In Italia il 5G oggi è già una realtà. Tim e Vodafone ne hanno dato dimostrazione in alcune importanti città del nostro Paese. Da una parte è evidente l’interesse del mercato, perché il 5G è indicato tra i più importanti digital enabler per i progetti di trasformazione digitale. Negli ultimi mesi però l’entusiasmo sembra avere soffocato la riflessione sui possibili effetti delle nuove reti (torri e antenne comprese) sulla salute.
Dal punto di vista tecnico il 5G è operativo nella banda di spettro microwave con frequenza tra i 3 e i 300 GHz, in Italia la più alta delle bande assegnate lavora a 26 GHz (mentre 1-2-3-4G lavorano tra 1 e 8 GHz). Potenzialmente oggi si possono sfruttare in Italia onde con frequenza fino a 90 GHz. Più alto è lo spettro di banda più è necessaria un’alta densità di dispositivi radio. Non solo, il 5G determinerà la possibilità e l’esigenza in alcuni casi di sfruttare mini antenne locali, dislocabili anche all’interno degli edifici.
Partiamo con un assunto: ad oggi nessuno può documentare che la tecnologia 5G nuoccia alla salute, così come nessuno è anche in grado di escluderlo a priori, o del tutto.
La tecnologia smallcell permette sì un’emissione inferiore di radiazioni rispetto alle infrastrutture cellulari tradizionali e le frequenze 5G hanno scarsa capacità di penetrare nei tessuti biologici come la pelle. E’ anche vero che se la tecnologia 5G promette da un lato di approdare a scenari più “puliti” genererà anche una diffusione importante di antenne sul territorio.
L’infrastruttura ottimale per abilitare lo scenario più efficace e completo del 5G sarà molto più densa rispetto all’attuale, che funziona con poche antenne, su pochi tetti. A questa nota va però accostata quella dell’Istituto Superiore di Sanità secondo cui le nuove antenne 5G avrebbero caratteristiche tali da rappresentare un pericolo per la salute inferiore rispetto a quello delle tecnologie che usiamo oggi.
5G e salute, tante domande poche risposte
E’ normale in questo contesto che suscitino una maggior attenzione i casi in cui le autorità di Paesi diversi (pochi), in continenti diversi, cercano di frenare o di opporsi alle sperimentazioni, oppure richiedono maggiori garanzie.
Tra queste per esempio l’iniziativa di Céline Fremaul, ministra dell’ambiente della regione che a Bruxelles, in Belgio, ad aprile di quest’anno blocca le sperimentazioni della rete 5G. La sua città sarebbe dovuta essere la prima ad offrire la nuova connettività e invece no.
Con una decisione conseguenza di “indicazioni provenienti direttamente dagli organi regolatori delle telecomunicazioni, e da un comitato di esperti che opera fin dal 2014, dal Consiglio economico e sociale, dal governo della Federazione Vallonia-Bruxelles e del Consiglio per l’ambiente” viene fermato tutto.
E ancora più rumorosa e clamorosa la polemica nata in Svizzera sempre tra aprile e maggio (dove il 5G è stato “bandito” oltre che a Ginevra nei cantoni Giura e Vado) ma anche dove, sempre ad aprile, Swisscom ha poi acceso per prima la rete 5G.
Il paradosso è che, da un lato, i Paesi hanno venduto all’asta le frequenze, ma oggettivamente senza assicurarsi nel tempo che studi indipendenti fossero in grado di dare prove concrete sugli effetti a medio e lungo termine delle radiofrequenze a onde millimetriche.
Anche negli Usa non mancano i casi di città che hanno cercato di contrastare la sperimentazione degli operatori pronti al 5G (Verizon per esempio). Il problema è che gli sforzi per andare a fondo sono sempre stati fatti a macchia di leopardo e hanno portato fino ad oggi a poco o nulla.
Telco e governi non hanno mai investito il denaro necessario per lo studio dei campi elettromagnetici e gli effetti sul corpo umano di queste frequenze radio.
Intendiamoci, qualche studio c’è, per esempio in Italia è stato citato nel tempo quello dell’Istituto Ramazzini e all’estero, negli Usa, quello del National toxicology program. L’elettrosmog non è quindi un problema inventato.
Alcuni Comuni italiani nel corso dell’anno hanno approntato una lista di delibere di giunta e mozioni comunali cautelative (anche Firenze) al riguardo.
E, sempre nel nostro Paese, Fiorella Belpoggi (Europa Verde e ospite in varie trasmissioni nazionali) ha denunciato più volte le problematiche per la salute legate al 5G, ma soprattutto propone proprio quello che manca: Belpoggi sostiene lo sforzo da un milione e mezzo di euro perché si avvii una ricerca completa non solo sugli effetti sanitari del 5G ma anche su quelli sociali.
