Organizzato nell’ambito del Digital Health Summit, ritorna anche quest’anno il Concorso W.In.e (W.In.e. and Inspiring e-Leaders) che si ritaglia un momento di rilevo nel corso della manifestazione. Giunto alla sua quarta edizione, l’assegnazione del premio vuole valorizzare gli e-leader, ovvero i migliori progetti che nel campo del lifescience – farma, dispositivi medici e sanità – o all’interno del servizio sanitario nazionale siano stati promotori di efficaci programmi di trasformazione digitale, a beneficio di pazienti, cittadini e care giver.
I protagonisti in gara sono ispiratori di idee, si distinguono per una vision, un percorso, un progetto, una soluzione, ma anche per capacità manageriali, digitali, strategiche e di comunicazione, in grado di far emergere il valore delle proprie idee da portare a fattor comune dell’intero ecositema della sanità, anche in relazione alla fase di emergenza e post emergenza che vive il Paese.
A valutare i progetti, una giuria qualificata – coordinata da Annamaria Di Ruscio, amministratore delegato di NetConsulting cube -, i cui componenti, a conclusione della seconda giornata della manifestazione (mercoledì, 13 ottobre), rendono note le proprie scelte sui progetti vincenti.
Manca poco all’avvio dell’evento e all’aggiudicazione del premio e abbiamo voluto ascoltare la voce dei membri della giuria per interpretare il sentiment con cui si approcciano oggi a questa iniziativa e quale valore attribuiscono al Concorso W.In.e.
Ecco i temi oggetto di domande: Quali sono gli aspetti importanti da valorizzare nei progetti digitali realizzati in questo anno in cui la sanità nazionale è stata sotto pressione per l’emergenza Covid? Qual è il profilo dell’innovatore e quale approccio è premiante per la riuscita di nuovi progetti in sanità? Quale tecnologia in particolar modo è stata abilitante? La relazione umana rimane al centro.
W.In.e, la parola alla giuria di esperti
Liliana Coppola, Accademia Lombarda di Sanità Pubblica, afferma: “La necessità di dare risposte il più possibile “immediate”, sul piano clinico e assistenziale, sul piano epidemiologico e preventivo, in ambito ospedaliero e territoriale, nonché sul piano comunicativo con la popolazione, ha inciso molto sulle dinamiche delle organizzazioni sanitarie, facilitando un approccio integrato e multiprofessionale. Inoltre l’evidenza dei “bisogni” – dentro e fuori l’ospedale – ha determinato anche una maggiore competenza dei professionisti sanitari nell’esercizio del ruolo di “committenza” verso i professionisti Ict, capace di generare una relazione virtuosa a vantaggio di qualità e appropriatezza dei prodotti digitali. Il valore di un progetto digitale nell’epoca post-Covid si fonda quindi in primis sulla sua capacità di dare continuità alle pratiche dialogiche interne al sistema e tra professionisti, innescate dall’emergenza. L’approccio per le progettualità in sanità non può più ormai prescindere dalla tensione alla sostenibilità in termini di diffusa messa “a sistema” di progetti/prodotti – spesso già esistenti – validati sul piano scientifico e tecnologico in termini di efficacia ed efficienza. Così come il rilancio dell’obiettivo di una sanità del territorio rende non più rimandabile il riconoscimento del “punto di vista” e quindi del ruolo attivo di pazienti, cittadini, e altri stakeholder delle comunità locali, nei processi di costruzione di progetti digitali che li riguardano”.
Ornella Fouillouze, Vice Presidente e coordinatore Gruppo Sanità Club TI Milano e coordinatore eHealth4all argomenta: “Le testimonianze che ci arrivano dai candidati al progetto W.In.e, come già nel primo anno della pandemia, mostrano un’Italia che si è “rimboccata le maniche” e che ha creato nuove soluzioni digitali, nuovi processi (ad esempio quello relativo all’interazione con la scuola), un nuovo mondo per le vaccinazioni. E’ stata premiante la rapidità di esecuzione e la percezione di utilità da parte degli utenti, che ha favorito l’adozione immediata e su vasta scala delle soluzioni.
