Per la prima volta nella storia di TIM, la nomina dell’amministratore delegato non è stata all’unanimità.
Da domenica pomeriggio, il nuovo AD e direttore generale del primo operatore di TLC italiano è Luigi Gubitosi, nominato dal consiglio di amministrazione in assemblea straordinaria, con il favore dei 9 consiglieri eletti nella lista del fondo attivista Elliott (che ha l’8,8% del capitale) e il parere contrario dei 5 rappresentanti di Vivendi (azionista di maggioranza con il 23,9% del capitale ma in minoranza nel Cda). Gubitosi, cordata Elliott, unico astenuto dei 15 membri del board.
57 anni, commissario straordinario di Alitalia (da maggio 2017), ex Rai (direttore generale 2012-2015), ex Wind (amministratore delegato 2007-2011), Gubitosi dovrà lavorare su tre piani, si dice: lo scorporo della rete telefonica verso la nascita di un unico operatore dalla fusione tra TIM e Open Fiber (posseduta al 50% da Enel e al 50% da Cassa Depositi Prestiti), la cessione della attività non core business per l’azienda (come TIM Brasil) e la definizione di un nuovo assetto che riposizioni TIM come società di servizi.
Una TIM che è ai suoi minimi storici (-77% del suo valore) e che ha visto cambiare da marzo 2011 ben quattro amministratori delegati (Marco Patuano 2011-2016, Flavio Cattaneo, 2016-2017, Amos Genish 2017-2018) fino a Gubitosi neo eletto. Genish (sfiduciato il 13 novembre e uomo di Vivendi) ha definito la nomina di ieri “un capitolo triste per la storia del gruppo che divide i due principali azionisti” chiedendo nuova assemblea entro inizio 2019. Gubitosi ha invece messo l’accento, appena nominato, sul progetto verso una unica rete: “TIM ha una grande storia ed un capitale umano da valorizzare per vincere la sfida del mercato, incrementare la generazione di cash flow per ridurre il debito ed esaminare con attenzione e velocità il progetto per la costituzione di una rete unica”.
Le questioni aperte sono molte per TIM (debito cronico, telefonia con margini sempre più ridotti, rapporti con le controllate, clausola occupazionale, esuberi, sindacati…) frutto di una storia complicata negli anni e spesso difficile da seguire. Ma il tema scottante rimane il futuro della rete, in gioco la sua neutralità, l’entrata di nuovi operatori (come Iliad quest’anno) e i rapporti di forza tra pubblico e privato.
Il governo spinge per dare vita a un unico interlocutore, nato dalla fusione tra gli asset di TIM e la fibra di Open Fiber, con l’intento di creare una unica rete a banda ultralarga senza duplicazioni, sotto il controllo pubblico.
Ma ad oggi i tre attori in campo – governo, Vivendi ed Elliott – seppure schierati sulla stessa linea di partenza hanno traguardi ben diversi: il governo vorrebbe favorire la metamorfosi di TIM da società privatizzata a società a controllo pubblico e lo scorporo della rete di telefonia, Vivendi ne rimane fortemente ostile (“La separazione totale della rete è una follia” a detta del Ceo, Arnaud De Puyfontaine), mentre Elliott da sempre favorevole allo scorporo della rete deve gestire l’opposizione forte di Vivendi. Una ripartenza difficile.
Nessun risultato può essere scontato, anche se un emendamento del decreto fiscale negli scorsi giorni dà ad Agcom maggiori poteri nel caso della nascita di una unica società di TLC, spingendo verso quella direzione. Siamo all’inizio di una ennesima battaglia, TIM al centro. Vedremo dove i tre sposteranno il traguardo.
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