C’è un gran da fare attorno al tema dei data center. Metto in fila qualche fatto delle ultime settimane, dati di mercato, ricerche, voglia di nucleare da parte dei grandi colossi tecnologici per alimentare data center sempre più onnivori di energia, spinti dalle richieste di elaborazioni delle intelligenze artificiali.
Primo spunto. Noi che parliamo di data center sappiamo cosa sa la gente dei data center?
Il ruolo dei data center sembra ancora frainteso. Secondo uno studio europeo condotto da Censuswide (e commissionato da CyrusOne, “Listening to Communities: Understanding Public Perception of Data Centers and How This Shapes Community Initiatives”) su un panel di 13.000 persone in sette paesi europei (Regno Unito, Irlanda, Paesi Bassi, Spagna, Italia, Francia e Germania) la percezione dei cittadini sui data center è positiva (51%) oppure neutrale (42%). Ma permane una scarsa comprensione del ruolo dei data center: solo il 52% lo ha definito correttamente e solo il 45% ha dimostrato di sapere che i data center sono tra le infrastrutture e tecnologie necessarie per alimentare le applicazioni digitali (come WhatsApp, social media, videoconferenze). Con una consapevolezza diversa nei vari paesi, molto bassa nel Regno Unito (38%) rispetto a Germania (66%), Paesi Bassi e Irlanda (60%).
Da una parte i cittadini apprezzano i vantaggi economici (66%) e il fatto che i data center possano essere motore di crescita economica per il territorio (62%), dall’altra non mancano le preoccupazioni: l’elevato consumo energetico (40%), la produzione di rifiuti elettronici (33%) e l’uso del suolo (30%).
Analizzando i fattori che potrebbero influenzare una percezione più positiva, l’aumento delle opportunità lavorative ha il peso maggiore (40%), seguito dalla creazione di nuovi servizi sulle aree dedicate (37%) – come spazi verdi per la biodiversità, piste ciclabili e aree gioco – e dalla crescita economica per la comunità (31%) con l’assunzione di personale locale per la costruzione e le operation (27%) e opportunità di formazione e apprendistato (23%). Un terreno fertile anche per attrarre startup, trasformando questi poli in hub strategici.
Qualche numero italiano: l’associazione Ida (Italian data center association) prevede per il settore dei data center investimenti per 15 miliardi di euro entro il 2028, con la creazione di 100mila nuovi posti di lavoro nel settore in Italia (come dibattuto nel recente Data Center Symposium). Ma rimane aperta la sfida sulla sostenibilità e sulla responsabilità ambientale, con un’attenzione particolare all’efficienza energetica e all’utilizzo di tecnologie green per spingere anche la transizione ecologica nel nostro Paese.
Secondo spunto. Sostenibilità e sviluppo futuro. Quale direzione hanno in mente chi costruisce data center?
Oggi negli Usa il settore dei data center consuma circa il 4% dell’elettricità prodotta nel Paese, ma si stima che la percentuale possa arrivare al 10% entro il 2030, se non prima.
Da tempo le potenti big tech si stanno muovendo per rispondere all’aumento della domanda di energia richiesta dai loro data center, legata allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. E lo stanno facendo lungo due direttrici: realizzare data center direttamente nei siti delle centrali elettriche (ma questo causa anche disservizi alla rete e aumento dei costi per chi attinge alla stessa fonte di energia) o guardando al nucleare, che ha la capacità di fornire energia a basse emissioni di carbonio senza interruzioni.
In questa direzione si è mossa prima Microsoft che ha definito un accordo con Constellation Energy per riattivare entro il 2028 la centrale nucleale di Three Mile Island in Pennsylvania (luogo del più grave incidente nucleare negli Usa, 1979), con un investimento di 1,6 miliardi di dollari, per produrre energia nucleare che possa poi essere utilizzata per alimentare i propri data center.
Seguita da Amazon e Google che hanno stretto accordi per utilizzare piccoli reattori modulari o Smr (Small Modular Reactors) nei loro siti, reattori meno grandi e costosi dei reattori nucleari tradizionali, che hanno il vantaggio di essere prodotti in fabbrica e assemblati in loco, riducendo i costi e i tempi di costruzione rispetto alle grandi centrali nucleari tradizionali. Garantiscono energia nucleare pulita, continua, senza interruzione 24 ore su 24.
Cosi Amazon ha siglato la collaborazione con Energy Northwest (consorzio di servizi pubblici statali nello stato di Washington) per lo sviluppo di quattro reattori Smr e sta lavorando con Dominion Energy in Virginia (dove ha la metà dei suoi data center) per spingere una transizione verso fonti energetiche a basse emissioni.
Mentre Google ha stretto un’alleanza con la startup Kairos Power, per alimentare i propri data center anch’essa attraverso piccoli reattori nucleari modulari, senza rendere noto l’investimento previsto. Si sa che forniranno 500 megawatt di energia a Google e che Kairos è già al lavoro con il dipartimento dell’Energia per fornire entro il 2030 i primi reattori, in una roadmap al 2035.
E che dire della startup Oklo, finanziata da Sam Altman, Ceo di OpenAI? Come altre aziende della filiera nucleare (NuScale Power, Cameco, Bwx Technologies, Constellation Energy) sta studiando come portare sul mercato reattori modulari di nuova generazione entro il 2027, per rendere “commerciale” il nucleare. In particolare sta lavorando per realizzare un microreattore dalla potenza di 1,5 megawatt, racchiuso in una piccola casetta simile a un rifugio montano, in grado di alimentare fino a 1.000 abitazioni in comunità remote, per portare il nucleare dove serve. Già con il via libera dal dipartimento dell’Energia americano (progetto Aurora).
Queste mosse sono solo alcune di quelle messe in campo dai vendor americani ma mostrano un cambio di passo delle big tech verso il nucleare, con l’intenzione di ridurre la dipendenza da fonti energetiche tradizionali ma anche dalle rinnovabili, come l’eolico e il solare non più sufficienti per fronteggiare il fabbisogno futuro. Quest’anno Microsoft ha abbandonato il progetto Natick del data center sottomarino, avviato con alte aspettative nel 2018. Un cambio di rotta che rimarca quanto l’intelligenza artificiale consumi ma anche quanto ad oggi sia insostenibile per l’ambientale.
P.S. Terzo spunto… Un fatto curioso. Meta sta cercando un nuovo sito dove costruire nuovi data center alimentati da energia nucleare, dopo il cambio di programma imposto dalla presenza di una rara specie di api nell’area inizialmente prescelta. Ad oggi nella zona “bannata” l’azienda di Mark Zuckerberg piantuma alberi e arbusti per nutrire le api e sviluppare l’apicoltura locale. Un confronto con la natura non nuovo per Meta: già nel 2016, impegnata nella costruzione del data center a Meath in Irlanda, aveva dovuto dare vita a un programma locale per tutelare api selvatiche attorno al cantiere. La natura ha avuto la meglio.
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