“L’elenco delle sfide che le organizzazioni devono affrontare sembra crescere ogni anno, ma migliorare l’engagement dei dipendenti e la retention dei talenti è fondamentale per fare bene” è così che Fabrizio Rotondi, country manager Workday per l’Italia presenta i dati della ricerca Workday Voice of the Employee: Addressing Organisational Burnout Risk. Lo studio si basa sull’analisi dei dati a valle del sondaggio cui hanno partecipato 2,6 milioni di dipendenti provenienti da oltre 850 aziende e 12 settori in tutto il mondo. Numeri alla mano, emerge che il 27% dei dipendenti è ad alto rischio di burnout e che, ancora più rilevante, il rischio di burnout organizzativo si diffonde dai manager ai dipendenti, creando un potenziale effetto domino che mina l’engagement e la produttività a tutti i livelli, soprattutto in assenza di un piano per migliorare la salute e il benessere dei dipendenti, anche attraverso l’utilizzo di AI e di altre tecnologie

Più nel dettaglio, il sondaggio sottolinea anche che ben il 33% dei manager delle organizzazioni ad alto rischio di burnout rientra nella categoria a rischio elevato, rispetto al 15% delle organizzazioni a basso rischio. Significa che i manager delle organizzazioni più esposte hanno il doppio delle probabilità di sperimentare lo stress lavorativo e che i dipendenti di organizzazioni ad alto rischio – gestite da manager con un elevato rischio di burnout –  marcano il 19% in più di probabilità di sperimentare il burnout.

Come rischi burnout si riflettono dai manager ai dipendenti
Come rischi burnout si riflettono dai manager ai dipendenti (fonte: Workday Voice of the Employee: Addressing Organisational Burnout Risk)

L’effetto domino si concretizza al punto che un dipendente su due è ad alto rischio di burnout quando il manager lo è a sua volta, mentre i dipendenti delle aziende a basso rischio hanno solo il 12% in più di probabilità di vedere associati rischi di stress al lavoro quando il relativo manager “non è in forma”. Prosegue Rotondi: “Sebbene molte organizzazioni comprendano che le persone rappresentano una delle risorse più importanti, il desiderio di maggiore efficienza e produttività può comportare ulteriore stress per la forza lavoro. Migliorare la salute e il benessere dei dipendenti non è solo la cosa giusta da fare, ma può anche contribuire a ridurre i costi associati all’assenteismo e al turnover, rendere l’organizzazione complessivamente più produttiva e costruire una cultura più incline ad attrarre e trattenere i migliori talenti negli anni a venire”.

Burnout, i verticali più esposti

Non ci sono industries ‘immuni’ al rischio del burnout di manager e dipendenti, ma certo non tutti i verticali sono egualmente esposti. Secondo lo studio Workday, pur potendo le cause variare a seconda dell’industry, il 18% delle organizzazioni di servizi finanziari è considerato ad alto rischio di burnout, con un miglioramento del 4% rispetto ai livelli del 2022 e se nell’ambito tecnologico sono quasi una su quattro le aziende del settore esaminate ad alto rischio di burnout – con un incremento dell’8% rispetto all’analisi dell’anno precedente – sono il settore energy e risorse, media e entertainment e quello governativo a presentare la percentuale più alta di organizzazioni ad alto rischio, pari al 50% o più.

Fabrizio Rotondi, country manager di Workday Italia
Fabrizio Rotondi, country manager di Workday Italia

Anche in questo caso però si parla di miglioramenti in confronto al 2022, rispettivamente del 17% e del 12% (per governo e media). Healthcare e trasporti sembrano i verticali meno esposti. Il primo si distingue dagli altri per la percentuale relativamente bassa di organizzazioni ad alto rischio (29%), oltre a presentare un miglioramento dell’11% rispetto al 2022. Ed il secondo registra il calo più significativo di aziende ad alto rischio di burnout (-25%) rispetto al 2022, più marcato ancora che nei settori simili come il manifatturiero, l’energia e le risorse.

I trend che la ricerca consente di individuare indicano poi che per la maggior parte delle organizzazioni il turnover volontario è in calo, mentre quello involontario è in aumento e i candidati esterni competono per un minor numero di posizioni aperte. Di conseguenza, le persone rimangono nella stessa azienda più a lungo, nonostante il calo dei tassi di promozione e della mobilità interna. Pressioni esterne e mancanza di mobilità e crescita impattano sui livelli complessivi di coinvolgimento e produttività dei dipendenti e per questo il management dovrebbe coinvolgere tutti i dipendenti nei loro obiettivi strategici per ottenere risultati positivi in termini di coinvolgimento.
Le aziende dovrebbero quindi attivarsi su diverse direttrici: prima di tutto cercando di misurare sentiment e rischi imminenti di burnout un passaggio che non è realizzabile limitandosi solo al conteggio dei tassi di assenza o all’utilizzo dei programmi di assistenza. 

Serve utilizzare i dati per colmare i divari tra c-level e dipendenti, un flusso di dati che misuri sentiment e benessere dei dipendenti e l’AI poi potrà aiutare le organizzazioni ad automatizzare le attività ripetitive e dispendiose in termini di tempo, consentendo ai dipendenti di concentrarsi su lavori di maggior valore. L’AI, abbinata ai dati dei dipendenti, fornirà anche informazioni chiave sulle persone, esperienze iper-personalizzate e relative opportunità di sviluppo. Di seguito si allineeranno i valori aziendali con i risultati desiderati in termini di salute e benessere e si ridurrà la rigidità e la complessità delle politiche e dei processi. Lo studio sintetizza: “ridurre il rischio di burnout non significa solo assicurarsi che i carichi di lavoro siano gestibili, ma anche garantire che sia manager sia dipendenti sentano che il lavoro che stanno svolgendo è significativo”.

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