Il 2020 ha richiesto alle aziende di ogni comparto e dimensione importanti sforzi di adattamento e di reazione all’emergenza con il relativo impatto sulla ri-organizzazione dei processi, della forza lavoro e delle supply chain per assicurare alle imprese la business continuity. Una risposta efficace, nella maggior parte dei casi, è stata possibile grazie all’adozione di tecnologie e servizi digitali, sia per indirizzare lo smart working, sia per ripensare le attività di comunicazione, come quelle commerciali, ma anche semplicemente per soddisfare le richieste di assistenza ai clienti e ottimizzare approvvigionamenti e logistica, messi a dura prova nella loro efficienza dalla pandemia.
Tante delle modalità di affrontare i problemi e delle soluzioni trovate per farlo sono destinate a rimanere come patrimonio di conoscenza ed esperienze preziose sul campo, così come ben evidenzia lo studio L’effetto dell’Emergenza Covid-19 sulla Digitalizzazione delle Imprese condotto da Pepe Research e promosso da Sap che si propone proprio di comprendere quali sono le novità portate dalla pandemia in termini di digitalizzazione destinate a rimanere in azienda, anche una volta terminata l’emergenza sanitaria.
La ricerca si basa su 40 interviste personali dirette semistrutturate condotte su un universo di riferimento di aziende italiane con fatturato tra i 30 e i 500 milioni di euro, dei diversi verticali – tra cui industria (11), hi-tech (8), chimico farmaceutico (4), informatico (3), food (2), logistica/trasporti (2), finance (2) – rivolte ai vertici aziendali o comunque C-level tra luglio e settembre 2020.
Un campione che per il 43% dichiara di aver subite importanti perdite di lavoro e di fatturato a causa della pandemia, ma che invece nel 57% dei casi ha dimostrato di riuscire a “limitare i danni” – come ben spiega Arianna Della Beffa, ricercatrice e sociologa di Pepe Research – “sfruttando le possibilità offerte dalle diverse tecnologie, ma anche in gran parte la capacità delle persone di mettersi in gioco in modo positivo”.
Da una parte, nella ricerca ben emerge l’impegno da parte dei vertici aziendali nel cercare di tenere aperta l’attività – ricorrendo anche all’applicazione di politiche diverse a seconda dei comparti aziendali, come alla possibilità di giocarsi la partita con strategie mirate a seconda della presenza dell’azienda in diversi Paesi – dall’altra evidenzia i diversi “vissuti e la capacità reattiva delle imprese ad intraprendere all’improvviso importanti percorsi di cambiamento, come evidenziano i numeri”.
E’ emersa infatti la necessità di adattarsi in tempi molto rapidi ad uno scenario nuovo e ciò ha richiesto flessibilità, in un momento decisamente complesso che per il 57% degli intervistati questo ha comportato una riorganizzazione importante del lavoro e delle infrastrutture. A caratterizzare il lockdown nel mondo dell’impresa è stata quindi prima di tutto una grande tensione reattiva.
I cambiamenti organizzativi hanno coinvolto la gestione del personale per il 77% delle aziende, attraverso un ricorso significativo allo smart working e alla riorganizzazione del lavoro in sede, con i relativi sforzi per l‘adozione di nuovi dispositivi di protezione individuale, i distanziamenti, il controllo degli accessi. Da una parte alcune aziende erano già attrezzate per il lavoro da remoto e dal punto di vista delle infrastrutture; dall’altra non erano poche le realtà del tutto impreparate o poco preparate allo smart working e che hanno dovuto riorganizzare il lavoro in sede in virtù delle nuove normative sulla sicurezza (circa il 43%). Tutte le scelte relative all’attivazione (o meno) di cassa integrazione o obbligo di ferie, di chiusura o di apertura dell’azienda con rischi da una parte sulla sicurezza dei lavoratori, dall’altra sull’andamento del business, si sono portate dietro un peso e un senso di responsabilità importanti, da gestire in tempi rapidi.
E’ stato necessario anche un importante riesame dei modelli di business e nuove analisi dei mercati, per esempio pensando a proposte prodotto innovative per venire incontro alle “esigenze in corsa” rivedendo la gestione dei processi, come ha fatto circa il 38% del campione, e della supply chain (42%). Nel complesso il lockdown ha rappresentato un’importante occasione di ripensamento delle modalità operative aziendali sia per quanto riguarda l’organizzazione, ma anche in relazione al core business.
