziende di fare bene. Ma entriamo nei dettagli dell’analisi.
Ecco che, per quanto riguarda il primo punto (la coesione dei board), più che pensare all’istituzione di un Chief Digital Officer, incaricato di dare forma alla trasformazione digitale, può avere senso invece dare questa responsabilità direttamente ad ogni CxO, in modo che l’intera C-Suite condivida la vision e sia allineata sulle scelte relative agli investimenti ed alle risorse necessarie per portare avanti l’agenda digitale.
È questa, non a caso, la scelta preferita proprio dall’82% delle realtà identificate dalla ricerca come leader digitali. In queste organizzazioni è la stessa agenda digitale a rappresentare una sorta di catalizzatore funzionale ad innescare la collaboration. I CMO, per esempio, possono essere coinvolti nelle scelte finance e tecnologiche, sulle tematiche relative alla privacy e quindi all’analisi dei dati; ma allo stesso tempo anche i CFO interagiscono con il marketing per valorizzare le iniziative in modo che possano crescere i rendimenti sui progetti. A tutti è richiesto di adottare modalità di lavoro agili e di valorizzare la ricchezza della collaborazione tra team interfunzionali, che la tecnologia è chiamata a facilitare.
Per quanto riguarda invece le capacità concrete di realizzare progetti di trasformazione digitale in grado di scalare e diventare virtuosi, dati, cloud e competenze delle persone sono evidenziati dalla ricerca BCG come i tratti caratterizzanti i digital leader. Lo confermano i numeri. Ben il 76% di queste realtà ha migliorato la propria fiducia nella sicurezza, disponibilità e “sostenibilità” dei dati attraverso il digitale; il 94% del campione ha acquisito la capacità di valorizzare le proprie soluzioni digitali in un’architettura cloud, sfruttando Api e microservizi e il 72% intende puntare sull’upskill della forza lavoro ed investire per assumere i migliori talenti digitali nei prossimi tre anni.
L’accesso ai dati di qualità da più fonti, la possibilità di condividerli e di applicare analisi avanzate per generare insights sono alla base di qualsiasi attività volta ad ottenere un vantaggio competitivo. Soprattutto possono consentire alle aziende di individuare quali sono le attività su cui focalizzarsi e che meritano di vedere scalare la disponibilità di risorse digitali. Ancora oggi sono proprio i dati la risorsa meno sfruttata, perché manca una governance efficace e soprattutto manca un’infrastruttura adeguata a valorizzarli nel rispetto della normativa (privacy, etc.).
Il potenziale del cloud pubblico
La disponibilità di strumenti per la condivisione, e quindi anche di servizi cloud, aiuta le organizzazioni a sfruttare i dati provenienti da diversi ecosistemi aziendali. Non è un caso se il 60% dei leader digitali dichiara di disporre di un’infrastruttura matura ed in grado di facilitare lo scambio continuo di informazioni, in sicurezza, anche con i partner, mentre la maggior parte dei ritardatari sta ancora costruendo “un’infrastruttura dati e non dispone di sistemi di governance all’altezza della sfida”. I dati raccolti sul campo dai clienti/consumatori, così come quelli dei sistemi CRM, sono considerati particolarmente preziosi per indirizzare lo sviluppo delle attività aziendali ma gli esperti di marketing spesso faticano ad accedervi in modo coerente ed efficace ed è proprio questo invece un contesto in cui la disponibilità di risorse nel cloud pubblico può marcare la differenza. Entriamo più nel dettaglio.
L’utilizzo di un’architettura di public cloud consente di espandere i vantaggi delle iniziative digitali. Ad esempio, la corretta identificazione, valutazione e gestione del rischio – possibile attraverso piattaforme condivise – rappresenta un importante elemento da considerare, per quanto riguarda la sicurezza. Si tratta di implementare un’architettura a più livelli, sfruttare i vantaggi offerti dalle API e abbracciare un approccio multicloud che offre una maggiore agilità, flessibilità, e consente di implementare tecnologie all’avanguardia, svincolandosi da investimenti onerosi e da sistemi legacy. Questo permette una facile estensione su larga scala dei progetti di test, riducendo al massimo gli oneri di implementazione e manutenzione, grazie alla possibilità di svincolare l’utilizzo del digitale dai sistemi legacy.
