La pandemia ed il lungo periodo di lockdown hanno messo seriamente alla prova la capacità delle aziende di rimanere operative. In Italia, oltre 8 milioni di persone durante la quarantena hanno lavorato in smart working, modalità in precedenza sperimentata da appena 500 mila persone (fonte: Cgil e Fondazione Di Vittorio).
Questa modalità operativa, come ha sottolineato lo stesso Ministero del Lavoro, ha spinto a “radicali e repentini ripensamenti nell’organizzazione delle attività e per alcune realtà si è rivelato un vero momento di rottura rispetto al passato”.
E’ il tema del confronto aperto proposto da Alberto Filisetti, country manager e Matteo Uva, sales manager commercial business di Nutanix Italia, con Luca De Pietro, direttore UO Strategie Ict e Agenda Digitale di Regione Veneto e Daniele Lunetta, dirigente dell’Ufficio Digitalizzazione e Innovazione Tecnologica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Filisetti: “Ci sono settori, come il manufacturing, che hanno dovuto interrompere gioco forza l’attività, ma i servizi e altri segmenti hanno potuto e dovuto garantire la business continuity, tra queste anche la Pubblica Amministrazione“. Gli strumenti di telelavoro si sono rivelati essenziali per la prosecuzione delle attività e la possibilità di erogare servizi ai cittadini. Nutanix, operativa da appena dieci anni, si è fatta conoscere, soprattutto agli inizi, per le sue soluzioni Vdi – solo parte della proposizione – ed è questo lo use case che si è rivelato strategico per la prosecuzione del business, all’interno di progetti di respiro più ampi, che non mancano nella PA.
“Sì – spiega Filisetti – abbiamo potuto osservare che chi si mosso per abilitare il lavoro da remoto in emergenza ha trovato un’immediata e forse unica risposta possibile nel cloud pubblico, ma chi aveva già iniziato un percorso di innovazione ha potuto beneficiare effettivamente di tutti i vantaggi offerti dalle tecnologie sulla scorta della capacità di pianificare processi alternativi ed innovativi”, e tutti hanno realizzato che attivarsi sui progetti di trasformazione digitale non è banale quanto parlarne.
Tra le realtà della PA che si sono trovate in posizione di vantaggio, per essersi attivate negli anni precedenti, c’è proprio il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali. Lunetta: “Abbiamo cercato di limitare da subito la presenza in ufficio, ma abbiamo potuto farlo solo grazie alla preparazione negli anni precedenti. Con Nutanix, dall’estate del 2017, ci siamo confrontati sulle idee progettuali, su come risolvere i problemi, con una riflessione specifica sui cambiamenti del lavoro inteso come lavoro flessibile. Da qui abbiamo studiato la realizzazione di un ambiente virtuale non legato solo alla Vdi ma alla possibilità effettiva di abilitare il lavoro ovunque, prima per i ruoli apicali (dirigenti di prima e seconda fascia) e per il personale che operava in esterno presso gli enti con mandato di vigilanza”.
Le difficoltà maggiori rilevate sono da ricondurre all’approccio culturale e di carattere emotivo, anche solo nel “diverso rapporto degli utenti” con differenti device per il computing (laptop e tablet vs. il desktop). Ancora oggi rappresentano difficoltà oggettive, che devono essere accompagnate, e segnalano la presenza di ostacoli culturali significativi.
“Dopo il Decreto dell’8 marzo – prosegue De Pietro, per illustrare invece i cambiamenti vissuti da Regione Veneto, – ci siamo trovati a ‘switchare’ in modalità “lavoro agile” quasi 2.700 persone (sulle 3.000 complessive) rispetto alle 110 che lo utilizzavano in precedenza”. Hanno pagato gli investimenti del 2018 per essere riconosciuti come Polo Strategico Nazionale, il data center operativo nel Parco Scientifico Tecnologico, ed il potenziamento delle risorse Vdi sull’infrastruttura Nutanix iperconvergente, ma anche il passaggio degli applicativi su infrastruttura remota, con tutta la parte di consolidamento necessaria, da sostenere anche per le partecipate.
Le complessità maggiori, anche in questo caso, si sono rivelate correlate da una parte “alla disponibilità effettiva dei device per lavorare in mobilità, ma soprattutto all’approccio culturale e di competenze. Da qui l’iniziativa di una newsletter per aiutare passo a passo le persone a risolvere semplici task, piccole pillole di aiuto per il lavoro agile”.
“Anche il Ministero – riprende Lunetta – ha pagato la mancanza di una sufficiente alfabetizzazione. Abbiamo attivato 850 utenti circa in modalità “smart”, arricchendo la documentazione sulla intranet e con la possibilità di aperture di ticket specifici, ma non basta, ed ora è più importante guardare avanti su come affrontare il periodo in uscita e la prossima normalità”.