La possibilità di ricorrere al digitale è stata riconosciuta dalla maggior parte delle aziende come la via da percorrere per fronteggiare l’emergenza ed il 70% delle aziende ha messo in campo più progetti. Si è in primis pensato ad accelerare ed anticipare progetti già previsti per il futuro (lo ha fatto il 64% del campione), al punto che quelli pensati su un orizzonte temporale di due anni sono stati realizzati in due mesi, ma soprattutto la ricerca evidenzia la consistenza dell’iniezione di digitale nei progetti, con l’80% degli executive che riconosce come la pandemia abbia dato la giusta spinta alla digitalizzazione.
L’azione delle aziende si è quindi indirizzata su cinque tipologie di iniziative digitali: l’utilizzo delle piattaforme di collaboration, magari già utilizzate nei rapporti a distanza con i clienti, ma assenti di fatto per la comunicazione interna, ma il 67% delle aziende ha provveduto in modo significativo a sviluppare nell’ambito delle iniziative di digital marketing e e-commerce a sviluppare la comunicazione social, e ad investire nel commercio elettronico per sia in termini di potenziamento che di vero e proprio sviluppo ex novo, mentre per quanto riguarda lo smart working – talvolta nella semplice forma dell’home working – le aziende hanno ricorso al potenziamento della Vpn, o in altri casi all’utilizzo di piattaforme evolute di desktop remoto. In un numero significativo di casi infine viene citata l’adozione degli strumenti legati all’utilizzo della firma digitale, alla dematerializzazione dei contratti e alla virtualizzazione di prodotti e servizi.
L’effetto più importante sortito dall’emergenza, però, come mette in evidenza la ricerca, è il boost all’avvio anche di nuovi progetti digitali per cui ora sono diversi i nuovi piani di digitalizzazione in programma e questo vale per il 69% delle aziende. Si tratta nello specifico di una vera accelerazione anche dal punto di vista culturale, anche in relazione al riconoscimento dei benefici prodotti con la percezione che “ciò che prima era accessorio ora è divenuto fondamentale”.
Nodi critici nell’attuare i piani pensati per reagire all’emergenza si sono rivelati la carenza infrastrutturale, sia per quanto riguarda l’hardware, sia per quanto riguarda le risorse per la connettività ed allo stesso tempo il sottodimensionamento dei sistemi, non attrezzati né pensati per supportare carichi di lavoro così diversificati rispetto alla “normalità”, ma le aziende hanno anche evidenziato alcune carenze per quanto riguarda formazione culturale e competenze per esempio nell’utilizzo di nuovi software ma anche legate al dover rinunciare all’utilizzo ancora molto presente della carta.
Ora l’attenzione delle aziende è focalizzata sul recupero dei fatturati, sulla capacità di riuscire a rispondere alle nuove necessità del mercato e sulla sicurezza dei lavoratori che rientrano nelle sedi di lavoro.
Adriano Ceccherini, direttore Mercato Piccola e Media Impresa di Sap Italia, evidenzia come le Pmi nei tempi di Covid-19 insistano per essere resilienti, profittevoli e sostenibili.
Per esempio con una richiesta nel periodo contingente dell’emergenza di soluzioni puntuali sulle tematiche più emergenti, ma anche con l’aspirazione a collegare le soluzioni in un quadro di innovazione più strutturato in modo da trasformare in processi digitali completi le iniziative su cui si sono registrati i maggiori benefici, sia per quanto riguarda i flussi di lavoro, come nello studio di supply chain scalabili, flessibili e affidabili, con attenzione per la centralità dei dipendenti e dei clienti. La profittabilità resta un tema chiave legato all’automazione dei processi come alla possibilità di poter basare decisioni più veloci facendo leva sull’utilizzo dei dati strutturati.
Alta, sottolinea Ceccherini, è sempre di più l’attenzione anche per i temi legati alla sostenibilità interpretata su tre direttrici e cioè le politiche responsabili di procurement, i processi per la tutela dell’ambiente e appunto la sicurezza dei dipendenti.
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