Credete di essere multitasking? In realtà state solo rovinando il vostro cervello con eleganza. Ogni guru della produttività vi ha mentito. Non esistono superumani che riescono a fare dieci cose contemporaneamente. Esistono solo persone che hanno imparato a nascondere meglio il proprio fallimento cognitivo.
Adam Gazzaley, neuroscienziato di fama mondiale alla Ucsf (University of California San Francisco), e Larry Rosen, professore emerito di psicologia, hanno passato anni a studiare cervelli sotto risonanza magnetica mentre le persone operavano in modalità “multitasking”. I loro studi, pubblicati su Frontiers in Human Neuroscience, hanno rivoluzionato la comprensione dell’attenzione umana. Il risultato? Quello che chiamiamo multitasking è in realtà un’illusione neurologica. Una truffa che il nostro cervello si racconta.
Anatomia di un disastro cognitivo
Immaginate il vostro cervello come un direttore d’orchestra con le mani legate. Ha due orchestre da dirigere simultaneamente, e sono in guerra costante.
L’orchestra bottom-up è antica, primitiva, indomabile. È quella che vi ha tenuto vivi per 200mila anni. Reagisce in millisecondi a tutto: un lampo di luce, una vibrazione, un suono acuto. È programmata per dire “Pericolo!” prima di chiedersi se davvero lo sia. Per il sistema bottom-up, ogni notifica è potenzialmente un predatore, ogni email urgente potrebbe essere vitale per la sopravvivenza. Gazzaley e Rosen hanno scoperto che questo sistema attiva automaticamente l’amigdala e il sistema nervoso simpatico – le stesse reti che si accendevano quando i nostri antenati sentivano scricchiolare un ramo nella savana. Il problema? Nel 2025 sentiamo “scricchiolare rami” 67 volte al giorno.
L’orchestra top-down è moderna, sofisticata, fragile. È la corteccia prefrontale che cerca disperatamente di mantenere il controllo, di dirigere l’attenzione verso obiettivi a lungo termine. È quella che dice “dovete finire quel report”, “concentratevi sulla presentazione”, “ignorate quella notifica”.

Ma ecco il dramma: il sistema top-down è evolutivamente giovane e metabolicamente costoso. Richiede glucosio, richiede energia, si affatica. Il sistema bottom-up invece è un diesel che può andare avanti per ore senza stancarsi mai.
Gli studi di neuroimaging rivelano la disparità: mentre il controllo top-down dipende da una rete fragile e limitata di neuroni nella corteccia prefrontale, il sistema bottom-up ha accesso diretto alle “autostrade” neurali più veloci – i circuiti che attraversano talamo, amigdala e corteccia sensoriale senza passare dal controllo cosciente.
Il risultato? Nel 2025, l’orchestra del caos ha 67 strumenti in più rispetto al 1995, tutti amplificati dalla tecnologia. Ogni ping è un colpo di timpano che copre la melodia della concentrazione. Il direttore perde il ritmo, la sinfonia diventa cacofonia, e tu ti ritrovi a fissare lo schermo senza capire cosa stavi facendo. La ricerca di Gazzaley mostra che questo conflitto non è solo metaforico: è letteralmente visibile nelle scansioni cerebrali. Quando il sistema bottom-up prevale, le aree deputate al controllo esecutivo si “spengono” parzialmente, creando quello che i neuroscienziati chiamano network anti-correlation – una sorta di tiro alla fune neurologico dove vincere da una parte significa perdere dall’altra.

Il vero killer, l’interferenza cognitiva
Ecco la verità che nessuno dice: non sono le distrazioni a fregare le persone. È quello che succede dopo. Quando si interrompe un compito per rispondere a un messaggio, il cervello non mette in pausa il lavoro precedente. Lo demolisce. Letteralmente. La memoria di lavoro si sbriciola come un castello di carte in una ventilata.
L’interferenza attiva vs. passiva – Gli studi di Gazzaley e Rosen rivelano una distinzione cruciale. Le distrazioni passive – come un rumore di sottofondo o una luce che lampeggia – sono fastidiose ma gestibili. Il cervello può filtrarle mantenendo parzialmente il focus. Le interferenze attive sono un’altra cosa. Quando si risponde attivamente a uno stimolo – si controlla il telefono, si legge una notifica, si cambia scheda sul browser – di fatto si costringe il cervello a una ricostruzione cognitiva completa. È come smontare un motore per controllare una vite, poi dover riassemblare tutto da capo.
La memoria di lavoro sotto assedio – La memoria di lavoro è una sorta di desktop mentale, lo spazio dove si tengono attive le informazioni che servono nel momento. Ha una capacità limitatissima – circa 7±2 elementi per gli adulti. Ogni interferenza attiva non solo occupa spazio prezioso, ma contamina quello che c’era prima.
Ricostruire richiede energia. Tanta. È come dover riaccendere un motore diesel ogni volta che ci si ferma al semaforo. Il carburante? La capacità di pensare lucidamente.
Il fenomeno del “residuo attentivo – Gli scienziati chiamano questo fenomeno “interferenza proattiva” – termine coniato proprio dalle ricerche di Gazzaley e Rosen. Quando si cambia compito, parte dell’attenzione rimane “incollata” a quello precedente. È un residuo mentale che inquina la performance successiva. Sophie Leroy, della University of Washington, ha documentato questo “attention residue” in dettaglio: anche quando si crede di essersi spostati completamente sul nuovo compito, il 30-40% delle risorse cognitive rimane bloccato su quello precedente. È come cercare di scrivere una lettera d’amore mentre metà del cervello sta ancora pensando al bilancio aziendale.
Il costo del task-switching – Ogni cambio di compito richiede quello che i neuroscienziati chiamano “switching cost” – un tributo neurologico che si paga in termini di tempo, energia e accuratezza. Gli studi mostrano che il cervello impiega in media 23 minuti per recuperare completamente il focus dopo un’interruzione significativa.
Ma c’è di peggio: questo costo non è lineare. Il quinto switch della giornata costa più del primo, il decimo più del quinto. È un interesse composto al contrario – ogni interruzione rende più costosa la successiva.
Il cortocircuito della corteccia prefrontale – Le neuroimmagini rivelano che durante il task-switching, la corteccia prefrontale – il tuo centro di controllo esecutivo – va letteralmente in crisi. Le regioni deputate alla pianificazione e al controllo inibitorio mostrano pattern di attivazione caotica, come un computer che cerca di eseguire troppi programmi contemporaneamente.
È quando i fantasmi dei compiti precedenti si aggirano nella mente, sabotando tutto quello che si cerca di fare dopo. I loro laboratori hanno dimostrato che questo switching cognitivo può ridurre l’efficienza fino al 40%.
Il sabotaggio interno
Ma c’è qualcosa di ancora più perverso: il nemico non è solo esterno. Anche la stessa mente può tradire. Ansia, noia, Fomo (ovvero Fear of Missing Out – la paura di perdersi qualcosa) attivano le stesse reti neurali dell’emergenza. Il cervello arcaico non distingue tra una tigre che sta per attaccare e una notifica di Instagram. E interpreta tutto come un pericolo.
Le neuroimmagini degli studi di Gazzaley mostrano aree cerebrali – la corteccia cingolata anteriore dorsale (dAcc) e la corteccia prefrontale dorso-mediale – che si accendono come un albero di Natale impazzito quando si è emotivamente sovraccarichi. Il conflitto cognitivo diventa un incendio che brucia le risorse mentali.
L’antidoto, meno è di più
La soluzione non è fare di più, ma fare di meno. Meglio. Magari anche utilizzando i consigli qui di seguito.
Micro-mindfulness – Tre respiri consapevoli riattivano il controllo esecutivo. Non è meditazione new age: Gazzaley e Rosen hanno documentato come anche brevi sessioni stimolino le reti cerebrali del controllo attentivo.
Reset motion – Due minuti di movimento ossigenano la corteccia prefrontale. Gli studi confermano che anche micro-pause funzionano da reset cognitivo.
Silenzio strategico – Spegnere le notifiche non è antisociale, è auto-preservazione cognitiva basata su evidenze neurobiologiche.
Movimento intelligente – Venti minuti di camminata quotidiana potenziano la neuroplasticità. Gazzaley ha dimostrato che l’esercizio supporta il controllo cognitivo a livello cellulare.

La prova? Basta fare questo test per una settimana:
Giorno 1-3 – Lavorare come sempre, ma cronometrando ogni interruzione e il tempo per riprendere focus.
Giorno 4-7 – Applicare una sola regola: notifiche spente per 2 ore al giorno.
Misurare errori, velocità decisionale, stress percepito. I numeri non mentono.
Il futuro è cognitivo, la rivoluzione silenziosa
Le aziende più smart stanno già ridisegnando il lavoro attorno ai limiti biologici del cervello. Creano zone di deep work, misurano Kpi neurali, progettano ambienti che rispettano i ritmi attentivi. Non è umanesimo d’impresa. È capitalismo intelligente: cervelli riposati producono meglio, innovano di più, sbagliano meno.
Il futuro del lavoro non sarà determinato dall’AI che fa di più, ma dagli umani che pensano meglio. In un mondo che grida costantemente per “richiamare” l’attenzione, il potere vero appartiene a chi sa dove dirigerla. Il multitasking è morto. Benvenuti nell’era dell’attenzione strategica. Il cervello antico può ancora battere qualsiasi algoritmo. Ma solo se si rinuncia a combatterlo e si torna a coccolarlo.
La prossima volta che qualcuno vanta capacità multitasking, sorridete. Voi sapete quello che egli non sa: sta solo raccontando a se stesso la bugia più costosa del ventunesimo secolo.
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* Laureato in ingegneria elettronica/sistemi informativi al Politecnico, Pierpaolo Muzzolon trascorre tutta la vita in aziende hi-tech e IT nel marketing e nella comunicazione, oggi è counselor in analisi transazionale, coach e trainer.
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