E’ da decenni punto di riferimento nell’evoluzione del pc e del server computing Intel. Da quando ha messo in commercio il primo microprocessore nel 1971. Ma a guardare in prospettiva, a distanza di tre anni, proprio il 50esimo compleanno di quel microprocessore nel 2021 oggi sembra aver marcato un punto di cesura netto, segnato anche dalla nomina di Pat Gelsinger (ex Vmware) alla guida come Ceo, nel febbraio di quello stesso anno. Come ad indicare il bisogno di convergere su nuove rotte. L’azienda è da anni “sotto osservazione”. Di fatto per non aver interpretato nel modo migliore possibile l’evoluzione del mercato mobile prima, e per non aver espresso la migliore tecnologia nel confronto diretto con Nvidia per l’AI oggi – per quanto sia questo un ambito in cui Intel sta dimostrando di aver ancora molto da dire. Un numero su tutti: la capitalizzazione di Intel attuale è inferiore ai 100 miliardi di dollari. Non è di fatto nemmeno negli stessi ordini di grandezza di quella di Nvidia (poco meno di 3mila miliardi). Pensiamo poi che Intel abbia intrapreso una strada ardita (troppo?) nell’ambito della produzione di chip, direttamente nelle sue foundries, a vantaggio del pieno controllo sui processi, ma a scapito dell’agilità complessiva (non solo operativa). 

Intel in vendita?

E così oggi si rincorrono le voci più disparate sul mercato. Solo pochi giorni fa il Financial Times dava per certi “contatti” per l’acquisizione di parte del business di Santa Clara da parte di Qualcomm (l’interesse in primis è per il business relativo al design dei chip), probabilmente con un accordo che ‘polverizzerebbe’ il record dell’acquisizione di Activision da parte di Microsoft per 69 miliardi di dollari. Più recenti sono le voci, da fonti autorevoli, che vorrebbero il fondo Apollo Global Management pronto ad innestare risorse per qualche miliardo di dollari a sostegno delle più recenti strategie di scorporo delle foundry e per liberarsi dai business meno produttivi (si parla di fino a 5 miliardi di dollari). Ma Intel non è un’azienda ‘come le altre’ e qualsiasi mossa si potrebbe prevedere di fare, dovrebbe fare i conti con gli azionisti ma anche e soprattutto con l’antitrust, in un momento particolarmente delicato per gli equilibri globali, anche da questo punto di vista.

Pat Gelsinger intanto sarebbe pronto con il suo piano a tagliare le attività meno redditizie: è dato per certo proprio il distacco di Intel Foundry – a vantaggio di Taiwan Semiconductor Manufacturing? Questione delicatissima, non c’è bisogno di spiegare -; è molto probabile la dismissione dell’idea dei chip programmabili Altera. Intanto l’azienda ha già  separato l’attività ‘foundry’ da quelle di progettazione – anche comunicando in forma separata i risultati finanziari dell’una e dell’altra -. E Morgan Stanley e Goldman Sachs – fonti autorevoli lo confermano – sarebbero da tempo a disposizione per indirizzare tagli/investimenti e rimettere l’azienda in rotta.

Le sfide da affrontare

Sì, perché negli ultimi anni, Intel ha affrontato non poche sfide che hanno messo a dura prova la posizione di leadership nel settore dei semiconduttori tenuta per decenni. Non ci sono solo Nvidia ed Amd nell’elenco ma anche i tanti produttori di chip asiatici e la crescente domanda di tecnologie di processo avanzate che oggi spingono Intel a “rivedersi”. L’azienda paga i ritardi nello sviluppo di generazioni di processori di nuova generazione, lo scarto verso il basso anche nel market share di presenza nei data center (-5,6% nel 2024 vs 2023, fonte: Reuters), oltre ai precedenti ‘squilibri’ di mercato dettati dalla pandemia – e poi dalla ripresa – che hanno spinto invece il mercato dei chip per mobile e IoT. Ecco allora che proprio le voci di una possibile vendita di parte del business di Intel – in primis gli Intel Foundry Services – o altre divisioni non core – appaiono come la soluzione più veloce per far fronte alla pressione competitiva e rifocalizzare le risorse aziendali.

Pat Gelsinger Ceo Intel
Pat Gelsinger Ceo Intel

La vendita consentirebbe a Intel di liberare risorse finanziarie significative che potrebbero essere reinvestite in settori chiave, come lo sviluppo di tecnologie di processo avanzate o nuove architetture per chip. Soprattutto sarebbe questa una mossa in grado di favorire la semplificazione della struttura aziendale, riducendo la complessità gestionale e migliorando l’efficienza operativa – torna il tema di un’agilità perduta da riconquistare. 

Gli analisti poi concordano nel considerare la cessione di alcune divisioni virtuosa per consentire ad Intel di concentrarsi su mercati ad alto margine, come quello dei data center (in esplosione), l’AI (accordi sono già chiusi con Aws per esempio) e l’high performance computing (Hpc), dove l’azienda ha ancora un significativo vantaggio competitivo. La strategia di Intel potrebbe quindi essere simile a quella adottata da altre grandi aziende tecnologiche, che hanno optato per una ristrutturazione delle proprie attività per rimanere agili e competitive in un mercato in rapido cambiamento.

Uno sguardo appena più in profondità poi consente di considerare come il business delle foundries, che prevede la produzione di chip per conto terzi, è sì stato rilanciato da Intel negli ultimi anni, ma con risultati contrastanti (e una perdita di 7 miliardi di dollari, nel FY 2023). Pur avendo siglato accordi importanti – e anche con aziende del calibro di Qualcomm – il segmento non ha raggiunto la scalabilità necessaria per competere con giganti come Tsmc e Samsung. La stessa produzione di chip per l’IoT, un segmento frammentato e meno redditizio rispetto a quello dei processori per data center o pc, se ceduta, consentirebbe a Intel di rimettersi in focus sui margini e ad un eventuale acquirente di sfruttare la posizione di mercato e le tecnologie esistenti per rafforzarsi ulteriormente.

Le implicazioni per il mercato e per Intel

Una eventuale cessione di parte del business di Intel non sarebbe ad impatto zero, ma Santa Clara ha tutte le potenzialità per fare bene. Eventuali cessioni di parte del business determinerebbero naturalmente la riorganizzazione del mercato anche “al di fuori” di Intel favorendo la crescita di nuovi attori o il rafforzamento di quelli esistenti. Vero pure che se eventuali ‘scorpori’ da una parte consentirebbero di raccogliere risorse, nel lungo termine potrebbero impattare comunque sulla posizione di mercato dell’azienda : non sarebbe una grande idea pertanto rinunciare alle divisioni che garantiscono capacità di innovazione e sviluppo tecnologico, che sono però anche le più ricercate dal mercato. 

Si parla ancora di rischi e opportunità. Opportunità, perché Intel avrebbe appunto la possibilità di liberarsi di segmenti meno performanti e concentrarsi sulle aree più promettenti, sconfitta, perché implica il riconoscimento del fatto che alcune aree non sono state sviluppate con successo, rappresentando un passo indietro rispetto alle ambizioni originarie dell’azienda. Il ‘sacrificio necessario’ di Intel dimostra poi che il mercato dei semiconduttori è estremamente dinamico e competitivo, e richiede una continua capacità di adattamento e che un’azienda grande come Intel non è stata in grado di produrla. Se la/le cessioni dovessero concretizzarsi, l’azienda potrebbe orientarsi verso un modello di business più focalizzato e specializzato, puntando tutto su data center, Hpc e… sì AI, dove comunque Intel è presente e secondo attore di mercato. Al contrario, se Intel deciderà di mantenere tutte le sue attività, dovrà inevitabilmente affrontare una fase di ristrutturazione interna più profonda, volta a migliorare l’efficienza e a rilanciare la competitività. In questo caso, sarebbe ancora più cruciale investire pesantemente in ricerca e sviluppo, nonché adottare una strategia di alleanze magistrale per contrastare la concorrenza.

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