I maggiori quotidiani nazionali settimana scorsa hanno riportato la notizia della maxi sanzione che l’Antitrust ha inferto a Samsung ed Apple, pari a 5 milioni di euro per l’una e 10 per l’altra, dopo aver accertato che le società dei due gruppi hanno realizzato pratiche scorrette “in violazione degli artt. 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo in relazione al rilascio di alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari che hanno provocato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni, in tal modo accelerando il processo di sostituzione degli stessi”.
La stessa Agcm ha inoltre precisato che tali società hanno indotto i consumatori “mediante l’insistente richiesta di effettuare il download e anche in ragione dell’asimmetria informativa esistente rispetto ai produttori” a installare gli aggiornamenti del sistema operativo, anche su dispositivi non in grado si supportarli, senza fornire le necessarie informazioni né alcun mezzo di ripristino.
Si tratta della prima decisione al mondo sull’obsolescenza programmata, ovvero quella politica industriale volta alla definizione del ciclo di vita di un prodotto in modo da renderne l’utilizzo determinato a un periodo prefissato. Tale pratica venne adottata, per la prima volta, nel 1923 quando i produttori mondiali di lampadine decisero che la vita del loro prodotto era troppo lunga e si accordarono per accorciarne artificialmente la durata stipulando il cd. “accordo Phoebus”.
Governi e Parlamento Ue si muovono
Oggi l’obsolescenza programmata viene combattuta dai Governi nazionali colpendo quelle aziende che la attuano e stabilendo per legge degli standard di produzione per definire i requisiti minimi di durata dei vari prodotti.
A partire dal 1 gennaio 2020, ad esempio, in Francia ogni prodotto tecnologico dovrà mostrare un’etichetta che riporti il proprio indice di riparabilità.
Il reato di obsolescenza programmata è stato introdotto nel 2016 e prevede pene fino a due anni di reclusione per l’amministratore delegato dell’azienda e multe fino a 300 mila euro.
L’operato francese è un esempio lampante di come sia possibile un mercato sostenibile, specialmente in merito alle sempre più sentite esigenze di tutela ambientale.
D’altro canto la decisione dell’Agcm non convince a pieno alcuni esperti, i quali rimarcano che l’istruttoria non sia riuscita a dimostrare le pratiche di “obsolescenza programmata” attuate dalle due compagnie. A ben guardare, infatti, l’autorità garante della concorrenza ha argomentato la decisione sulla base della lacunosità dell’informativa fornita ai consumatori che non avrebbe messo in luce, in maniera adeguata, i lati negativi degli aggiornamenti effettuati sui devices (evidenziando invece, al contrario, i soli aspetti positivi).
A rischio sicurezza e centri di riparazione
Queste decisioni quindi, se da un lato rispondono alle esigenze dei consumatori che lamentano l’obsolescenza troppo rapida dei propri devices e un impatto ambientale insostenibile per il nostro Pianeta, dall’altro lato potrebbero porre un importante freno all’evoluzione tecnologica, costringendo i grandi produttori a dover distinguere gli aggiornamenti indispensabili per la sicurezza, da quelli che servono solo ad aggiungere funzioni od ottimizzare le prestazioni.
Sul punto si è soffermata anche la giornalista Milena Gabanelli, la quale, ha pubblicato un video sul Corriere che evidenzia un’ulteriore criticità del modello di business fondato sull’obsolescenza programmata. Dati alla mano infatti, riporta la giornalista, in Italia stiamo assistendo ad una progressiva chiusura dei centri dedicati alla riparazione degli elettrodomestici.
Per far fronte al problema, nell’estate del 2017, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per invitare gli Stati dell’Unione a promuovere prodotti tecnologici riparabili e con un ciclo di vita più lungo. L’Italia non è rimasta inerte di fronte alle indicazioni fornite dal Parlamento Europeo: ben tre proposte di legge sono state presentate da Pd, Sel e Movimento 5 Stelle, ma nessuna è mai arrivata in discussione in aula.
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