Cresce il prezzo delle materie prime sul mercato, soprattutto in relazione al protrarsi della guerra in Ucraina e crescono, insieme ad esso, il bisogno di economia circolare e l’urgenza di riuscire al più presto a disaccoppiare la crescita dal consumo di risorse. Un obiettivo che l’Italia non riesce a raggiungere, con la ripresa economica del 2021 che, ancora una volta, ha contribuito a trainare il consumo di materie prime. Non solo, tra il 2018 e il 2020 il “tasso di circolarità” è sceso dal 9,1% all’8,6%, mentre negli ultimi cinque anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8%m a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate). Concretamente significa lo spreco, ancora, di gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi.
Eppure non mancano anche le buone notizie, perché l’Italia sul tema dell’economia circolare è ancora un passo avanti rispetto ai competitor europei. Ed occupa il primo posto assieme alla Francia nelle classifiche delle cinque principali economie. Così, se il tasso di utilizzo circolare di materia nel 2020 è stato in UE pari al 12,8%, l’Italia ha ampiamente superato il 21%.
Lo dicono i numeri del Rapporto sull’Economia Circolare in Italia, frutto della collaborazione tra Circular Economy Network (Cen) ed Enea, con il patrocinio del ministero per la Transizione Ecologica e della Commissione Europea, di attualità ed interesse anche in relazione agli impegni del Pnrr.
“La crisi climatica e gli eventi drammatici degli ultimi due anni, con l’impennata dei prezzi di molte materie prime, dimostrano ]…[ che è arrivato il momento di far decollare senza ulteriori incertezze le politiche europee a sostegno dell’economia circolare – spiega Edo Ronchi, presidente Cen – E le economie sono fragili perché dipendono da materie prime localizzate in larga parte in un ristretto gruppo di Paesi. È un nodo che rischia non solo di soffocare la ripresa ma di destabilizzare l’intera economia con una spirale inflattiva. E’ qui che l’economia circolare può fare la differenza trovando all’interno del Paese le risorse che è sempre più costoso importare”.
La quarta edizione del rapporto, presentata all’inizio di questa primavera, monitora l’andamento della circular economy applicando gli indicatori secondo criteri e indicatori della Carta di Bellagio in relazione agli obietti del nuovo piano d’azione europeo per l’economia circolare, mentre proprio da quest’anno entra in vigore la Strategia Nazionale sull’Economia Circolare dopo un anno, il 2021 (i dati del rapporto si riferiscono invece al 2020), che si è caratterizzato per un rimbalzo dell’economia più positivo delle aspettative.
L’analisi puntuale evidenzia come in media in Europa nel 2020 sono state consumate circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Ma tra le economie di Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna le differenze sono importanti: 7,4 tonnellate per abitante dell’Italia alle 17,5 della Polonia, con la Germania che ha consumate 13,4 tonnellate, la Francia 8,1, la Spagna 10,3. Nel 2020, in nessuna di queste economie si è registrato un incremento nella produttività delle risorse ed il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo in UE, nel 2020, ultimo anno di dati disponibile, è stato pari al 12,8%. In Italia questo valore ha raggiunto il 21,6%, secondo solamente a quello della Francia (22,2%) e ben superiore a quello della Germania (13,4%) con Spagna (11,2%) e Polonia (9,9%) fanalini di coda.
Soprattutto l’Italia si distingue per la percentuale di riciclo di rifiuti che ha raggiunto quasi il 68%, dato che segna la percentuale più alta all’interno dell’Unione. E, mentre nell’UE a 27 Paesi è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani, in Italia questa percentuale ha superato il 54%. Meno bene il nostro Paese fa per quanto riguarda il consumo del suolo, così come siamo agli ultimi posti in termini di ecoinnovazione e nella riparazione dei beni. In Italia, infatti, nel 2019 oltre 23mila aziende hanno lavorato alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobilia, ecc.), un dato che non conforta considerato che si sono perse quasi 5.000 aziende (circa il 20%) rispetto al 2010 e siamo dietro alla Francia (oltre 33.700 imprese) e alla Spagna (poco più di 28.300),
Complessivamente Italia e Francia sono i Paesi che fanno registrare le migliori performance di circolarità seguiti dalla Spagna.
Ora si tratta di mettere a valore le risorse rese disponibili dal Pnrr, in particolare, nell’ambito dell’economia circolare su due obiettivi: migliorare la filiera del riciclo con interventi volti a consentire il recupero delle materie prime seconde; implementare effettivamente il paradigma dell’economia circolare, con la riduzione dell’uso di materie prime a favore delle materie prime seconde. Per questo sul piatto vi sono 2,1 miliardi di euro mentre da altre parti del Pnrr si potrebbero attingere ulteriori investimenti.
Arrivare entro il 2030 a un tasso di utilizzo circolare dei materiali pari almeno al 30% e ridurre del 50% la produzione di rifiuti entro il 2040 dovrebbero essere gli obiettivi del Piano per la Transizione Ecologica ma, recita il rapporto, “serve un’efficace strategia nazionale per l’economia circolare, realizzare gli investimenti per gli impianti, semplificare le procedure per l’end of waste, rafforzare gli strumenti di politica industriale a sostegno degli investimenti delle imprese in direzione della circolarità, promuovere il trasferimento tecnologico in particolare verso le piccole imprese, sviluppare la produzione di biometano e la bioeconomia circolare“.
Temi sui quali merita di essere raccolto anche il parere di Roberto Morabito, direttore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali Enea, che in occasione della presentazione del rapporto ha spiegato come la simbiosi industriale sia “tra gli strumenti più potenti che si possono utilizzare a supporto della transizione circolare dei sistemi produttivi con vantaggi per ambiente, economia e società, a partire dai processi che permettono ai prodotti di scarto di una singola azienda di diventare risorse per un’altra azienda”.
Avviene già in altri Paesi e “sarebbe opportuno che anche l’Italia si dotasse di un Programma Nazionale per la Simbiosi Industriale per massimizzarne le potenzialità e assicurare tracciabilità e contabilità delle risorse scambiate. Il potenziale vantaggio economico per lo scambio di risorse in Europa è stimato tra i 7 e i 13 miliardi di euro, a cui aggiungere oltre 70 miliardi per costi di discarica evitati”. Un ambito in cui Enea dal 2010 è cresciuta “sviluppando una piattaforma e una metodologia di lavoro che hanno consentito di realizzare progetti con oltre 240 aziende individuando circa 2mila potenziali trasferimenti di risorse tra loro”.
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