La disponibilità di enormi quantità di dati, unita alla costante evoluzione della capacità computazionale dei computer, ha permesso all’intelligenza artificiale di crescere ed ampliare le modalità di applicazione in modo esponenziale. I sistemi odierni basati sull’AI si dimostrano sempre più sofisticati, capaci di apprendere, adattarsi e prendere decisioni in autonomia, penetrando e rivoluzionando numerosi settori. Dai processi operativi delle imprese alle attività quotidiane dei consumatori, l’AI ha infatti da tempo penetrato la vita di tutti i giorni di numerose persone. Secondo Statista, il mercato globale per l’AI è stimato attualmente intorno ai 244 miliardi di dollari, con una crescita prevista oltre gli 800 miliardi di dollari entro il 2030.

Crescono per varietà e valore le offerte AI-based rivolte ai consumatori, progettate per rispondere a bisogni tradizionalmente associati al lavoro o all’intervento umano. Tali soluzioni si presentano specialmente sotto forma di app, facilmente accessibili da computer e dispositivi mobili. DoNotPay, ad esempio, definito come “il primo avvocato robot”, offre assistenza legale per gestire piccole dispute burocratiche e ricorsi, semplificando procedure complesse e riducendo i costi. La diffusione di questi servizi basati sull’AI è particolarmente evidente nel settore della salute e del benessere personale. Ne sono un esempio Woebot, un chatbot conversazionale che fornisce supporto psicologico, e Fitbod, un’app che si basa sui dati e le progressioni degli utenti per creare programmi di allenamento su misura, come farebbe un personal trainer.

Sebbene la maggior parte di queste soluzioni, così come l’AI nel complesso, non abbia ancora espresso tutto il proprio potenziale, è lecito chiedersi quali saranno le conseguenze sui professionisti che offrono simili servizi e sulla reazione da parte dei consumatori in relazione a queste nuove offerte. L’ingresso di queste soluzioni nel mercato richiede dunque una comprensione approfondita di queste dinamiche, determinate da un lato dall’evoluzione dell’AI e delle sue modalità di applicazione, dall’altro dai comportamenti, dalle abitudini, e dai cambiamenti sempre più frequenti, che caratterizzano il consumatore contemporaneo.
Da un lato, la potenza computazionale dell’AI, unita all’enorme quantità di dati da cui attinge, garantisce velocità e precisione nel creare gli output richiesti, al netto di possibili errori e bias. Ciò viene accompagnato da un servizio facilmente accessibile, standardizzato, continuo e, spesso, a costi più contenuti rispetto a un professionista umano.
Dall’altro, affidarsi agli algoritmi significa anche rinunciare a caratteristiche umane come l’empatia o la sensibilità contestuale. Infatti, attraverso la propria esperienza maturata nel tempo, l’uomo è in grado di sviluppare competenze relazionali e capacità di adattabilità e intuizione che una macchina difficilmente sarebbe in grado di replicare. Come vengono dunque percepite queste nuove offerte rispetto al rivolgersi a professionisti umani? AI e umano vengono confrontati direttamente, e sullo stesso piano, come perfetti sostituti? Quali sono i criteri che guidano le persone dinanzi a queste scelte? Questi sono soltanto alcuni degli interrogativi che sorgono spontanei.

Criet, percezione dei consumatori verso l’AI

Per approfondire questi aspetti, Criet (Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio) ha svolto una ricerca preliminare, con l’obiettivo di indagare la percezione dei consumatori nei confronti delle soluzioni AI e di comprendere in che modo queste influenzino i processi decisionali legati alla loro adozione. Lo studio, a carattere esplorativo, ha coinvolto partecipanti tra i 20 e i 30 anni, ai quali è stato chiesto di valutare diversi elementi relativi ad una possibile esperienza di utilizzo di un’app AI per il fitness, progettata per replicare le funzioni principali di un personal trainer (creazione di piani di allenamento personalizzati).

