Banche ed organizzazioni che si trovano a gestire le richieste di credito da parte delle aziende e degli imprenditori hanno bisogno di poter quantificare e considerare le percentuali di rischio che il denaro prestato possa venire effettivamente restituito da chi lo chiede. Si tratta di un processo tanto “antico” quanto in grado di favorire la crescita di un istituto o, al contrario, il suo declino.
Senza nascondersi dietro a un dito, già oggi tutte le principali realtà investono ampiamente nell’utilizzo di sistemi digitali basati sul machine learning per questo compito, laddove invece, una serie di verifiche basate solamente sul lavoro umano – oltre ad essere insufficienti, anche se necessarie – esporrebbe ad una serie di errori. Tuttavia serve che le autorità di vigilanza siano attente a prevenire tutti i possibili aspetti negativi correlati all’utilizzo dei sistemi legati all’intelligenza artificiale.
Nasce così il documento tecnico redatto da Crif (è la Centrale Rischi Finanziari, azienda specializzata in sistemi di informazioni creditizie e di business information, analytics, servizi di outsourcing e processing) e Intesa Sanpaolo. E’ già stato discusso con Eba (European Banking Authority), l’autorità indipendente dell’UE che opera per assicurare un livello di regolamentazione e di vigilanza prudenziale uniforme nel settore bancario europeo, e verrà ora approfondito ulteriormente dalla stessa Eba con la Bce (Banca Centrale Europea) e le altre grandi banche italiane.
Spiega così i vantaggi del ML, Daniele Vergari, director Risk Analytics lead di Crif Management Consulting: “L’elaboratore può reperire le informazioni salienti anche quando sono disperse o annegate in una congerie di dati irrilevanti, il classico ago nel pagliaio che i modelli tradizionali faticano a individuare. Automatizzando l’accesso ai dati e i processi decisionali, per le banche diventa possibile concedere credito in tempi ristrettissimi, presidiando nuovi canali come lo shopping online, che diversamente rischiano di diventare appannaggio di società di fintech e di big data“.
Il machine learning concretamente consente di individuare le regole che aiutano a risolvere un problema, per esempio scoprire in quali settori si registrano ritardi nei pagamenti e in quali, invece, l’attività non subisce particolari scosse. E’ possibile così individuare nuove tendenze che possono incidere sulla salute dei finanziamenti erogati, abbattere i costi e utilizzare i patrimoni informativi disponibili negli archivi di banche e sul Web.
Facile comprendere quanto tutto ciò “piaccia” al finance. “Dall’entità del rischio di credito dipende, in Europa, la quantità di patrimonio richiesta alle banche – dettaglia Giorgio Costantino, executive director, head of Crif Global Transformation Services –: se la prima è misurata in modo carente, anche il secondo può dimostrarsi inadeguato a reggere situazioni di stress. Non c’è quindi da stupirsi che i supervisori vogliano vederci chiaro e individuare soluzioni in grado da un lato di garantire adeguate tutele ai richiedenti credito, dall’altro di mettere gli istituti di credito nella condizione di gestire in modo efficace ed efficiente l’operatività nei processi di erogazione”.
Una ricerca dell’Institute of International Finance documenta l’utilizzo del ML già nel 70% delle banche del mondo, ed oltre il 50% lo sfrutta per monitorare i finanziamenti erogati. Con la pandemia la fiducia in questo digital enabler è cresciuta ulteriormente: per esempio il 50% degli istituti sondati dalla Bank of England ha dichiarato di attendersi un aumento nell’importanza di queste tecniche nella propria operatività, proprio come effetto della pandemia. Ed infine, il documento di Crif e Banca Intesa Sanpaolo mostra come l’accuracy ratio (una misura di accuratezza dei modelli per la gestione dei rischi, che generalmente oscilla tra il 50% e l’80%) possa aumentare di 10 punti percentuali usando dati e tecniche di elaborazione innovativi. Tutto bene quindi? Non proprio.
Crif e Intesa Sanpaolo nel documento sottolineano il problema della privacy, perché se è vero che il ML lavora su informazioni pubbliche o già condivise volontariamente dagli interessati, allo stesso tempo consente di recuperare ed utilizzare in modo strutturato importanti dettagli della vita delle persone, un tema su cui le banche si muovono con cautela, più delle più giovani fintech. A nostro avviso è ancora più importante il secondo aspetto, ovvero il rischio di creare delle black box, con sistemi e modelli che in seguito all’analisi concedono o negano il credito ma senza permettere di ripercorrere in modo trasparente sia alla banca, sia a chi chiede il prestito, la sequenza dell’analisi. E quindi senza fornire informazioni chiare al riguardo, per non contare poi i possibili “bias” che diventano di fatto incorreggibili quando il processo non resta trasparente all’analista.
La Bce non nasconde nemmeno le proprie perplessità di fronte a un progetto di regolamento europeo sull’AI (ne abbiamo già parlato su Inno3) che rischia di bloccare anche l’utilizzo di modelli semplici, utili e comunemente accettati. Regole rigide sembrano non servire. E allora sarà importante controllare che il ricorso ai digital enabler più sfidanti avvenga senza criticità. Per questo già nei mesi scorsi l’Eba ha ventilato agli operatori la possibilità di emanare un set di linee guida minime, così che l’imposizione di regole troppo restrittive non rischi di danneggiare la competitività del sistema finanziario europeo e di privare le banche di strumenti utili per valutare in modo accurato i soggetti meno affidabili e quindi contenere i costi delle insolvenze.
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