Presentata per la prima volta a dicembre dello scorso anno, la ricerca Data for Humanity di Lenovo, sul valore dei dati per il mondo b2b, offre ora lo spaccato dell’analisi sulle aziende italiane. In particolare, a partire da quattro evidenze caratterizzanti – anche nel confronto con alcuni dati di riferimento attinti dal report globale – si possono ricavare quattro punti di richiamo specifici per le nostre realtà. Si tratta delle priorità su cui proprio le nostre aziende sarebbero chiamate a lavorare.
Per la ricerca Lenovo ha intervistato 600 dirigenti di aziende presenti in cinque Paesi (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti) e che operano in 10 diversi segmenti di mercato. I numeri evidenziano come i leader aziendali riconoscono il valore dei dati per incrementare le prestazioni di business e implementare politiche Esg più avanzate, e per questo prevedono che gli investimenti in tecnologie e iniziative basate sui dati potrebbero consentire un incremento medio dei propri ricavi di quasi il 50% nei prossimi cinque anni. Considerati i ricavi delle delle prime 100 società quotate in ciascun Paese preso in esame, ciò equivale a ulteriori 8,5 miliardi di dollari di fatturato a livello globale in cinque anni, per 370 milioni di dollari solo in Italia.
Data Leader però sono solo le organizzazioni con i più alti livelli di competenza in materia di dati che registrano le prestazioni di business migliori e implementano politiche Esg più avanzate. E secondo la ricerca la percentuale maggiore di questa tipologia di aziende è presente in Francia (20%), Stati Uniti e Germania, mentre l’Italia (15%) supera solo il Regno Unito (11%). Le aziende italiane quindi sono chiamate a lavorare per diventare “più data driven” e acquisire un vantaggio decisivo in un contesto instabile.
Comprendere le sfide
Lenovo aiuta ad individuare quindi i punti di richiamo. La prima scommessa riguarda la capacità di comprendere le sfide (1). Per il 66% è la crisi energetica la maggiore, per il 59% il cambiamento climatico, e per il 57% la stabilità globale, insieme alla disoccupazione. Con l’incremento dell’inflazione poi, solo il 58% delle aziende italiane ha visto aumentare i propri ricavi negli ultimi 12 mesi, rispetto al 61% del campione di aziende globale. Consapevoli di questi problemi solo un’azienda su tre però intende intervenire per attutire l’impatto della crisi energetica nei prossimi tre anni e le nostre realtà sono meno pronte ad agire per far fronte alla carenza di competenze (27% contro 33%). Invece, le imprese italiane sono più propense rispetto alle altre internazionali a prepararsi attivamente ad alleviare l’impatto delle crisi geopolitiche nei prossimi tre anni (27% vs 22%).
I big data per guardare al futuro
Bisogna puntare sui big data per lavorare al futuro (2) e farlo con un approccio collaborativo che è effettivamente condiviso tra i nostri executive che riconoscono l’importanza della condivisione collaborativa nello sviluppo delle smart city, per esempio. Tre realtà su quattro ritengono che i dati porteranno a miglioramenti nelle reti di trasporto ed oltre sei su dieci si aspettano un miglioramento della sicurezza, del controllo e della prevenzione del crimine da parte delle forze dell’ordine.
Le aziende italiane poi ritengono che l’uso dei dati avrà un significativo impatto in termini di miglioramento dell’agilità organizzativa: il 67% dei dirigenti intervistati è intenzionato ad incrementare la capacità di rispondere alle nuove opportunità di mercato, percentuale omogenea a quella di chi si aspetta che i dati riducano i costi e migliorino l’esperienza dei clienti. L’uso dei dati, al momento, vede le nostre aziende con priorità differenti per obiettivi differenti. Il 63% afferma che i dati hanno contribuito alla creazione di ambienti di lavoro intelligenti, mentre circa il 60% dichiara chehanno migliorato la previsione dei risultati aziendali, l’esperienza clienti e i progressi verso gli obiettivi Esg. Soprattutto, rispetto alla media globale le nostre aziende sembrano più propense ad utilizzare i dati per migliorare i parametri di business.