Il risultato principale emerso dall’analisi statistica evidenzia che la percezione dell’app AI come sostituto diretto di un personal trainer umano non incide in modo significativo sul grado di intenzione di utilizzo di queste tecnologie. In altre parole, indipendentemente da quanto gli utenti considerano l’AI equiparabile a un professionista umano, questo non sembra un fattore determinante nella scelta di adozione. Al contrario, sono altri aspetti, come la percezione di utilità e la facilità d’uso dell’app, a influenzare maggiormente la propensione all’utilizzo da parte dei potenziali utenti. Andando più nel dettaglio, l’analisi dei dati ha permesso di individuare gruppi di utenti ben distinti tra loro. Il 37% dei partecipanti, con una frequenza di allenamento moderata, si è mostrato particolarmente propenso all’utilizzo di un’app AI per il fitness, percependo questa soluzione come utile e semplice da utilizzare. Il 45% ha invece assunto un atteggiamento più cauto, esprimendo opinioni tendenzialmente neutrali sulle potenzialità del personal trainer digitale, pur senza escludere la possibilità di provarne uno. Infine, una quota pari al 9%, composta da individui che si allenano quasi quotidianamente e caratterizzati da una particolare maturità nel fitness, ha giudicato l’app AI poco utile e difficile da usare, manifestando in media i livelli d’intenzione d’uso più bassi in assoluto nel campione.

Equiparabilità percepita tra app e personal trainer
Equiparabilità percepita tra app e personal trainer (fonte: Ricerca preliminare Criet)

Nonostante queste differenze, tutti e tre i gruppi condividono un tratto comune: la maggior parte dei partecipanti non considera l’AI un vero sostituto del personal trainer umano, in particolare tra gli individui più attivi fisicamente. Quasi l’85% del campione, infatti, distingue nettamente le due opzioni, attribuendo al trainer umano benefici, competenze e qualità del servizio che le soluzioni AI non riescono a replicare. Tra i partecipanti restanti, molti ritengono che l’AI possa effettivamente avvicinarsi all’esperienza offerta da un professionista umano, pur senza raggiungerne completamente il livello. Solo una minima parte del campione, invece, considera le due soluzioni quasi del tutto equiparabili. Persino tra i sostenitori più favorevoli all’adozione di queste tecnologie, l’idea che l’AI sia in grado di rimpiazzare completamente la figura del personal trainer resta, almeno per ora, un’ipotesi distante.

AI, sostituto o alternativa

Questi risultati suggeriscono che le persone potrebbero non scegliere necessariamente tra AI e umano sulla base di un confronto diretto in termini di sostituzione, ma in funzione di altri fattori legati alle proprie caratteristiche personali, abitudini e bisogni. Nel caso specifico dello studio presentato, ad esempio, l’individuo che si allena con maggiore frequenza e con più esperienza potrebbe preferire il supporto di un professionista umano, che oltre a costruire programmi su misura, fornisce una serie di benefici spesso assenti nelle soluzioni automatizzate e che ad alti livelli possono incidere positivamente sul risultato, come l’empatia, “l’occhio esperto” oppure della semplice, reale e genuina motivazione da parte di un’altra persona. Dall’altro lato, questo tipo di servizio comporta un impegno economico ma anche umano più elevato. Al contrario, utenti meno costanti o con meno esperienza in palestra potrebbero mostrarsi più aperti all’adozione di un’app AI, una soluzione accessibile, meno impegnativa ed autonoma, che non richiede rendicontazione verso una persona reale. In definitiva, il focus del dibattito non dovrebbe concentrarsi esclusivamente sulla sostituzione dell’uomo da parte dell’AI, ma anche sull’identificazione dei segmenti di potenziali utenti che ne riconoscono il valore in quanto valide alternative. Accanto al tema della sostituzione, dunque, si aggiungono interrogativi riguardanti l’AI come alternativa del professionista umano. Allo stesso tempo, chi sviluppa soluzioni AI-based dovrebbe forse spostare l’attenzione non tanto sull’obiettivo di “emulare” l’uomo, quanto sull’ottimizzare ciò che l’AI sa fare meglio, valorizzandone i punti di forza in funzione dei bisogni specifici dei target più propensi all’adozione di tali soluzioni.

*Lawrence Cabrera, dottorando in Business for Society presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi l'articolo: