Il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (Mibact) prosegue in questo mese il percorso per la ridefinizione delle tariffe sul compenso per la copia privata, tra un coro di critiche (a parte la Siae), su quella che può essere a tutti gli effetti definita una tassa oramai fuori dal tempo e che in questo momento penalizza ulteriormente chi lavora utilizzando gli strumenti digitali. In linea con quanto previsto per le “consultazioni” del caso, il Mibact ha richiesto di commentare la bozza di decreto sull’aggiornamento dei compensi per copia privata – presentata dal Ministero stesso – a Confindustria Digitale ed alle sue associate Anitec-Assinform e Asstel.
Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale chiede al Ministro Franceschini di bloccare il decreto spiegando come “penalizzare le tecnologie digitali, in questo momento in cui sono gli strumenti cruciali per consentire a cittadini e imprese di continuare a svolgere le proprie attività da casa, sarebbe un segnale del tutto inopportuno e controproducente”.
Era il 30 di marzo il termine ultimo per la presentazione delle controdeduzioni relative alla bozza del decreto ministeriale con cui si ridefinivano i compensi per la copia privata anche tramite un prelievo su pc, smartphone e tablet. Ma ci si continua a muovere in un contesto che sembra non tenere del tutto conto di come sono cambiati in realtà i consumi digitali, del fatto che oggi i contenuti soggetti a diritto d’autore sono fruiti prevalentemente in streaming.
Lo stesso, indipendentemente da quello che uno fa con i dispositivi digitali, ci si trova a pagare una tassa per una “copia privata” che da tempo qualifica negativamente il comportamento di tutti indistintamente. Sottolinea infatti Avenia: “La rapida evoluzione dei device, la crescente offerta di contenuti online da piattaforme specializzate e l’accesso a costi decrescenti alle reti a banda larga fisse e mobili, hanno radicalmente cambiato le abitudini di consumo legale di contenuti e oggi lo streaming è la modalità largamente prevalente di fruizione dei contenuti digitali”.
A tutti gli effetti, in questo modo, la tassa e i relativi aumenti previsti sembrano rappresentare di fatto un balzello sui device tecnologici (e sui supporti, sempre meno utilizzati, basterebbe guardare i numeri delle vendite nella Gdo dei supporti vergini) e quindi di fatto sul digitale. Avenia quindi invita: “il Ministro Franceschini anzitutto a soprassedere all’aumento del compenso per copia privata, che è totalmente ingiustificato, e a ripensare anche all’intero istituto della copia privata riformando la norma che lo ha istituito”. In un contesto come quello attuale verrebbe quasi da aggiungere come gli anacronismi di una tassa di questo tipo potrebbero sembrare quasi “grotteschi”, tanto più perché di fatto impattano su “chiunque” utilizzi un dispositivo digitale.
Manca, nella predisposizione del decreto da parte del Ministero, una lettura reale sulle abitudini attuali degli italiani, oppure semplicemente si è deciso di non tenerne conto, si è deciso di tenere conto solo dei dati relativi alla “pirateria” in genere, che comunque non ha cessato di esistere nelle sue diverse forme.
I dati parlano chiaro, Confindustria Digitale cita una ricerca Nielsen sui consumi, presentata appena a febbraio 2020, che indica che solo per quanto riguarda gli smartphone, il numero di consumatori che hanno ascoltato musica tramite servizi di streaming on-demand è pari all’84% del totale. Si tratterebbe quindi di tassare ulteriormente il 16% che non lo fa presupponendo copie private? O più semplicemente si decide semplicemente di tassare l’utilizzo effettivo come appare?
La proposta di decreto presentata dal Ministero ignora anche le evidenze dello studio Istat, commissionato dal Ministero stesso e citato nella premessa del decreto, che come riporta Confindustria Digitale facendo riferimento alla ricerca “fotografava già nel 2017 una situazione in cui solo il 15% dei consumatori di contenuti musicali e il 10% dei consumatori di contenuti video ricorreva ancora all’abitudine di produrre la cosiddetta “copia privata””.
Nella bozza proposta invece il Mibact sembra eseguire quasi un computo matematico che lega la stessa capacità della memoria dei device alle possibili copie private eseguibili, e quindi prevede un aumento delle tariffe sui telefoni di questo tipo: del 7% per gli smartphones dai 32 ai 64 Gbyte e addirittura del 21% per quelli dai 64 ai 128 Gb; e sui pc del 32,7%. Ora anche i wearable vengono assoggettati al compenso per copia privata, quindi gli smartwatch e i fit-traker, che in realtà sono da considerare come accessori di un dispositivo principale (smartphone) che è già soggetto al pagamento del compenso.
E’ davvero difficile comprendere quale sia la ratio, se non il fatto di voler tassare, con il nome di una tassa sbagliata, qualsiasi dispositivo digitale. Conclude quindi Avenia: “Oggi il settore digitale è pienamente mobilitato per assicurare al Paese lo svolgimento delle attività nel rispetto delle regole sull’isolamento. Vi sono in corso, da parte delle aziende tecnologiche, decine e decine di iniziative volontarie di messa a disposizione gratuita di connettività, servizi e piattaforme, anche accogliendo l’appello lanciato dal Ministro dell’Innovazione Paola Pisano con il programma Solidarietà Digitale. Un decreto che penalizzi l’innovazione sarebbe un segnale del tutto inopportuno e controproducente”.
Ci sentiamo di aggiungere con molta serenità che il momento attuale può rappresentare un’ulteriore aggravante, ma che in ogni caso la tassa di cui si parla è una tassa anacronistica e continua a rimanere, dalle origini, una tassa ingiusta.
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