Nel corso dell’evento IBM Think 2019 sono stati annunciati una serie di strumenti e servizi per il cloud ibrido, ma soprattutto è stata svelata la possibilità per le aziende di sfruttare l’intelligenza artificiale di Watson, ovunque siano disponibili i dati, quindi senza più le limitazioni di lock-in, esaltando le potenzialità del cloud ibrido.

L’annuncio si colloca nell’alveo della strategia di IBM sull’AI volta a portare Watson ovunque; è un approccio che facilita lo sviluppo dell’intelligenza stessa di Watson. I dati, sempre più complessi, ma relegati in silos, non offrono lo stesso valore assoluto dei dati masticati e serve poterli lasciare elaborare a Watson, provengano essi da repository su cloud pubblici, come on premise e su cloud ibridi.

Ora IBM apre ulteriormente le possibilità offerte. L’integrazione avviene grazie a IBM Cloud Private for Data (ICP for Data), Watson e Watson OpenScale che ora si eseguono in qualsiasi ambiente. Le aziende potranno integrare l’AI anche nelle relative app, ovunque risiedano i dati. La novità indirizza un problema noto. Uno studio citato da IBM parla di un’adozione di soluzioni di AI di appena il 4%. Pochi. Ne spiega le cause Rob Thomas, general manager IBM Data and AI che le individua in “dati sempre più complessi stoccati in silos, la carenza di competenze e la scarsa portabilità dell’AI, che naturalmente deve stare vicina ai dati stessi”.

Ad insistere sulle potenzialità delle soluzioni presentate a Think 2019 è anche, Ginny Rometty, presidente e ceo di IBM, che parla apertamente di un ‘capitolo 2’ per il cloud, e ne spiega la natura che così sintetizziamo: “Il capitolo uno del cloud ha rappresentato appena il 20% delle opportunità. Si trattava di trasferire sul cloud le nuove applicazioni. Chapter 2 riguarda task decisamente più impegnativi. Si tratta di imparare a gestire l’intelligenza artificiale e generare nuovi cloud ibridi. Quindi si tratta di portare il modello operativo cloud in tutte le app mission-critical consentendo ai clienti di gestire dati, carichi di lavoro e app spostandoli poi tra diversi cloud. Questa è un’opportunità che vale oltre mille miliardi di dollari e in questo ambito IBM intende essere il numero 1″.

Sbloccare le potenzialità del multicloud

Secondo IBM, il 98% delle aziende adotterà architetture ibride entro il 2021, ma meno di 4 aziende su 10 disporranno degli strumenti necessari per operare in modo virtuoso in questi ambienti. Qui si innestano quindi le novità di Big Blue a Think 2019.

IBM Cloud Integration Platform, in questo contesto, consente di ridurre i tempi e la complessità quando si desidera implementare nuovi servizi e applicazioni in ambienti cloud multipli in maniera coerente e uniforme.

Nello specifico la Platform è progettata per connettere in sicurezza applicazioni, software e servizi di qualunque produttore, indipendentemente dal fatto che questi si trovino su infrastrutture IT proprietarie (on-premise), su cloud pubblico o privato.

Juan Carlos Soto, IBM VP Cloud Integration
Juan Carlos Soto, IBM VP Cloud Integration

La parola d’ordine nello sviluppo di questa proposta è integrazione.

In pratica si vuole consentire la scrittura, il testing e l’integrazione della sicurezza in un unico processo di coding, che sarà poi riutilizzato all’occorrenza, laddove invece prima le singole operazioni richiedevano tempi di implementazione decisamente più lunghi.

La sicurezza, appunto. In ambito multicloud le sfide si moltiplicano ulteriormente, anche per la movimentazione del dato che cresce in modo significativo. Le aziende hanno bisogno di gestire accessi, identità e informazioni con la massima visibilità sullo stato dei processi.

Per queste esigenze IBM propone una soluzione basata sulla crittografia. Il servizio, parte integrante di IBM Cloud Hyper Protect, propone la gestione delle chiavi crittografiche con un modulo di sicurezza hardware (HSM) dedicato, basato sulla tecnologia FIPS 140-2 di livello 4, offerta da un provider cloud pubblico.

IBM Studios in Italia

Questi sono i giorni anche di una nuova iniziativa di IBM in Italia. L’azienda inaugura un luogo di confronto dedicato alla digital transformation italiana: una casa di vetro che prende il nome di IBM Studios.

Si tratta del frutto di un investimento di oltre 40 milioni di euro in 9 anni. IBM Studios si trova a Milano, in P.zza Gae Aulenti, qui l’azienda vuole favorire la collaborazione con imprese di ogni tipo e dimensione, con associazioni territoriali, istituzioni, università, centri di ricerca, sviluppatori e studenti.

La struttura è costituita da quattro aree: IBM Cloud Garage, Strategy&Design Lab e Client Center. Proprio Client Center rappresenta l’espressione della volontà degli Studios di essere luogo di scambio e si innesta in un network europeo composto da 16 diverse strutture. Non sarà infatti destinato solo alle iniziative di Big Blue ma a quelle di tutto l’ecosistema allargato capace di contribuire all’innovazione del Paese.

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