I numeri di BCG evidenziano che entro il 2025, fino al 60% delle applicazioni rivolte ai consumatori, quasi il 40% dei data warehouse e dei carichi di lavoro di analisi e oltre il 30% delle applicazioni core business funzioneranno su cloud pubblici gestiti dagli hyperscaler. Già oggi, oltre il 90% delle organizzazioni “leader digitali” si avvantaggia della possibilità di collegare le soluzioni digitali ai propri stack tecnologici in cloud (grazie alle API e ai microservizi), mentre l’80% dei cosiddetti “ritardatari” continua a fare affidamento sui sistemi legacy, con i relativi svantaggi.
Tre fattori in particolari rendono il cloud pubblico un vero “abilitatore”: la possibilità di ridimensionare istantaneamente la capacità delle risorse tecnologiche (networking, storage e computing); la disponibilità delle migliori soluzioni per patching e sicurezza fornite aggiornate direttamente dai cloud service provider (e fondamentali per una corretta governance del dato anche in relazione alle normative) e la disponibilità delle competenze necessarie per personalizzare le soluzioni, spesso carenti in azienda, ma disponibili presso il partner cloud scelto.
Inoltre bisogna considerare l’aspetto fondamentale relativo al controllo dei costi. Secondo la ricerca BCG ancora oggi non sempre le aziende seguono una strategia coerente quando si tratta di decidere quali workload spostare in cloud. Questo impatta sulla capacità di controllare effettivamente la spesa in cloud. Ed è un aspetto su cui invece il 68% dei leader aziendali mostra ancora una volta maggiore maturità, considerate le capacità di queste aziende di ottimizzare le risorse in cloud, anche attraverso tool e strumenti per l’analisi avanzata, fino a mostrare un’efficienza di tre volte maggiore rispetto ai ritardatari per quanto riguarda efficienze e risparmi sui costi tecnologici.
Abbiamo accennato ai vantaggi offerti dalle competenze disponibili presso i CSP così come al problema della carenza delle stesse internamente alle aziende. In un contesto in cui il cloud offre la possibilità di esternalizzare parte dei carichi di lavoro, a vantaggio della scalabilità, le aziende potranno anche attingere in modo agile alle competenze necessarie, specialmente in ambito DevOps, chiedendo aiuto ai partner di progetto in grado di collaborare con i team interni. Un approccio che si rivela vantaggioso anche per indirizzare i progetti nel cloud ibrido, e che permette di colmare il divario di competenze proprio facendo leva sulle partnership.
Le aziende, ed in primis proprio i C-level, sono chiamate a promuovere una cultura dell’innovazione basata sulla possibilità di velocizzare i processi decisionali basati sui dati. Una capacità, questa, che già contraddistingue i leader digitali. Importante in questo contesto il ruolo del Chief Data Officer che deve pensare a integrare nelle pratiche aziendali i modelli di condivisione dei dati più adeguati e le relative politiche di governance.
Serve infine dare priorità all’alfabetizzazione digitale interna, dei team, e valorizzare modalità di lavoro agili del tutto coerenti con le possibilità offerte dalle architetture cloud. Determinano il successo dell’azienda i modelli operativi che tengono al centro lo sviluppo dei prodotti e dei servizi ed il coinvolgimento dei team, facendo leva sulle potenzialità del cloud. Significa poter abbracciare modelli di sviluppo con rapidi cicli di test per adattarsi alle priorità del mercato in un contesto di veloci cambiamenti.
Non perdere il lancio delle Cloud Region italiane di Google Cloud il 15 giugno 2022
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