Durante l’emergenza sanitaria, le supply chain globalizzate hanno evidenziato come quelli che sono i punti di forza in un contesto operativo di normalità possano al contrario rivelarsi, in un momento critico come quello generato dalla pandemia, un vero e proprio punto debole. Si pensi per esempio all’approvvigionamento di alcune materie prime o semplicemente anche all’accesso a determinate forniture la cui disponibilità è data per scontata ma ad un tratto si trova a rappresentare un bene primario ma scarsamente accessibile per poter proseguire le attività. In questi contesti, le possibilità offerte dalle strategie di economia circolare si possono rivelare funzionali a garantire la vitalità delle supply chain, anche in tempi di incertezza, laddove le supply chain globalizzate, interconnesse e complesse hanno manifestato la loro fragilità.
Lo dice una ricerca Gartner, condotta all’inizio dell’estate, e basata sulle interviste a circa 530 professionisti della supply chain, secondo la quale oltre la metà degli addetti ai lavori (il 51%) nei prossimi due anni è proiettata a valutare con maggiore attenzione i benefici offerti dall’economia circolare. Il sondaggio Opportunity After Crisis di Gartner raccoglie infatti i dati delle interviste ai responsabili della catena di approvvigionamento e delle funzioni correlate nelle aree Nord e Sud America, Emea e Apac, in un’ampia gamma di settori, tra cui high-tech, il settore industriale e quello alimentare.
L’analisi parte da alcune evidenze. In tempi di incertezza i consumatori spostano le loro scelte di acquisto, soprattutto nel caso di occasioni di spesa importanti, preferendo le opportunità offerte dai modelli Product As a Service (PaaS), evidentemente non con lo stesso significato con cui l’acronimo è utilizzato per il cloud computing. E proprio in coerenza con questo spostamento, anche i Chief Supply Chain Officer (Csco) possono adottare strategie di economia circolare per una maggiore sicurezza sulla disponibilità di materie prime, nei momenti più “disruptive” come quello che stiamo ancora vivendo.
L’economia circolare quindi non viene più considerata semplicemente un “must have” legato agli obiettivi di sostenibilità ambientale per le aziende, ma anche un vantaggio competitivo per migliorare la capacità dell’azienda di adattarsi a circostanze di mercato diverse e soprattutto rompere il legame di crescita diretta tra il consumo di materie prime e l’effettiva crescita finanziaria.
Riuscire a ri-accedere e ri-lavorare i prodotti a fine vita richiede però ai Csco di affrontare una serie di complessità che secondo Gartner possono essere ripartite in quattro aree principali: la capacità, appunto, di poter rientrare in possesso dei prodotti a fine vita, la quantità effettiva di materiali recuperabili, il valore e l’effettiva possibilità di valorizzazione delle materie prime strettamente correlata con la complessità del prodotto. Per quanto riguarda il primo punto è noto come nella maggior parte dei casi il produttore perde definitivamente il controllo sul venduto nel momento in cui il prodotto esce dal punto vendita.
In alcuni casi, si pensi per esempio alla vendita degli smartphone, i maggiori produttori hanno saputo adottare modelli di vendita in leasing, o basate per esempio sull”affitto ricorrente del device di ultima generazione, per garantirsi il ritorno del prodotto ed allo stesso tempo invogliare il cliente a rimanere fedele al brand. Anche per Gartner è un punto importante. Sarah Watt, senior director analyst, Gartner Supply Chain Practice: “Le organizzazioni devono imparare ad interagire in questa direzione con i propri clienti per riuscire ad accedere di nuovo ai materiali in fine vita, e non basta affidarsi alla buona volontà dei clienti – come accade ancora nel 35% dei casi, secondo le interviste – serve invece impostare nuovi modelli di vendita e gli opportuni incentivi”.
Riuscire a raccogliere e centralizzare il recupero dei prodotti a fine vita è la seconda sfida importante da indirizzare per approdare ad un modello di lavorazione/recupero vantaggioso anche dal punto di vista economico. Serve pertanto l’impegno delle aziende a stringere accordi di collaborazione tra gli attori della supply chain e i centri di raccolta dei rifiuti, ma anche con i fornitori di materie prime, fino ad innescare eventualmente anche una sorta di circolo inverso rispetto a quello tradizionale.
Anche in questo caso tuttavia, affinché il modello funzioni, bisogna riuscire ad operare mantenendo un margine minimo di redditività. Per i prodotti con un valore residuo basso generalmente si pensa che sia meno vantaggioso ricorrere all’adozione di politiche di ricircolo, ma questo è un errore. Watt: “Da una parte influisce sempre di più ad orientare l’azione delle aziende anche la percezione del brand da parte dei clienti. Può rappresentare un rischio per la reputation non mostrare attenzione in questo senso”, nel lungo termine inoltre, riuscire ad attivare il ricircolo anche di materie prime a basso valore economico potrà rappresentare un arma vantaggiosa nel caso di volatilità dei prezzi.
In ultimo, torniamo sul problema della complessità del prodotto, intesa come ostacolo all’attivazione di una vantaggiosa “supply chain circolare”. E’ risaputo che meno complesso è il prodotto, più semplice ed economico saranno il suo ricondizionamento e la reimmissione sul mercato. Il recupero delle materie prime, invece, quando non è possibile il ricondizionamento, porta ad un effettiva perdita del valore, perché il prodotto, così come è stato fabbricato, viene estinto durante il processo.
Tuttavia solo il 24% degli intervistati può dichiarare di avere approntato piani consolidati sulle attività di ricondizionamento, anche se effettivamente è riconosciuto come questa pratica sia molto più vantaggiosa del semplice recupero di materie prime, sia per il minore impatto ambientale, sia perché permette alle aziende di potere riportare a scaffale il prodotto in un tempo decisamente inferiore. Da qui lo sforzo necessario volto a semplificare il design di prodotto nell’ottica proprio del ricondizionamento a fine vita. I prodotti mal progettati o progettati prevedendo l’utilizzo di materiali tossici sarà sempre più difficile riuscire a ricondizionarli, se non ad un prezzo elevato e non più vantaggioso.
Sei passaggi chiave per una supply chain “circolare”
Gartner individua quindi sei passaggi chiave per riuscire a governare in modo vantaggioso la supply chain nell’ambito di un corretto approccio all’economia circolare.
Li riassumiamo in chiusura: Lo sviluppo di una visione a lungo termine, a partire dall’analisi dei prodotti, dall’individuazione dei principali obiettivi del progetto, fino all’individuazione di un progetto pilota con cui iniziare (1); la capacità di engagement dei clienti in modo da individuare come riuscire a mantenere in parte il controllo sui materiali a fine vita, con benefici evidenti sia per l’azienda, sia per il brand, sia per la soddisfazione dei clienti (2); l’approccio collaborativo sia con le aziende che trattano i rifiuti, sia con i fornitori di materie prime, anche in questo caso è possibile approdare a modelli winwin (3).
L’analisi approfondita sul valore residuale dei materiali (4) rappresenta un passaggio chiave per indirizzare nel modo corretto i progetti di ricondizionamento o recupero delle materie prime, affinché il ciclo resti profittevole (5); ripensare al design di prodotto in modo da riuscire ad immaginare già in fase di progettazione le possibili strategie di riutilizzo di componenti, materie prime, ricondizionamento quando il prodotto giunge a fine vita (6).
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