Il lavoro ibrido è sempre più oggetto di dibattito. Un tema controverso che trova spesso dipendenti e datori di lavoro su fronti opposti. Il crescente scollamento tra le due categorie nasce dal disaccordo sul concetto di produttività, sulla necessità di mantenere l’autonomia garantendo al contempo corretti livelli di responsabilità, sui vantaggi della flessibilità e sul ruolo dell’ufficio. Un fenomeno che si inserisce peraltro in uno scenario economico nel quale i dirigenti di azienda devono fare i conti con l’aumento dell’inflazione, con la riduzione dei budget e, paradossalmente, con un mercato dei talenti che rimane incredibilmente ristretto.
Per colmare questo gap, serve un nuovo approccio che riconosca il lavoro non più e non solo come luogo, ma come un’esperienza che deve trascendere il tempo e lo spazio, in modo che i dipendenti possano sentirsi coinvolti e connessi indipendentemente dal luogo in cui lavorano.
A studiare queste nuove dinamiche è l’ultimo Work Trend Index, fotografia al 30 settembre 2022, dal titolo “Il Lavoro Ibrido è il Lavoro. Abbiamo veramente trovato la giusta formula?” elaborato da Microsoft su un campione di 20mila persone in 11 Paesi attraverso l’analisi dei dati sulla produttività di Microsoft 365 e sulla base dei trend di Linkedin e di Glint People Science.
Il dirigente soffre la “paranoia di produttività”
L’analisi evidenzia alcune macro-tendenze nel mondo del lavoro legate alle nuove esigenze di remotizzazione delle attività lavorative. Tra queste, in particolare, il fenomeno che la ricerca definisce “paranoia di produttività”. Ovvero, da un lato le persone lavorano più che mai: Microsoft evidenzia che dall’inizio della pandemia il numero delle riunioni settimanali è aumentato del 153% a livello globale per l’utente medio di Teams. I lavoratori sono sommersi da inviti a riunioni, tanto che negli ultimi due anni il numero di rifiuti ai meeting e di risposte “forse” sono sensibilmente aumentati, con una crescita rispettivamente dell’84% e del 216%. Quasi il 90% dei dipendenti si dichiara pertanto più produttivo al lavoro.
Per contro, l’85% dei dirigenti sente che il passaggio al lavoro ibrido abbia reso più difficile controllare la produttività dei propri dipendenti. Da qui le ansie dei top manager, insicuri sul fatto che i propri dipendenti siano produttivi e stiano lavorando alla cosa giusta. Tanto che solo il 12% dei leader afferma di avere piena fiducia che il proprio team sia produttivo.
Ritorno in ufficio, spingono socialità e formazione
L’82% dei business decision maker afferma che far tornare i dipendenti in ufficio è una preoccupazione. Anche il 73% dei dipendenti sente di avere bisogno di un motivo migliore per andare in ufficio rispetto alle sole aspettative di rientro dell’azienda.
Le motivazioni per cui i dipendenti si recano volentieri in ufficio, in epoca di hybrid work, sembrano da ricercarsi nella voglia di vedere i colleghi e stabilire o ristabilire un contatto con loro. In particolare, l’84% dei dipendenti sarebbe motivato dalla promessa di socializzare con i colleghi, mentre l’85% dalla possibilità di ricostruire i legami con i team.
Il tema della formazione e della crescita personale impatta fortemente sulla motivazione dei dipendenti e sulle dinamiche del lavoro ibrido. Il 76% dei dipendenti resterebbe infatti più a lungo nella propria azienda se potesse beneficiare di un maggiore supporto per l’apprendimento e lo sviluppo.
I dati mostrano anche che quando i dipendenti non hanno l’occasione di ampliare le proprie conoscenze, sono maggiormente propensi a cambiare azienda. E ad oggi, il 56% dei dipendenti e il 68% dei decisori affermano che non ci sono abbastanza opportunità di crescita nella loro azienda da indurli a rimanere a lungo termine.
Per il 55% dei dipendenti il modo migliore per sviluppare le proprie competenze è dunque cambiare azienda; molti si sentono addirittura in dovere di farlo. Questo sentimento aumenta man mano che le persone salgono di grado, passando dal 51% tra i lavoratori di livello inferiore al 66% tra i dirigenti di livello medio e al 69% tra i dirigenti ai vertici.
Le generazioni più giovani sono quelle più propense a cambiare e con maggiori probabilità di riuscita; la scorsa primavera, il 52% della Gen Z e dei Millennials riferiva che probabilmente avrebbe preso in considerazione la possibilità di cambiare lavoro entro il prossimo anno. Su Linkedin, si segnala in particolare che i dipendenti della Gen Z stanno cambiando lavoro a un ritmo più veloce rispetto ad altri generazioni, in crescita del 22% nell’ultimo anno (superando di gran lunga i Millennials, il cui tasso di transizione al lavoro è sceso dell’1% nello stesso arco di tempo).
I più giovani sono anche particolarmente propensi ad utilizzare l’ufficio per affermarsi come parte della loro comunità di lavoro e sentirsi più connessi ai propri colleghi: le generazioni più giovani cercano in particolare di entrare in contatto con la leadership e con i loro responsabili diretti. La Gen Z è anche particolarmente motivata dal lavorare di persona per vedere i propri “amici di lavoro”, al 79% contro il 68% della Gen X e più anziani.
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