La strada di OpenAI si divide. E si divide nella settimana in cui il suo fondatore e Ceo, Sam Altman a Torino, parla del futuro della AI all’Italian Tech Week.
Un terremoto di fuoriuscite in una OpenAI che sta virando in modo deciso verso il business (fonti diverse da Bloomberg a Reuters, al Financial Times) dove la divisione for-profit prenderà il sopravvento su quella no-profit, solo in parte controllata dal volere del consiglio di amministrazione.
Che succede?
Lascia a sorpresa Mira Murati, Cto da sei anni, responsabile dello sviluppo tecnologico di OpenAI e determinante per la nascita di ChatGpt due anni fa e degli ultimi sviluppi. “Dopo una lunga riflessione ho preso la difficile decisione di lasciare OpenAI. E anche se non sarò più in trincea con voi continuerò a fare il tifo per voi”.
La seguono i capi della ricerca Bob McGrew e Barret Zoph. A pochi mesi di distanza dalle fuoriuscita di altre menti geniali (Ilya Sutskever e Jan Leike focalizzati sulla sicurezza) e del vero padre di ChatGpt John Schulman, passato alla concorrente Anthropic, mentre il fedele Greg Brokman (socio storico e amico di Altman) si è messo in aspettativa dall’estate.
Un Altman con il vuoto attorno, solo al comando: “Credo che queste dimissioni arrivino da persone pronte per nuove esperienze professionali e per lasciare quindi il posto a una nuova generazione di leader (Mark Chen, tra questi)” ha puntualizzato a Torino, dicendosi pronto a ritornare più sulla tecnologia che sulla governance dell’azienda.
Altman ringrazia gli ex-soci per il lavoro svolto negli anni (”grato per tutto quello che ci hanno aiutato a costruire e a raggiungere”) ma conferma che la società è solida, tranquillizza i 1.700 dipendenti, non parla di ristrutturazione in atto ma di una strategia di “transizione” verso la prossima fase di sviluppo dell’azienda, una decisione che da più di un anno il consiglio di amministrazione discute.
A questo si aggiunge il nuovo round di finanziamenti pronto per essere lanciato da 6,5 miliardi di dollari che, al bivio tra no-profit e for-profit, svolta l’azienda verso la direzione commerciale, rimuovendo anche il tetto ai guadagni per gli investitori, un dettaglio che fa gola a chi è pronto ad investire. “OpenAI sarà più forte dopo questa fase di transizione” sostiene il Ceo.
La direzione è segnata?
Mai smentita da Altman la missione dell’azienda di sviluppare un’intelligenza artificiale generale (Agi) a beneficio dell’intera umanità, come da statuto del 2015 (anno di nascita di OpenAI), anche se il primo strappo è del 2019 con l’avvio della divisione for-profit, per finanziare i costi di sviluppo dei modelli di AI.
Di fatto da tempo un’azienda ibrida, con due anime in disaccordo, che già un anno fa avevano scatenato una tempesta societaria fulminea con l’allontanamento di Altman dal ruolo di Ceo per reintegrarlo poi nelle successive 48 ore (con una Microsoft sempre più presente nelle strategie dell’azienda, non solo finanziariamente con 13 miliardi di dollari di investimento ma anche nel consiglio).
Uno strappo che non si è mai “rimarginato” come le dimissioni al vertice confermano: la strategia di trasformare la società in una azienda business non è piaciuta ai manager che l’hanno fondata. Anche perché nella parte for-profit, le fonti confermano che Altman potrebbe avere il 7% delle azioni (diventando plurimiliardario) cambiando la regola per la quale fino ad oggi non aveva posseduto quote dell’azienda, proprio per non correre il rischio di privilegiare interessi personali al bene della comunità. In un difficile equilibrio tra sostenibilità finanziaria e imprinting no-profit.
Altman lato suo ha smentito la completa conversione di OpenAI al profitto ma d’altro canto una valutazione stimata dell’azienda di 150 miliardi di dollari a valle della transizione societaria (che richiederà comunque anni) alza le aspettative anche degli investitori. Sembra che Microsoft sia pronta a investire un altro miliardo, mentre Apple si sta tirando fuori. Nvidia aspetta.
Un cambio di pelle importante. Alcuni dubbi. La ricerca di OpenAI subirà un contraccolpo con l’uscita di Murati, McGrew e Zoph? A che punto è lo sviluppo dell’AI per tutti? Se fosse così prossima, perché Mira Murati avrebbe lasciato proprio adesso? Perché le defezioni dei capi della ricerca?
Mi rimane la convizione che la strada verso una intelligenza artificiale generale sia ancora lunga anche in casa OpenAI, accanto alla disillusione che i buoni propositi (l’AI per il bene comune) si incaglino strada facendo sempre nei profitti.
Anche la presa di posizione di Altman sulla decrescita marca la direzione. “La teoria della decrescita è una delle cose più stupide mai sentite – ha detto a Torino -. L’AI ci permetterà di crescere, migliorare, aumentare il benessere. Dobbiamo andare avanti e spingere il più possibile. Nasceranno grandi aziende e opportunità, siamo all’inizio di una vera rivoluzione tecnologica”. Chissà se il suo riferimento fosse anche alla “decrescita” teorizzata da Serge Latouche, che mira a ridurre la produzione e il consumo di bene e servizi superflui, ridistribuire le ricchezze, promuovere la sostenibilità delle persone e del pianeta, partendo dall’idea che l’economia e il Pil globale non possano crescere all’infinito su un pianeta finito. Entrambi parlano di bene comune. Chi avrà ragione?
P.S. per la cronaca: In settimana OpenAI ha stretto un accordo con Gedi – editore di La Repubblica e La Stampa – per rendere disponibili agli utenti di ChatGpt i contenuti in italiano delle testate del gruppo (da qui lo sciopero della scorsa settimana dei giornalisti delle testate). Nel rispetto del copyright, da capire i termini dell’accordo: ChatGpt citerà gli articoli? Li renderà riconoscibili? Li utilizzerà per l’addestramento dei propri modelli? Quale ritorno economico per l’editore?. Una partnership che desta l’attenzione anche del Garante della Privacy e che apre nuovi interrogativi. Perché quando si parla di AI i temi da affrontare sono sempre molteplici. Non si fermano al bivio.
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