David Clutterbuck – tra i fondatori dello European Mentoring and Coaching Council, Emcc, definisce il coaching come “un processo di sviluppo della persona che implica un’interazione strutturata e focalizzata, utilizzando strategie, strumenti e tecniche per promuovere un cambiamento desiderabile e sostenibile per il beneficio del coachee e potenzialmente per altre persone interessate”. 

L’approccio di Clutterbuck si differenzia da quello più orientato all’azione (come nel modello Grow proposto da John Whitmore), concentrandosi maggiormente sulla riflessione iniziale per aumentare la consapevolezza del coachee (cliente) rispetto agli obiettivi o alle sfide da affrontare.

Nel contesto del business coaching, c’è una verità fondamentale che emerge sempre più chiaramente: il coaching non è fatto per fornire risposte, ma per creare lo spazio necessario per le domande giuste. Questo approccio segna un cambiamento significativo nel modo in cui percepiamo leadership e gestione.

Non si tratta più di essere la fonte infallibile di soluzioni, ma di coltivare curiosità e autonomia, incoraggiando sia i coach che i loro clienti a esplorare in profondità le motivazioni sottostanti ai problemi aziendali.

Il coaching efficace richiede una mentalità aperta e curiosa. Piuttosto che offrire soluzioni immediate, il coach diventa un facilitatore di pensiero critico, aiutando il cliente a identificare i problemi alla radice e a immaginare scenari alternativi. Questo processo è particolarmente prezioso nei contesti aziendali, dove le decisioni strategiche devono essere sostenibili nel lungo termine.

Ad esempio, quando un leader si trova di fronte a una crisi di coesione nel team, il coaching non si limita a suggerire miglioramenti nella comunicazione o nella delega. Al contrario, guida il leader a riflettere sulle convinzioni più profonde e sui valori che guidano il suo comportamento. Questo tipo di introspezione può rivelare modelli di pensiero limitanti o pregiudizi inconsci che influenzano negativamente le dinamiche organizzative.

In un mondo sempre più complesso e incerto, questa capacità di porsi le domande giuste diventa cruciale, poiché le soluzioni preconfezionate spesso non funzionano.

Il paradosso della trasformazione

È come tentare di far crescere un giardino tirando le piante verso l’alto – ovviamente, non funziona. Il nostro desiderio di risultati immediati può danneggiare il delicato equilibrio necessario per una crescita sostenibile.

L’analogia tra il giardino e il processo di coaching aziendale illustra il paradosso della trasformazione: mentre cerchiamo di controllare e accelerare il cambiamento, spesso finiamo per ostacolarlo. Questo principio è particolarmente rilevante nel contesto aziendale, dove la pressione per il successo immediato porta a interventi top-down che soffocano l’innovazione e la creatività.

Le organizzazioni cercano di accelerare i risultati attraverso soluzioni rapide o cambiamenti imposti dall’alto. I cambiamenti duraturi, però, richiedono tempo e pazienza.

Il coaching può aiutare i leader a riconoscere quando è necessario rallentare per permettere al team di assimilare nuovi modelli di pensiero e comportamento. Creare le condizioni giuste per la crescita, proprio come un giardiniere prepara il terreno, fornisce nutrimento e rimuove gli ostacoli, è la chiave per un cambiamento autentico e sostenibile.

L’era digitale e il tocco umano

L’integrazione dell’intelligenza artificiale (AI) nel coaching rappresenta un punto di svolta significativo. Ma è importante chiarire un aspetto: l’AI non sostituisce il tocco umano; piuttosto, lo amplifica. Questa sinergia tra tecnologia e umanità è cruciale per il futuro del coaching, poiché combina la capacità dell’AI di analizzare grandi quantità di dati con la sensibilità umana necessaria per interpretare e applicare queste informazioni in modo significativo.

Ad esempio, un sistema di IA potrebbe rilevare che un manager tende a interrompere frequentemente durante le riunioni. Questo dato, da solo, è neutro. Ma quando il coach lo interpreta chiedendo: “Cosa succede quando ti senti interrotto? Come influisce sulle dinamiche del team?”, quel dato freddo si trasforma in un’opportunità di crescita personale e relazionale.