Imparare dai data leader
Siamo alla terza “sollecitazione”, il nocciolo della questione, in verità, perché la ricerca evidenzia proprio come si tratti di “imparare dai data leader” (3). Solo il 16% di tutte le aziende intervistate è data leader, il 15% in Italia, dietro la Francia (20%), la Germania (17%) e gli Stati Uniti (17%). Un dato da leggere in relazione a quello che indica che solo la metà delle nostre aziende dichiara di possedere le competenze informatiche e, più in particolare, le competenze legate ai dati necessarie per condividerli con partner/organizzazioni esterne, con un 46% del nostro campione che indica che la dirigenza non ha ancora messo in atto strategie per la condivisione dei dati. Infine, il 52% delle realtà italiane è convinto che il reclutamento dei talenti giusti sarà importante per consentire alla propria organizzazione di sbloccare il valore dei propri dati nei prossimi anni. Questo e l’incremento di investimenti in tecnologia sono direzioni in linea con quello che fanno i data leader: oltre il 90% delle aziende italiane prevede di investire almeno 1 milione di dollari in tecnologie e in iniziative data driven (nei prossimi 12 mesi). Archiviazione, automazione, certo, ma l’investimento tecnologico più richiesto è in strumenti per la cybersecurity con un’azienda su tre che ha sperimentato sulla propria pelle i rischi informatici come data breach per la propria incapacità di gestire e analizzare i dati. Serve quindi puntare sull’alfabetizzazione sui dati.
La leadership nei dati
La leadership nella valorizzazione dei dati si può acquisire anche comprendendo cosa distingue le realtà data leader dalla propria. E la ricerca evidenzia che elemento cardine – certo non l’unico – è la tecnologia. Le soluzioni per i dati utilizzate dai data leader nell’83% dei casi sono altamente automatizzate, ma questo è già così solo per il 57% delle aziende del nostro campione. E se otto aziende su dieci, tra quelle guida, sono già in grado di condividere i dati con i partner, lo è solo un’azienda su due in Italia, stessa percentuale, questa, di quando si parla di realtà con i dati in cloud (mentre sono in cloud i dati del 78% dei data leader) e convinte che i propri dati siano al sicuro.
Il dato più critico riguarda però proprio l’approccio strategico: meno di un terzo (32%) delle aziende italiane possiede le competenze e le capacità necessarie per dispiegare una strategia e circa appena un quarto è convinta di realizzare iniziative legate ai dati già nel corso di quest’anno. Team IT disallineati dai board è il primo motivo, ma è vero anche che solo un’azienda su cinque in Italia può contare su dipartimenti IT in grado di fornire regolarmente consulenza alla C-suite su iniziative strategiche basate sui dati, il dato più basso di tutti i paesi presi in esame.
“Dalla ricerca appare evidente che investire in tecnologie all’avanguardia sia una condizione necessaria ma non sufficiente per abilitare l’innovazione – commenta Alessandro de Bartolo, country general manager & amministratore delegato di Infrastructure Solutions Group, Lenovo -. Le aziende italiane si pongono l’obiettivo di sbloccare il valore dei dati ma per farlo è necessario migliorare la strategia, la cultura del dato e le competenze, oltre a investire nelle migliori soluzioni tecnologiche disponibili. Sappiamo, infatti, che non sono i dati a trasformare il mondo. Da soli, i dati sono impotenti. Occorre l’intelligenza, l’ambizione, la volontà di dargli significato e finalità per accelerare la trasformazione delle aziende e rendere sempre più efficienti le pubbliche amministrazioni, e la nostra società più sicura e accessibile”. Serve poi favorire l’accesso a risorse digitali e lo sviluppo di competenze specifiche, e permettere alle aziende e alla PA italiana di compiere quel cambio di mentalità nei confronti della tecnologia necessario nel percorso verso la competitività e la crescita. Con il Pnrr a rappresentare una vera opportunità per motivare le aziende a investire in tecnologia e a realizzarne il pieno potenziale.
Le priorità per le aziende italiane
La call to action specifica per le aziende italiane, quindi si imperna su quattro priorità: incoraggiare la collaborazione tra team IT e gli altri team, l’adozione di una piattaforma aziendale supporti la condivisione dei dati con i partner; la creazione di processi e linee guida chiare ed efficaci per la protezione dei dati ed infine l’alfabetizzazione sui dati a tutti i livelli aziendali.
Solo gli ultimi numeri per argomentare: appena un quarto delle aziende italiane dichiara che l’IT lavora in collaborazione con altri dipartimenti aziendali per realizzare iniziative basate sui dati ed appena il 38% delle nostre aziende afferma di poter facilmente integrare dati esterni nei propri set di dati. Poco meno di sei aziende su dieci poi dichiarano di avere adottato linee guida e processi chiari per la protezione dei dati e la maggior parte delle nostre realtà è in ritardo nel percorso di trasformazione digitale perché manca di competenze e delle capacità necessarie per abilitare strategie sui dati. Bisogna invece puntare su un approccio data centered nell’intera organizzazione attraverso programmi di formazione sui dati estesi a tutto il personale.
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