Resta un dato di fatto: le autorità da cui ci si aspetta un parere finale e definitivo come Organizzazione mondiale della Sanità e Iarc (International Agency for Research on Cancer) – che fa parte della stessa Oms – hanno bisogno di sperimentazioni tutt’altro che semplici, per evidenti motivi e fino ad oggi il loro parere resta interlocutorio.
Cosa dicono Oms e Iarc
Nel 2011, Oms e Iarc ventilano la possibilità che le onde elettromagnetiche possano portare a importanti malattie degenerative.
All’epoca viene stabilito che le radiazioni comprese fra i 30 kHz e i 300 Ghz – praticamente tutte – sono possibili cancerogeni per l’uomo (Gruppo 2B). Un’altra ricerca Oms nel 2014 però non riesce a collegare direttamente le criticità per la salute pubblica con l’utilizzo dei cellulari. In pratica il concetto è questo: “ci sono prove che non riescono ad escludere che l’esposizione a queste onde radio possa causare il cancro”.
Più interessante a nostro avviso lo studio dell’American Cancer Society che tuttavia non riesce a dare, nemmeno questo, risposte chiare e definitive. E addirittura “salomonico” sembra il parere negli Stati Uniti della Fcc (Federal Communication Commition) per cui nessuna prova scientifica è in grado di stabilire un nesso causale diretto tra smartphone e il cancro, una riflessione che non esaurisce chiaramente il tema sul 5G.
Personalmente potremmo aggiungere che già viviamo in contesti in cui non mancano criticità per la salute (inquinamento auto, riscaldamento, etc.etc.), eppure si è deciso ugualmente di adattarcisi, e questo non toglie che si possa decidere di accettare altri rischi, con la dovuta consapevolezza e alla luce di ricerche definitive.
Cosa dice l’Iss di Roma
In Italia pensiamo che uno dei pochi punti fermi resti l’indagine conoscitiva (che è proprio però solo un’indagine conoscitiva) sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni con particolare riguardo verso il 5G e la gestione dei big data del Centro nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale (febbraio 2019, Prof. Alessandro Polichetti, Istituto superiore di sanità di Roma), le cui conclusioni sono per nulla allarmistiche ma allo stesso tempo non escludono possibili rischi e soprattutto suggeriscono la prosecuzione degli studi al riguardo.
In data 7 agosto 20019, l’Iss già citato produce il documento Rapporto Istisan Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche curato da Susanna Lagorio, Laura Anglesio, Giovanni d’Amore, Carmela Marino e Maria Rosaria Scarfì, un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (Iss, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea). Il rapporto è confortante, disallarmante, pur non rinunciando ad evidenziare alcuni punti che restano oscuri.
Al paragrafo Evidenze sperimentali di Cancerogenicità, in riferimento a ricerche che hanno evidenziato positività di correlazione tra cancerogenesi ed esposizione a Radio Frequenze, i ricercatori così si esprimono: “i livelli di esposizione ai quali si osservano effetti sono molto più elevati di quelli rilevabili in ambiente nonché dei limiti stabiliti dalla normativa nazionale. Queste osservazioni meritano comunque un approfondimento e si segnala che un gruppo coreano-giapponese ha avviato una replica dello studio Ntp”.
Piuttosto che esprimere noi un giudizio preferiamo quindi rimandare il lettore alla lettura diretta della sintesi proposta dai ricercatori, chiara anche nel linguaggio che – tra le altre cose – fa riferimento ancora a nuovi risultati imminenti da parte dell’Oms.
Oggi, in ogni caso, sembra che la telefonia sia una zona di sperimentazione relativamente libera, anche perché la normativa di protezione dai campi elettromagnetici previene gli effetti accertati di natura “termica” – sempre da rispettare – e la soglia di attenzione sul campo elettrico.
Mentre l’industria chimica, quella automobilistica e quella meccanica – così come anche quella elettronica – devono “quasi” sempre presentare ricerche e valutazioni approfondite, non si capisce perché invece le radiofrequenze siano regolamentate solo per quanto riguarda la loro assegnazione, l’utilizzo, e “il poco” di cui sopra.
Per tutti questi motivi l’implementazione stessa del 5G rappresenta oggi, a nostro parere, una vera e propria sperimentazione “a cielo aperto”, e la corsa in atto al riguardo permetterà oramai solo a reti completate di misurare cosa accade. Se qualcuno vorrà farlo seriamente.
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