Il Ministero punta ora, dal punto di vista tecnologico, alla containerizzazione applicativa, all’accelerazione dei processi di autenticazione tramite Spid, ma vuole sfruttare la tecnologia anche per ripensare a modelli organizzativi più virtuosi, che dal punto di vista “infrastrutturale” vedono il maggior ostacolo nelle carenze della rete. Lunetta: “Il gap più grave resta la gestione della connettività sul territorio. Anche a Roma sussistono grandi differenze anche tra i diversi rioni. La PA deve lavorare ancora molto su questo”.
Gli fa eco De Pietro: “Sì, la realizzazione del Piano Nazionale è indietro, ed il Piano è arrivato già in ritardo di per sé. In Regione sono stati stanziati 83 milioni per le aree bianche, ma su 230 cantieri aperti solo 50 sono quelli chiusi, ancora meno quelli già collaudati. Fino al 2022 il Piano è difficile che porti esiti positivi definitivi. E’ un problema vero”.
Ripensare i processi
Covid-19 sembra poi aver rovesciato i paradigmi dei progetti di DT. Mentre solitamente le fasi prevedono la reingegnerizzazione dei processi di lavoro, la formazione delle persone, l’adozione delle tecnologie necessarie, ecco che nell’emergenza si è iniziato a lavorare dall’ultimo step, in estrema accelerazione (in tre mesi si è fatto quello si sarebbe fatto in dieci anni), ma è necessario davvero ripensare ai processi e soprattutto investire in formazione. Ogni realtà deve pensare subito a lavorare su questo aspetto senza demandare la responsabilità ad altre realtà, ma se ne parla da anni oramai.
De Pietro: “Il lavoro agile non è solo ‘lavoro remotizzato’, richiede condivisione di obiettivi, mission, e di non ripercorrere i modelli di lavoro tradizionale attraverso la tecnologia, e per primi dovrebbero comprenderlo i manager”. Lo smart working andrebbe valorizzato anche nella PA, puntando ai risultati. Lo sviluppo di una buona cultura in questo senso passa attraverso messaggi da indirizzare a livello di governance “se si assoggetta il concetto di smart working a tutta una serie di parametri e di tutele che bloccano la crescita anziché rivelarsi funzionali a promuovere le persone e le loro competenze, non si va da nessuna parte”, spiega Lunetta.
E le persone, concordano Lunetta e De Pietro, continuano a fare la differenza, la fanno anche quando si scelgono le risorse tecnologiche. E così vale per quanto riguarda l’affiancamento, atteso da vendor e partner, come nella progettazione della trasformazione necessaria, e nel comprendere quali sono i bisogni da indirizzare, il servizio e il supporto. Per quanto riguarda il livello di servizio, pesa, a volte, il gap tra i bisogni delle realtà italiane e l’effettiva capacità di scaling e flessibilità di alcuni vendor.
Sussistono poi certamente altre difficoltà, relative per esempio all’innovazione nella PA che spesso vede eccellenze spot, a macchia di leopardo, in un contesto disorganico. Lunetta: “Gli strumenti utilizzati nei nostri progetti, in verità, sono disponibili a tutti. Certo ci sono diverse capacità di spesa, ma tutto è rapportabile, e si tratta di mettersi in gioco. Una cosa certo non aiutata spesso nemmeno dagli staff politici”. E’ vero poi che la PA italiana è complessa: ci sono da gestire 20 ministeri, 21 regioni, 100 provincie ed 8mila comuni e mentre il digitale svela tutta la sua potenzialità nel modulare singoli servizi, nella gestione complessiva richiede economie di scala e la frammentazione non aiuta.
De Pietro: “Non parliamo certo solo di economie di scala tecnologiche, risolvibili, ma di competenze e conoscenze. Il piccolo comune farà certamente fatica ad approcciare il cloud in solitudine. C’è bisogno che il modello di organizzazione dello Stato così frammentato sui servizi faccia aggregazione ed economie di scala sulle competenze. Proprio il tema della scala dimensionale è fondamentale. Non basta adottare le tecnologie per risolvere un problema immediato, è un problema che anche le nostre Pmi vivono sulla propria pelle”.
Riuscire a trovare forme intelligenti di comunicazione tra il mondo dell’offerta globale e chi si trova ad adottare le tecnologie è quindi un tema su cui lavorare “in cui i partner – interviene e conclude Uva – possono effettivamente giocare un ruolo fondamentale, non solo nel dare continuità di servizio. Da questo punto di vista ci aspettiamo importanti novità anche dal nuovo responsabile di canale a livello globale per Nutanix, Christian Alvarez, ed è di conforto che in questo periodo di emergenza non sia almeno mai mancato il riferimento alla digital transformation per la soluzione dei problemi”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA