Sono i giorni del simposio Emea di Gartner sulle supply chain, a Barcellona, occasione per analisti ed addetti ai lavori per valutare come tecnologie e lavoro stiano indirizzando l’evoluzione del comparto. La conferenza offre spunti di riflessione e visione di scenario sui trend che possono mettere in crisi il business e come prepararsi ai momenti di “disruption” facendo leva anche sulla sostenibilità come vantaggio competitivo.
Se da una parte è riconosciuto che le tecnologie più innovative – robotica, intelligenza artificiale, IoT, etc. – hanno il potenziale per trasformare le catene di approvvigionamento, emerge dai keynote di Barcellona che gli abilitatori digitali da soli non sono sufficienti a migliorare le supply chain ed è necessario invece lavorare sulla produttività effettiva del lavoro degli addetti, affrontando quindi le criticità a partire da una strategia di più ampio respiro.
“In particolare – spiega Thomas Pocock, senior director, advisory, Supply Chain Practice di Gartner – oggi si respira un legittimo entusiasmo per le tecnologie che promettono una produttività organizzativa notevolmente migliorata ma si deve ricordare che queste richiedono la collaborazione di una forza lavoro impegnata e produttiva in grado di mettere a terra con esse i possibili vantaggi e, sfortunatamente, i dati raccontano una realtà scoraggiante su questo fronte”.
Un’opinione documentata dai numeri. I dati di un sondaggio condotto a livello globale sul mercato del lavoro nel primo trimestre 2023 su oltre 2.600 di addetti alle supply chain mostrano l’entità delle sfide per quanto riguarda la produttività del lavoro. Solo un operatore su quattro si sente del tutto coinvolto nei processi e appena il 16% della forza lavoro è disposta ad andare “oltre” quanto richiede il proprio ruolo. Mentre il turnover nel comparto nel suo complesso è superiore di circa un terzo rispetto a prima della pandemia.
La trasformazione digitale, intesa semplicemente come “innesto” di tecnologie, fossero anche ben integrate nei processi, non è sufficiente.
E’ invece necessario ripensare alla relazione uomo-macchina-tecnologia ponendo al centro questo tema. Si tratta per le organizzazioni di creare opportunità di “apprendimento” e formazione per consentire ai dipendenti di dare un senso all’utilizzo delle tecnologie come abilitatori in grado di assecondare l’esecuzione di una volontà e facilitare l’input delle “azioni”.
Gartner per questo raccomanda che parallelamente agli investimenti tech, si pensi in modo equivalente a quelli nella formazione della forza lavoro, per lo sviluppo delle competenze e di una reale conoscenza su come la tecnologia operi nelle catene di approvvigionamento, apportando quali vantaggi. Non di rado poi, le competenze più richieste sono effettivamente già disponibili nelle organizzazioni del comparto ma non riescono ad esprimere il proprio potenziale per un’organizzazione eccessivamente rigida legata all’esecuzione di compiti specifici.
I chief supply chain officer devono distribuire in modo flessibile i talenti dove è necessario, ripensando i progetti per attività di competenza e cercando le capacità disponibili all’interno dell’organizzazione in modo più flessibile.
Inoltre le organizzazioni potrebbero sfruttare i momenti di crisi, come opportunità per abbattere i silos e trovare nuovi modelli organizzativi più efficienti. Proprio la riprogettazione spontanea dei processi decisionali, avvenuta in molte aziende durante le fasi iniziali della pandemia, per esempio, ha rappresentato un’occasione di questo tipo ed è stata sfruttata per generare resilienza di fronte a nuove sfide. Ora, con le criticità economiche e geopolitiche attuali, è il momento di nuovo di fare tesoro di quell’esperienza.
Quattro quindi sono i punti su cui investire e lavorare per acquisire un vantaggio competitivo da qui al 2028: l’innovazione tecnologica e commerciale, operation e processi sostenibili, strumenti di decision-making realtime (esigenza sentita dal 95% delle realtà ma indirizzata oggi appena dal 7% di esse) e, ultimo ma non meno importante, proprio la capacità di ridisegnare i flussi di lavoro attorno alle persone. Oggi, il cosiddetto “labor shortage” rappresenta una sfida per oltre il 60% delle realtà del comparto, ma oltre un terzo accusa di non riuscire ad attirare, ingaggiare e trattenere i talenti.
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