Sotto la spinta del bisogno, a mio parere, emergono le priorità vere: conoscere le tecnologie che semplificano e applicarle (dai web services alla realtà aumentata, dalle webcall alle videochat, ai video tutorial) e rispondere in tempo reale a bisogni veri.
Dalle testimonianze traspare la passione dei protagonisti e, come tutti sappiamo, non c’è nulla di più contagioso”.
Loredana Luzzi, direttore generale Università degli Studi di Brescia, dichiara: “L’emergenza Covid ha consentito alla sanità digitale di dimostrare le proprie potenzialità e opportunità. I progetti realizzati consentono infatti di mettere a sistema una serie di servizi e di erogazione di prestazioni fino al 2020 confinati nel “recinto” della progettualità. Il profilo dell’innovatore è quello di colui–colei che sa “alzare lo sguardo” e guardare verso il futuro ma anche una persona pragmatica che sa realizzare l’innovazione. Per innovare è necessario saper coinvolgere. L’innovazione non è mai solo tecnologica, ogni innovazione, in particolare in sanità, si porta dietro ricadute importanti sull’organizzazione del lavoro e richiede sviluppo di nuove competenze. L’approccio premiante è quindi quello dell’inclusività, della motivazione, della relazione e comunicazione efficace. Sul fronte tecnologico, abilitanti sono la gestione della mole dei dati, i sistemi di prenotazione e interazione con i cittadini (si pensi all’organizzazione ed alla effettuazione della campagna vaccinale), la possibilità di mettere a sistema la televisita (vedi accordo Stato regioni del dicembre 2020). Certo la relazione umana rimane al centro, la sanità è fatta da donne e uomini e anche gli sviluppi sull’AI richiedono ovviamente un impiego importante di risorse e di impegno da parte dell’essere umano”.
Mauro Grigioni, Dirigente di Ricerca Bioingegneria dell’Istituto Superiore di Sanità, dichiara: “L’aspetto principale da valorizzare nei progetti digitali realizzati in questo anno in cui la sanità nazionale è stata sotto pressione per l’emergenza è sintetizzato nella capacità di seguire delle roadmap che puntino al cambiamento.
In questo contesto, l’innovatore è a mio parere chi ha capacità di immaginazione e visione, ma anche chi possiede carisma nel convincere gli stakeholder. L’approccio premiante per la riuscita di nuovi progetti in sanità è la condivisione delle idee e dell’approccio strategico ai problemi con estrema calma. Tra le tecnologie abilitanti per il settore si evidenziano tutte quelle di condivisione dei dati, magari in tempo reale”.
Simonetta Scalvini, responsabile UO di Cardiologia Riabilitativa e responsabile UO di Continuità Assistenziale Ospedale Territorio, Istituti Clinici Scientifici Maugeri, risponde: “Gli aspetti importanti da valorizzare nei progetti digitali sono l’organizzazione e la capacità dei sanitari di mettere in discussione le loro procedure e flow chart operative per adattarle alla nuova e sconosciuta situazione, la capacità di fare rete e di creare team multidisciplinari e di sviluppare un piano di lavoro condiviso con le parti in causa, con obiettivi semplici, misurabili, sostenibili, realizzabili, pianificabili; e infine garantire uno stretto coordinamento e continuità tra i professionisti, facilitando la comunicazione. Il profilo dell’innovatore si identifica con colui che è in grado di rendere reali le cose finora dette. La tecnologia abilitante non è una in particolare anche se la videoconferenza e l’utilizzo del saturimetro istantaneo e a trend ha facilitato di molto il nostro compito con i pazienti Covid. La relazione umana rimane al centro. Riporto le parole di una mia infermiera: “Cosa mi ha insegnato e ricordato maggiormente questa pandemia? Che siamo umani. Che oltre il degente c’è una persona e non solamente un numero di cartella clinica, che la speranza a volte aiuta a guarire più che giorni di degenza e che la potenza di un sorriso, di una chiacchierata con un paziente che ti aspetta in fondo al corridoio solo per scambiare due parole, sono il motivo per cui ho scelto di fare l’infermiera. Valori che ora difficilmente dimenticherò”.
Stefano Villa, Professore e Direttore Master Universitario di II livello in Operations Management nelle Aziende Sanitarie di Università Cattolica del Sacro Cuore, sintetizza così: “Nei progetti digitali del post-pandemia sarà importante fare rete e integrare i diversi attori della filiera salute.
Per rispondere ai bisogni di salute sempre più complessi e variegati l’innovazione tecnologica più premiante sarà inoltre quella capace di fornire informazioni il più possibile accurate e tempestive per agevolare l’integrazione tra professionisti; specialità; ospedale e territorio; assistenza sanitaria e assistenza sociale; aziende sanitarie e fornitori, avendo sempre come punto di riferimento il paziente”.
Daniele Piacentini, Direttore Risorse Umane e Organizzazione, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, sostiene: “L’aspetto più rilevante nei progetti digitali realizzati in questo anno è stata la comune capacità di rispondere in tempi rapidi a nuovi e concreti bisogni organizzativi delle persone, che con le organizzazioni interagiscono (pazienti) o ne fanno parte (collaboratori). La chiarezza del senso e del fine dei progetti di trasformazione digitale in questo anno sono uno degli elementi che ne hanno facilitato la realizzazione e il successo. Questo che dovrebbe essere scontato, in situazioni ordinarie spesso non lo è: quale è il senso di progetti di cambiamento digitale? a quale bisogno rispondono? quale impatto avranno sul miglioramento del nostro modo di lavorare e prenderci cura dei pazienti o dei nostri collaboratori ? A queste domande durante l’ultimo anno c’è sempre stata una risposta “naturalmente” chiara, in tempi “ordinari” spesso non c’è o è nota a pochi, o poco comunicata e questo spesso rallenta o fa fallire i progetti di trasformazione digitale. Se vogliamo stimolare la trasformazione digitale dopo la crisi i due aspetti più rilevanti possono essere così sintetizzati: primo, spiegare e comunicare il senso del cambiamento, il bisogno a cui risponde, l’impatto che ci si attende per noi e per i nostri pazienti; secondo, coinvolgere nella definizione del problema e nella identificazione di come risolverlo tutte le persone coinvolte (professionisti, pazienti, tecnici). Il profilo dell’innovatore è 3C + 3P: competenza, coraggio, curiosità; passione, partecipazione e paziente inclusione. L’approccio più efficace si conferma quello partecipativo, che in un contesto più ambiguo e volatile investe in team multidisciplinari e pluriprofessionali capaci di lavorare in network di competenze sia in presenza sia a distanza, per analizzare, comprendere e trovare adeguate risposta ad un problema comune. Ad oggi la tecnologia abilitante è stata quella “digitale diffusa”: app, interfacce web di inserimento-ricerca-analisi dati, condivisione informazioni su sharpoint o altri strumenti di condivisione dati e informazioni, software di teleconferenza, chatbot. Questo oggi è stato alla base delle trasformazioni e le ha abilitate nella maggioranza dei casi. AI, realtà aumentata, big data, IoT, robotica, etc. oggi sono ancora fuori dai sistemi organizzativi sanitari in modo strutturale e impattante, sono avanguardia, non parti efficienti di effettivi processi e tantomeno parti integrate del sistema di erogazione delle cure o dei servizi”.
Michelangelo Bartolo, Responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Telemedicina dell’ Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata, ritiene che “gli aspetti importanti da valorizzare nei progetti digitali realizzati in questo periodo di emergenza per la situazione sanitaria, non siano da ricercare solo nella soluzione tecnologica ma anche nell’organizzazione del servizio, nei nuovi ruoli e nei nuovi percorsi.
Tecnologie e piattaforme flessibili, intercomunicabili, e nuovi percorsi sono inoltre gli elementi da far crescere”.
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