Negli ultimi anni il mondo del lavoro ha vissuto una trasformazione radicale, prima per l’emergenza Covid, poi con il rientro al lavoro e l’affermarsi anche dello smart working che ha attivato nuove dinamiche. Al termine dell’emergenza sanitaria l’insoddisfazione dei lavoratori si è manifestata anche attraverso il fenomeno denominato great resignation, con il sensibile aumento del numero di lavoratori che hanno lasciato volontariamente il proprio posto di lavoro. Oggi, invece, il trend sembra essersi invertito. La tendenza attuale è quella di lavoratori e datori di lavoro più orientati a puntare alla stabilità. Da qui il nuovo fenomeno del big stay.
Tendenze e dati, al riguardo, sono oggetto della settima edizione del Rapporto Censis-Eudaimon che, con altri studi internazionali, analizza in particolare anche il ruolo del welfare aziendale nel cambiamento dei trend in atto. E allora entriamo nel dettaglio dei numeri. Secondo il Rapporto Censis-Eudaimon, tra il 2020 e il 2021 le dimissioni volontarie sono aumentate del 33,6%, con un ulteriore incremento del 14% tra il 2021 e il 2022. Questo fenomeno è stato principalmente spinto dalla ricerca di condizioni di lavoro più favorevoli, sia in termini di stipendio che di equilibrio tra vita lavorativa e privata.
In numeri assoluti su 2,1 milioni di cessazioni di rapporti di lavoro dipendente privato per dimissioni – esclusi gli operai agricoli e i lavoratori domestici -, ben 1,2 milioni quelle riguardanti rapporti di lavoro a tempo indeterminato. In tale categoria il tasso di ricollocazione a tre mesi dei dimessi volontari del 2022 con meno di 60 anni è stato pari al 67%, più alto rispetto agli anni precedenti. Facile intuire che le dimissioni volontarie fossero dovute ad un’ondata di “cambi di lavoro”, probabilmente spinta dalla necessità di condizioni di lavoro più favorevoli.
Una prima svolta è quella che si registra proprio nel 2022, con un deciso rallentamento del numero di dimissioni. Nell’ultimo trimestre del 2022, il report ne registra la diminuzione del 5,8%; un trend che è proseguito nei primi tre trimestri del 2023, con contrazioni rispettivamente del 3,4%, 2,9%, e 1,8%.
Adozione di politiche di welfare aziendale più inclusive e il cambiamento delle priorità dei lavoratori sembrano essere tra le motivazioni che più sono state in grado di cambiare i trend. Tentiamo un’analisi.
Le aziende hanno iniziato a investire in iniziative che migliorano la qualità della vita dei lavoratori, offrendo benefit che vanno oltre la semplice retribuzione economica. Lo stesso rapporto evidenzia che il 72,4% dei lavoratori apprezza la presenza di un consulente di welfare in grado di rispondere ad alcune delle necessità personali e familiari e tra i servizi più apprezzati vi sono quelli legati alla salute, al benessere e al supporto familiare.
“Il rallentamento delle dimissioni di massa non è necessariamente un segnale solo positivo – commenta Alberto Perfumo, ceo di Eudaimon – perché la minor centralità del lavoro rispetto alle altre priorità può portare ad avere persone che sì rimangono in azienda, ma senza le giuste motivazioni e senza trovare risposte a bisogni a cui l’aspetto salariale, per quanto fondamentale, non può rispondere, se non in parte”.
Il rilievo porta ad ulteriori riflessioni. Sono alimentate dai numeri del report che evidenziano l’intenzione dei lavoratori di ridurre il tempo dedicato alle attività aziendali, con numeri significativi di persone che decidono di rifiutare già oggi gli straordinari anche negandosi a call, mail e a ogni attività extra rispetto alle mansioni definite.
Il welfare anche in questi casi risulta un incentivo apprezzato. Spieghiamo come. Nei casi in cui il bisogno espresso sia la ricerca di una nuova vita professionale – perché l’insoddisfazione lavorativa non è causata solo da stipendi non adeguati ma anche dalla mancanza di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata – le proposte di welfare aziendale che comprendono l’opportunità di staccare la spina, anche con attività che permettono di coinvolgere le famiglie dei lavoratori, possono rappresentare un game changer.
Altrettanto importanti risultano i servizi rivolti al benessere e alla salute dei dipendenti, anche attraverso programmi di people caring con assistenza al lavoratore e ai suoi familiari. Eudaimon in proposito si è attivata con la proposta di Euty, soluzione digital di welfare sociale ideata e sviluppata dall’azienda.
Guardare all’estero non svela uno scenario molto differente. I trend sono simili. Negli Usa, un sondaggio Human Resource Online rivela che quasi l’80% dei dipendenti non intende cambiare lavoro almeno fino al 2025, in questo caso la stabilità è attribuita a fattori come l’interesse per il proprio lavoro (circa 4 su 10), la stabilità finanziaria (38,4%) e l’apprezzamento per il management (30,4%). E nel Regno Unito l’associazione di professionisti della gestione delle risorse umane (Cipd) parla di big stay con più persone che optano per la stabilità lavorativa, mentre il portale inglese People Management segnala che oltre la metà (55%) dei datori di lavoro intervistati intende mantenere il livello attuale di personale e vorrebbe diminuire il turnover all’interno dell’azienda.
Resta che investire nel benessere dei dipendenti è la vera strategia da seguire per affrontare le sfide. Le aziende che sanno investire in politiche di welfare aziendale efficaci riporteranno un vantaggio competitivo, riuscendo a trattenere i talenti e a mantenere alta la motivazione dei dipendenti. Nel tempo sarà sempre più importante monitorare le tendenze e adattare le politiche aziendali in base alle esigenze dei lavoratori. Che il big stay diventi il nuovo standard dipenderà dalla capacità di mettere al centro il benessere e la soddisfazione dei dipendenti.
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