In Cina, a Shanghai sono i giorni di Huawei Connect 2020. L’evento annuale è dedicato alla presentazione di strategie e soluzioni per l’intero comparto Ict. Huawei ama definire Connect 2020 come “una piattaforma aperta progettata per aiutare clienti e partner ad affrontare i cambiamenti del mercato”, condividere esperienze e lavorare per generare valore a partire dalle proposizioni tecnologiche. L’obiettivo strategico dell’azienda, pur tra evidenti difficoltà ingenerate anche dalla situazione geopolitica/commerciale, è quello di realizzare un ecosistema industriale aperto e solido, a vantaggio di tutti gli attori e le parti interessate.
Cinque complessivamente gli ambiti principali di impegno – reti, computing, servizi cloud, AI – con la necessaria rispettiva declinazione all’interno delle applicazioni industriali (e quindi in ambito IoT), dove di fatto è possibile mettere a terra i benefici dei quattro digital enabler. Huawei propone il concetto di connettività intelligente nel solco del trend comune ad altri vendor della proposizione di una rete iper-automatizzata.
L’obiettivo è portare un accesso gigabit ovunque e consentire l’aggiornamento intelligente delle reti, ai sistemi aziendali come a governi e pubbliche amministrazioni. L’azienda cinese ha implementato ad oggi 23 aree cloud nel mondo, coinvolge sui servizi cloud 1,5 milioni di sviluppatori, e lavora per integrare l’AI nei sistemi aziendali e della PA, utilizzando know-how e dati per stabilire le competenze di base dei sistemi basati su AI.
Provando a tratteggiare il percorso compiuto si può ricordare come tra il 2016 ed il 2020 l’azienda ha espanso gli ambiti di azione e incrementato gli sforzi in modo sorprendente. Nel 2016 Huawei ha comunicato la visione di un “mondo intelligente” e chiamato i suoi partner globali; nel 2017 si è posta l’obiettivo di diventare uno dei cinque principali fornitori di servizi cloud al mondo e tra il 2018 e il 2019 l’azienda ha svelato la propria strategia in ambito AI e computing.
Una visione ben più organica rispetto alla proposizione dei device per la mobility e il computing, e ben più ampia anche rispetto anche alla proposizione tecnologica per implementare reti e 5G. “Con sempre più governi e aziende che decidono di digitalizzarsi – spiega Guo Ping, Rotating Chairman di Huawei – il settore Ict registrerà una crescita significativa. Non vediamo l’ora di dare inizio a questo nuovo capitolo insieme ai nostri partner”.
Sono già diversi i progetti di integrazione delle tecnologie Ict realizzati sul campo con Huawei, e ricordati, nel contesto locale, in occasione dell’evento cinese dal sindaco di Shenzhen Chen Rugui: “Shenzhen sta sfruttando al massimo le opportunità offerte dagli sviluppi in corso nella Greater Bay Area di Guangdong-Hong Kong-Macao e nell’area di Shenzhen ]…[“. L’obiettivo è cogliere le nuove opportunità offerte dal 5G, migliorare l’adozione del 5G su più scenari, promuovere l’Internet industriale, e guidare l’interconnessione verticale a sostegno della trasformazione digitale delle Pmi. In ambito industriale Connect 2020 ha riproposto inoltre l’esperienza nella costruzione di aeroporti e sistemi metropolitani intelligenti raccontata da Chen Jinzu, general manager di Shenzhen Airport Group, e Tang Shaojie, general manager di Shenzhen Metro Group.
Futuro globale incerto
In questa edizione di Huawei Connect 2020 sembra però anche venire meno una parte della “dimensione globale” che ha contraddistinto l’evento in modo più marcato nelle precedenti edizioni. Certo l’emergenza sanitaria in corso assolutamente non aiuta, allo stesso tempo, anche in Europa, si pone con una frequenza sempre maggiore l’accento sui temi legati alla “sovranità digitale”, ed alla dipendenza dai fornitori extraeuropei per le tecnologie di punta. Si tratta di temi legati solo parzialmente ad un semplice atteggiamento protezionistico commerciale che richiamano invece l’importanza della neutralità delle tecnologie, che devono essere “sicure”, e il necessario impegno dei governi a vigilare sulla tutela dei dati.
Resta comunque un tema delicato, perché non è pensabile nemmeno ricorrere ad ostracismi ingiustificati ritardando i percorsi di sviluppo iniziati negli anni precedenti, senza evidenze per farlo (evidenze sia reattive sia preventive, intendiamoci). Riprendiamo in questo senso il pensiero di Luciano Floridi, filosofo e professore di Etica dell’informazione a Oxford, che in un recente contributo, sottolineava come “la risposta migliore al controllo multinazionale sul digitale è probabilmente la sovranità digitale sovranazionale, a livello europeo”.
In una fase in cui i dati rappresentano una asset di valore e le risorse digitali sono in larga parte private e soggette alle regole dei mercati internazionali, le informazioni personali di fatto vengono gestite dalle aziende multinazionali con le conseguenti possibili pressioni dei governi; vale anche per gli asset infrastrutturali. Se per anni ci si è di fatto illusi che lo sviluppo infrastrutturale di cloud, AI, reti e 5G fosse neutrale, oggi appare evidente come non sia più così. La pretesa di data center sul territorio, la vicinanza del dato, il controllo delle reti, la sovranità sulle informazioni – come se rappresentassero davvero un “territorio fisico” – sono temi importanti.
In Italia, con un Decreto nel cuore dell’estate, di fatto il Governo ha da un lato fissato le condizioni alle quali Huawei può fornire al Paese le proprie infrastrutture 5G, tramite Tim, ma anche assegnato alla telco l’incarico di mantenere il controllo sugli apparati cinesi, seguendo specifiche indicazioni tecniche e organizzative. Verrebbe da pensare ad un futuro in cui necessariamente la sicurezza di infrastrutture di importanza nazionale sarà sempre di più un problema in gestione congiunta tra soggetti privati e PA chiamati a collaborare in modo ancora più stretto.
Di fatto, in una situazione fluida come quella attuale, riguardo i ban commerciali alle tecnologie cinesi – che comunque impattano anche sulle prospettive future per progetti, aziende e persone – la via da seguire dovrebbe essere quella di sfruttare la tecnologia per garantirsi la sovranità digitale, anche nel caso dell’utilizzo di infrastrutture extraeuropee. La completa sovranità su infrastrutture e dati davvero è mandatoria, ma non recidere il legame tra questo tema e quello degli interessi commerciali, nascondendo magari gli ultimi dietro i primi, è invece rischioso. E, ancora prima, si tratta di lavorare alla cybersecurity che di suo è tema “sovranazionale”.
E’ necessario collaborare su questo, quindi, tanto più quando si parla di 5G e reti tout-court. Indipendentemente da chi fornisce architetture/infrastrutture/software, pensiamo ci sarebbe già tantissimo da fare, e non si capisce come la soglia di attenzione si sia alzata solo in relazione al problema dei ban commerciali con la Cina e scarsamente prima. Le ambizioni di Huawei in Europa sono legate in ogni caso a filo doppio a questi temi. Un esempio su tutti: il rilascio dei certificati di idoneità da parte del Mise alle aziende per le diverse gare, in futuro sempre più terrà conto di una serie di valutazioni basate anche su criteri geopolitici, anche sulla base dei suggerimenti di Copasir e Parlamento, che a sua volta terrà come bussola di orientamento Bruxelles.
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