Qualche giorno fa un amico e cliente, prima di iniziare la conversazione, mi ha chiesto: “Possiamo parlarci in video o disturbiamo qualche lezione delle tue figlie?”. È lì che ho toccato con mano quanto fossimo cambiati nei costumi ed abitudini in queste poche settimane. Quanto il “work” e il “life” non fossero alla ricerca di un equilibrio ma si fossero fusi insieme in una nuova normalità. Che il filosofo Luciano Floridi chiamerebbe “OnLife”.
E nella mia risposta, “tranquillo, ho pc e banda a disposizione”, ho visto il digital divide che ancora ci contraddistingue.
Si, perché molti di noi, privilegiati dell’area milanese estesa abbiamo connessione wifi a banda larga o ultra-larga (possiamo anche scegliere se andare in 5G quando l’altra degrada un po’) e abbiamo spesso un pc mobile ed uno smartphone per componente della famiglia, anche qualche tablet e l’immancabile smart tv. Talvolta anche una stampante.
Siamo in quel 49% di fortunati che possiedono connessione sia domestica che mobile ad Internet che il Censis ha cristallizzato nell’ultima rilevazione.
Urgenze da sanare
Non possiamo, tuttavia, dimenticare il Divide di copertura geografica e di tipologia di connessione che ancora permane forte nel Paese, tanto da spingere Agcom, dopo l’analisi del pacchetto di provvedimenti del decreto legge Cura Italia, ad avviare quattro tavoli permanenti con gli operatori per indicare le soluzioni per la gestione delle urgenze relative allo stato di emergenza.
Infatti, siamo ancora al 24% delle case connesse in fibra ottica, tra gli ultimi in Europa. Un’Europa in cui il livello medio di penetrazione della rete ultraveloce (oltre 30 Mbit al secondo) è di circa il 60% includendo tutte le tecnologie. L’Italia, di poco sopra al 50% è terz’ultima prima di Francia e Grecia (fonte: Commissione Europea).
Nei complessivi 112 milioni di dispositivi (Censis), vediamo un profilo d’uso di comunicazione spinta con quasi 44 milioni di smartphone affiancato ad uno tradizionale, fatto per circa il 38% di “apparecchi televisivi”.
Solo 6,5 milioni di smart TV. I dispositivi “informatici” (PC connessi e tablet) sfiorano il 25 milioni.
È con questo bagaglio di dispositivi che l’Italia ha affrontato progressivamente, di Decreto in Decreto, la serrata lavorativa, aprendo l’era dello smart working e della socialità digitale.
In effetti, un’analisi svolta su alcuni Paesi dall’11 Marzo 2020 per una decina di giorni ha evidenziato un incremento nell’uso dei desktop per attività lavorative da remoto in Italia pari a quasi l’86% (fonte: NordVPN; un ringraziamento a S. Carli).
Le ultime settimane
A questo stock esistente si sono aggiunte le richieste fatte dalle imprese nei mesi di febbraio e marzo per dotare il maggior numero possibile dei propri dipendenti di pc per consentire il lavoro da remoto. Nel mese di febbraio e marzo alcuni distributori hanno registrato crescite negli ordini superiori al 20%. Con consegne tuttavia spesso ritardate dal lockdown cinese che adesso sta ripartendo. In alcuni casi si è addirittura acquistato a prezzi di listino (senza alcuno sconto) pur di ricevere al più presto la consegna.
All’acquisto di pc si è aggiunto l’incremento delle richieste di SaaS e Iaas per rafforzare i servizi di accesso ai sistemi applicativi aziendali via cloud e l’utilizzo dei pc desktop rimasti in azienda.
Non dobbiamo poi dimenticare la maggiore attenzione ai servizi di sicurezza e cybersecurity una volta divenuta evidente (in poche settimane) la necessità di rafforzare le misure di protezione di molte imprese divenute “liquide” nei loro confini, avendo una parte di esse accettato anche il Byod.
Questo tsunami digitale ha travolto (finalmente) anche la Pubblica Amministrazione. A partire dalle Università prima e dalle scuole poi (progressivamente di ogni ordine e grado). Per raggiungere tutti gli enti centrali e locali.
Nelle università l’adeguamento è stato incredibile. Sin dalle prime settimane i corsi sono diventati online. Poi si sono aggiunte le lauree. Con gran parte del personale amministrativo in smart working. Un nuovo new normal raggiunto in così poco tempo a fronte di piani di smart working che un Cio di un’importante Università aveva pianificato in “circa due anni e non per la totalità dei servizi e del personale”.
E che si fosse in molti a lavorare da casa lo si è visto dalle performance di alcune piattaforme di collaborazione messe sotto pressione (e poi presto tornate performanti), dalle crescite di utilizzo di altre piattaforme con tassi a quattro cifre, dall’aumento delle richieste di accessi a servizi Internet (che ormai dovrebbe essere concepito come servizio universale) rivolte a tutti i principali operatori nazionali e locali.
Ma i dispositivi non bastano a creare la cultura digitale, che andrà rafforzata attraverso formazione dedicata. L’esempio della scuola e di come molti insegnanti abbiano faticato e fatto resistenza ad adottare strumenti minimi di condivisione è sotto gli occhi di tanti genitori, studenti e dirigenti scolastici. E stiamo parlando solo di strumenti. Essere scuola digitale è (e dovrebbe essere) ben altro.
A tutto questo si è aggiunta la “socialità digitale”, il fiorire ed il moltiplicarsi di forme di comunicazione (non solo professionale) che si aggiungono alla classica telefonata: dalle video call; ai gruppi di condominio per scambiarsi messaggi, libri e richieste di supporto; ai corsi on line di variegate discipline sportive; all’intrattenimento culturale ed artistico di cantanti, attori, musei; alle proposte moltiplicate di audiolibri e quotidiani gratuiti; ai gruppi WhatsApp per fare insieme ginnastica, aperitivi, feste di compleanno, riunioni di famiglia, cucinare insieme. Nipoti che insegnano ai nonni isolati ad usare le tecnologie per poter non solo comunicare ma “vedersi”; figli che insegnano ai genitori le ultime app del momento; genitori che spiegano via WhatsApp agli insegnanti come settare il microfono del PC per essere uditi dai propri studenti (succede anche questo nella vita quotidiana).
Ma da questo ad affermare che abbiamo colmato il Divide tecnologico, geografico e culturale in queste poche (ma tante) settimane di isolamento credo sia eccessivo. Essere, pensare e agire (persone, imprese, istituzioni) digitali è cosa molto diversa.
Piuttosto, l’auspicio è che il Cigno Nero del Covid-19 possa diventare un Cigno Bianco, per dirla con Nassim N. Taleb. Anzi, che da uno ne possano discendere molti altri di cigni bianchi.
Ne parleremo nelle prossime puntate.
Post Scriptum
Questo è il primo episodio, la linea di partenza, di una rubrica che vuole essere una sorta di “Diario dei naviganti”.
Diario: perché ogni giorno è diverso dall’altro, nelle reazioni dei consumatori, delle aziende pubbliche e private, delle istituzioni. In cosa si sceglie di fare e cosa si blocca.
Dei Naviganti: perché lo siamo tutti in questo oceano sconosciuto, popolato da un grande cigno nero che si chiama Covid-19. Sappiamo (speriamo) che ci sarà la meta, ma non dove né quando. Non è un diario di bordo perché non ci sono comandanti. Alla meta ci avviciniamo giorno per giorno insieme, a volte più velocemente remando verso la stessa direzione, a volte rallentando sensibilmente per azioni scomposte. È un’intera collettività globale che si muove. One-Health, One Planet, One economy, One Europe, One Country. Non c’è podio. O si vince o si perde. Tutti insieme.
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