L’AI può identificare pattern comportamentali difficili da rilevare manualmente, come variazioni nel tono di voce, frequenza delle interruzioni o tempi di risposta nelle comunicazioni scritte. Ma è l’intuito umano che dà un contesto a questi dati, collegandoli alle emozioni, alle motivazioni e alle dinamiche relazionali che caratterizzano ogni situazione specifica.

Immaginate un sistema che non solo identifica pattern comportamentali, ma suggerisce anche strategie personalizzate per affrontarli, basandosi su un vasto database di casi di studio e best practice. Tuttavia, la vera magia avviene quando queste raccomandazioni vengono integrate in un dialogo umano autentico, in cui il coach e il cliente collaborano per trovare soluzioni che rispettino i valori, le aspirazioni e le sfide uniche del cliente. In sintesi, l’era digitale non sta sostituendo il tocco umano nel coaching; piuttosto, lo sta amplificando, permettendo di creare esperienze di crescita più profonde e significative.

I 3 livelli del cambiamento: azioni, relazioni, identità

L’analisi dei tre livelli di cambiamentoazioni, relazioni e identità – offre un framework chiaro per comprendere il lavoro del coaching. Ogni livello richiede un approccio diverso, ma tutti sono interconnessi, creando un sistema dinamico in cui il progresso in un’area influenza positivamente le altre.

L'analisi dei tre livelli di cambiamento – azioni, relazioni e identità – offre un framework chiaro per comprendere il lavoro del coaching
L’analisi dei tre livelli di cambiamento – azioni, relazioni e identità – offre un framework chiaro per comprendere il lavoro del coaching

Livello delle azioni: al primo livello, quello delle azioni e dei comportamenti, l’AI può essere uno strumento prezioso per monitorare i progressi e suggerire miglioramenti.

Per esempio, consideriamo un manager che cerca di migliorare la sua capacità di delegare compiti. Un sistema di AI può analizzare le sue interazioni quotidiane, identificando momenti in cui assume compiti che potrebbero essere delegati.

Durante una sessione di coaching, il coach può presentare questi dati al manager, chiedendogli: “Perché hai scelto di gestire personalmente questo compito? Cosa temi possa accadere se lo delegassi?”. Questo tipo di analisi permette di identificare pattern comportamentali che altrimenti potrebbero passare inosservati, offrendo un punto di partenza concreto per il cambiamento.

Livello delle relazioni: al secondo livello, quello delle dinamiche relazionali, il coaching entra nel territorio delle conversazioni difficili, dei conflitti produttivi e della costruzione di fiducia. L’AI può illuminare questi pattern, ma è il coach umano che deve navigarli.

Per esempio, un team che sta affrontando tensioni crescenti può beneficiare di un’analisi delle comunicazioni interne, che riveli un aumento delle e-mail aggressive o un calo delle interazioni collaborative. Attraverso una discussione guidata dal coach, il team può iniziare a riconoscere i propri comportamenti dannosi e a lavorare insieme per risolverli.

Livello dell’identità: al terzo livello, quello dell’identità organizzativa, il coaching si concentra su domande fondamentali come “Chi stiamo diventando?” e “Quali sono i nostri valori fondamentali?”. Questo è un territorio puramente umano, in cui l’IA può fornire dati, ma non può sostituire la profondità del pensiero e della riflessione umana.

Un’organizzazione che riesce a definire chiaramente la propria identità post-fusione, ad esempio, può ispirare fiducia e coesione tra i dipendenti.

La risposta sta nelle domande

La risposta, come sempre nel coaching, non sta nelle soluzioni preconfezionate, ma nella qualità delle domande che ci poniamo e nel coraggio di esplorare le risposte insieme. Il business coaching moderno è un viaggio di scoperta, in cui tecnologia e umanità si intrecciano per creare opportunità di crescita inaspettate. È un processo che richiede pazienza, empatia e una profonda comprensione delle complessità umane.

Il vero potere del coaching sta nella sua capacità di ispirare le persone a immaginare possibilità nuove e a intraprendere il viaggio verso il loro pieno potenziale.
E in questo viaggio, le domande giuste sono sempre il punto di partenza.

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* Laureato in ingegneria elettronica/sistemi informativi al Politecnico, Pierpaolo Muzzolon trascorre tutta la vita in aziende hi-tech e IT nel marketing e nella comunicazione, oggi è counselor in analisi transazionale, coach e trainer. 

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